Il film di Greta Gerwig, intendo.
A visione ultimata il mio primo commento è stato: non capisco perché se ne sia parlato tanto. È solo un grande enorme spot della Mattel con qualche parolina in mezzo come "patriarcato" e "stereotipi femminili" per farlo apparire un film anche femminista.
Poi sono andata a dormire.
Questa mattina mi sono svegliata e ho iniziato a pensarci e quello che ne sta venendo fuori lo scrivo qui, a caldo, come una serie di appunti e spunti che poi magari rielaborerò meglio. Quindi questa non è una recensione, ma una bozza di riflessioni.
Intanto, secondo me il fatto che sia un film su cui c'è bisogno di riflettere implica due cose: una è positiva, cioè non offre un pacchetto di contenuti già pronti, ma ti invita a elaborarli; la seconda è più critica perché quei contenuti li trovi solo se ti appartengono già. Questo è ovviamente un problema che si ritrova in tutte le opere polisemiche che hanno sempre diversi strati di significati e non tutti raggiungono tutti.
SPOILER
Il finale in cui Barbie prende consapevolezza di sé e da bambola asessuata diventa finalmente donna con dei genitali e abbandona i tacchi per indossare delle comode Birkenstock (se il corpo ha un peso e valore, devo anche rendergliene conto, non più come orpello estetico, ma strumento che mi permette di muovermi nel mondo e che quindi deve muoversi comodo) è decisivo perché è solo in quel momento che si apre lo spiraglio per un'autentica riflessione femminista e si rimette in discussione tutto ciò che avevamo visto fino a quel momento. Il punto cruciale, cioè la chiave di lettura per analizzare i vari elementi che compongono il film è proprio questa.
È da questo momento in poi che si dipana la dialettica uomo/donna, realtà/finzione, consapevolezza/manipolazione, sesso/genere, (con buona pace delle identità fluide).
Barbie non può diventare persona reale e non può comprendere l'oppressione patriarcale finché non ha i genitali e non ottiene i genitali finché non capisce che restando una bambola stereotipo può solo essere realizzata nella finzione, nella sua immaginazione, nel suo essere bambola nel suo mondo (BarbieLand, appunto); un mondo in cui fa solo finta di bere il latte, fa solo finta di guidare, fa solo finta di vivere in una comunità in cui le varie Barbie sono avvocato, astronauta, presidente, medico, membro della corte costituzionale ecc. e in cui tutto parla di loro, la Storia stessa della fondazione della loro terra è opera loro e ovunque si riflettono e raccontano le loro gesta. Barbie rimane Barbie finché appunto non capisce che tutto quello che aveva vissuto fino a quel momento le era stato possibile solo perché era a BarbieLand e perché appunto non era una vera donna nel vero mondo reale e che nel mondo reale le cose invece sono ben diverse. E attenzione!: questo accade anche nell'idea, nell'immaginazione di molti uomini e donne che sono convinti che non ci sia più bisogno del femminismo perché apparentemente noi donne ora abbiamo tutto, possiamo essere davvero chi vogliamo e pensarci libere (come dice la Ferragni e difatti anche lei non vive mica nel mondo reale, o almeno non più ormai, ma in quello dei Ferragnez, molto distante dalle difficoltà della maggioranza e... non so se ve lo ricordate, ma agli esordi del suo blog lei aveva come immagine profilo una foto di lei stessa nuda, ma piallata con photoshop, cioè resa asessuata e con una Barbie in mano. Ed è vero che lei è una persona reale che ce l'ha fatta, ma non possiamo non tener conto della posizione avvantaggiata economicamente da cui è partita).
Peccato che nel mondo reale le cose non siano esattamente così, cioè come in BarbieLand, perché noi donne, in virtù dei nostri corpi biologici - e non semplicemente e banalmente come insieme di stereotipi - continuiamo a essere uccise, stuprate, molestate, ridicolizzate, sminuite, odiate e non abbiamo mezzi materiali e supporti economici a sostegno perché le Istituzioni magari danno la scorta a chi ha ucciso un'orsa perché ha ricevuto un bel po' di insulti sui social, tra cui forse qualche minaccia, ma non a una donna che viene concretamente e ripetutamente stalkerizzata, minacciata, picchiata.
Quindi, dicevamo, il finale di Barbie è importante perché ribadisce l'identità di noi donne in quanto corpi sessuati diversi dagli uomini e non solo insieme di stereotipi sul genere perché è ovvio che tutti gli stereotipi sul genere femminile sono venuti dopo e sono conseguenza e giustificazione dell'oppressione patriarcale e non causa (stesso rapporto tra questione animale e specismo). Cioè: è proprio in virtù di quei genitali, cioè della nostra biologia che noi donne siamo state oppresse e trasformate in corpi di servizio da usare: sessualmente, per procreare, per svolgere lavori noiosi come la cura della casa e allevare i figli lasciando liberi gli uomini di studiare e dedicarsi alla loro carriera e quindi è ovvio che Barbie può diventare veramente femminista e capire l'oppressione patriarcale solo nel momento in cui prende coscienza di sé come corpo, come persona sessuata e non semplicemente come insieme di stereotipi quale era stata fino a quel momento (sintomatico il fatto che la protagonista si chiamasse proprio Barbie Stereotipo, cioè lei era un insieme di stereotipi sulla femminilità, su quello che la società si aspetta da noi donne).
Barbie a questo punto, una volta reale, torna nel mondo reale, ma il film finisce, lasciando intuire che comunque avrà capito la differenza tra finzione e realtà e tra la facilità di affermazione in BarbieLand e la difficoltà che invece ancora viviamo e sperimentiamo noi donne, e non solo per affermarci professionalmente, ma per essere semplicemente noi stesse, con i nostri corpi, conformi o meno agli stereotipi; le difficoltà (che causano stress continuo e burn out) per non sentirci da meno in un mondo che è stato fatto a immagine e somiglianza degli uomini e la cui Storia racconta solo le loro gesta; gesta di uomini in guerra che hanno avuto sin dall'inizio dei tempi come fine il dominio e la conquista.
Interessantissimo il binomio uomo-cavallo, talmente stretto che Ken lo assimila all'idea che si fa di cosa significhi patriarcato. Il cavallo come estensione dell'uomo. E qui ci sarebbero da fare pure tremila riflessioni sullo specismo, ma una su tutte: il dominio è sempre biologico, è sempre biopotere, cioè è sempre dominio sui corpi altrui a partire dalla biologia e spesso è concatenato, intersezionale. Gli uomini hanno dominato i cavalli con la forza bruta (i cavalli sono animali tanto forti e robusti, quanto timidi, paurosi e mansueti - vedete l'importanza della biologia? - Stesso discorso per i bovini), poi con loro, grazie a loro, hanno fatto le guerre e conquistato terre; noi donne, biologicamente obbligate a procreare, allattare, allevare figli, più deboli fisicamente - capite l'importanza della biologia? Quanto siamo state limitate e costrette in ere pre-anticoncezionali e capite perché il femminismo ha sempre lottato per il diritto alla legge sull'aborto e quanto ancora lo scontro si giochi quasi tutto su questo punto? -
siamo sempre state terreno di conquista dei vincitori, oggetto di scambio, razziate, stuprate, vendute.
Il mondo attuale è il frutto del dominio maschile e noi donne abbiamo potuto solo giocare a essere protagoniste in BarbieLand. Per questo la Barbie ci è sempre piaciuta: perché poteva essere tutto quello che noi non potevamo essere e che ancora non riusciamo a essere pienamente perché ci portiamo dietro un complesso di inferiorità e incapacità vecchio di millenni grande quanto un'ombra gigantesca da cui non riusciamo ancora a fuggire perché legata ai nostri corpi biologici che la società ci ha fatto sempre percepire come sbagliati, mancanti di qualcosa ("nate da una costola di Adamo"). Perché se a Ken basta dire "Io sono Ken e basta e non l'amico di Ken" per crederci (tanto nel mondo reale funziona esattamente così e ce lo ricorda la Storia), a Barbie non basta più dire che può essere tante cose per sentire di esserlo davvero, ma deve lottare anche solo per rientrare a casa la sera sana e salva.
Insomma, Barbie è un film sul percorso di consapevolezza di cosa significhi essere donna al di là degli stereotipi e dell'illusione costante di cui dobbiamo disfarci perché no, non basta pensarsi libere per esserlo davvero, così come non basta ancora ottenere una laurea per essere davvero considerate al pari degli uomini. Non basta se ancora veniamo uccise, stuprate, raccontate come mostri se vogliamo abortire o donne snaturate se non vogliamo avere figli, puttane se vogliamo essere libere sessualmente (e per questo stuprate e colpevolizzate); non basta se dobbiamo ancora continuamente dimostrare che siamo donne e non Barbie.
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