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Visto che l'altra sera ho guardato Hunger, mi è stato proposto Julie & Julia, spassosa e ben diretta commedia del 2009 diretta da Nora Ephron, con Maryl Streep e Amy Adams, tratta dal libro autobiografico di Julie Powell ispirato a sua volta al suo blog di grande successo in cui si cimentava nell'impresa di rifare, entro un anno, tutte le ricette del libro della famosa e realmente esistita chef statunitense Julia Child.
La storia, come tutte le storie, ha vari livelli di lettura e qui il messaggio sotteso è il riuscire a trovare la propria strada e fare di una passione una carriera, risultato che sia Julie che Julia ottengono. Il film si snoda infatti in due diversi momenti temporali alternando la storia di Julia Child agli inizi della sua carriera, negli anni 50, e quella di Julie Powell nel periodo subito dopo il crollo delle due torri.
Il film è spassoso e motivazionale, o almeno è tale per la maggior parte delle persone perché, essendo un film incentrato sul cucinare ha il solito enorme problema di mostrare ogni specie di animale a pezzi ritenuta commestibile (è mai possibile che in questo genere di film non si cucini mai un piatto di verdure manco per sbaglio?).
Anche qui c'è una scena terribile, resa ancor più terribile dal fatto che sia una scena realizzata apposta per far ridere, cioè con dei momenti e battute che vorrebbero suscitare ilarità.
In pratica Julie Powell, lavorando al proposito del suo blog, arriva al punto delle ricette di Julia Child in cui deve cucinare un'aragosta viva.
La scena è anticipata diverse volte con battute sul sentirsi "assassina di aragoste" e con il fidanzato che la motiva, il tutto sempre comicamente, come se non si trattasse realmente di uccidere qualcuno, cioè usando la stessa ironia che potremmo fare noi quando buttiamo le patate nell'acqua bollente ("assassini di patate", fa ridere, in effetti). L'aragosta è trattata alla stregua di un vegetale.
Dopo queste anticipazioni arriva il grande giorno e la nostra eroina si reca al mercato a comprare delle aragoste vive. Gliele mettono in una busta e lei inorridisce, ma non per empatia o dilemma etico, bensì per il fastidio di dover fare questa cosa di ucciderle. Apre il sacchetto e vede un'aragosta che la fissa, che muove occhi, agita chele e antenne. La richiude schifata.
A casa tenta di seguire il consiglio della Child: uccidere le aragoste piantandogli un coltello a colpo sicuro tra gli occhi. Lei però non crede di potercela fare, quindi sceglie l'altra soluzione... e sapete bene di quale soluzione si tratti: gettarle direttamente nell'acqua bollente.
Lo fa, la scena viene mostrata, ma se non altro, essendo un film girato in America dove bisogna rispettare le norme di non maltrattare gli animali sul set (sul set! Fuori le aragoste si possono tranquillamente uccidere) si vede che sono finte o forse vere ma già morte (ma sono chiaramente vere quelle delle scene precedenti in cui vengono comprate al mercato e messe nella busta).
Una volta gettate nell'acqua la nostra eroina, sentendosi finalmente sollevata nell'essere riuscita a portare a termine tale impresa, si affretta a chiudere il coperchio. Il coperchio si solleva e cade a terra, lei fugge terrorizzata, ma ecco che interviene in aiuto il prode cavaliere, cioè il fidanzato, rimettendo subito il coperchio sopra al pentolone e chiudendolo con forza onde impedire ai poveri animali di fuggire dalla pentola, con tanto di espressione soddisfatta.
La scena ha intenzioni comiche, eppure tanto ci sarebbe da dire, a cominciare dalla smaccata conferma dei ruoli di genere per cui alla fine il maschio uccide senza pietà mentre la femmina, che pure non prova chissà quale empatia con le aragoste, si impressiona nel farlo, così come si impressionerebbe nel dover schiacciare un grosso ragno o prendere a bastonate un topo. Infatti il sentimento descritto nella scena è solo uno: la repulsione. E la comicità è su questo che gioca e lavora: la repulsione di dover cucinare ciò che dal punto di vista della considerazione morale è equiparabile a un ortaggio, ma che presenta il fastidioso inconveniente di muoversi, agitarsi - mannaggia, proprio come il cane dell'esperimento di cui parlava Cartesio nel 600 che quando veniva bastonato attivava quel fastidioso guaito, ma, niente paura, si trattava solo di semplice meccanica, al pari del pendolo di un orologio che suona allo scoccare dell'ora -, inconveniente poi appunto risolto brillantemente grazie all'intervento del fidanzato e prova complessivamente superata alla grande con il successo della ricetta riuscita alla perfezione e tutti gli amici a cena che divorano con gusto le povere aragoste.
Ora il punto qual è? Il punto è che qui non stiamo parlando di una scena comica di finzione che esaspera alcuni aspetti della realtà o che nella realtà non esiste; non stiamo parlando di Fantozzi che cade in maniera rocambolesca dagli scii e poi si rialza tutto ammaccato a rappresentare le sfighe del piccolo impiegato, né di Stanlio & Ollio che si prendono a torte in faccia. Qui stiamo parlando di quello che accade nella realtà: aragoste o altri crostacei bolliti vivi, pesci vivi affettati, quarti di manzi, maiali, polli interi ecc. massacrati nei mattatoi. Individui senzienti, non ortaggi, non vegetali. Individui di cui si ride. E il punto non è solo che si ride della sofferenza di un'aragosta, ma che si ride, questo l'obiettivo finale, di chi prova empatia o si fa scrupoli di coscienza perché tutta la scena prende per il culo chi realmente avrebbe problemi a uccidere animali e non per semplice repulsione, ma per un pizzico di empatia che pure chi cucina e mangia animali, talvolta ha.
In altre scene si mostra come disossare un'anatra, come riempire un pollo, teste di maiali e mucche appese al mercato, pesci ecc.
Una commedia come questa, che in una società normale sarebbe invece un horror, piace perché è rassicurante. Non mette in dubbio l'esistente, ma anzi lo conferma.
Va bene uccidere le aragoste gettandole in pentoloni di acqua bollente, va bene decapitare polli e disossare anatre, va bene tutto pur di inseguire il successo, realizzarsi, divertirsi.
Il film è del 2009, non di decenni fa. E comunque anche oggi, come si è visto in Hunger, gli animali nel cinema continuano a essere rappresentati come cibo, ossia sono semplicemente dei referenti assenti (dell'uso degli animali nel cinema ho parlato anche in un capitolo del mio libro).
Attenzione: io non sono a favore della cancel culture. Io penso e rilevo il modo in cui gli animali sono raccontati nelle varie forme di produzione culturale. Lo faccio ovviamente al fine di mettere in discussione lo specismo, convinta che, solo rendendo visibili le ideologie oppressive violente ma normalizzate e finanche naturalizzate, le si possa combattere.
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