lunedì 29 novembre 2021

Appunti di femminismo che prendono spunto dal quotidiano

 Un uomo tocca il culo a una giornalista che sta facendo il suo lavoro.

Altri uomini: non prendertela. 

Sminuire le molestie che le donne subiscono da parte degli uomini, così come le battute sessiste, è tipico della cultura patriarcale.

Magari quegli stessi uomini che hanno detto "non prendertela" non lo farebbero mai, cioè non si comporterebbero così, non toccherebbero il culo a una sconosciuta, ma continuando a restare accondiscendenti verso chi lo fa, diventano a loro volta complici della cultura patriarcale.

Inoltre, sminuire la gravità di un'azione è quanto di peggio ci possa essere per far sentire ancora peggio le donne che subiscono le molestie perché il loro disagio non viene riconosciuto.

E aggiungo che il gesto di toccare il culo a una professionista che sta svolgendo il suo lavoro è doppiamente grave: primo, per la molestia in sé, secondo perché si nega anche la sua professionalità; è come se implicitamente le si dicesse, tu non vali, tu sei solo un pezzo di carne. 

Idem quando a una professionista, nel suo ruolo di professionista, le si dice "sei bella", così evidenziando sempre il suo corpo, e mai la sua preparazione.

Credenze speciste

 



Lo specismo non consiste tanto nell'uccidere e usare gli animali - perché è ovvio che in molte pratiche c'entri soprattutto il profitto - ma nelle giustificazioni che adottiamo e che abbiamo interiorizzato e normalizzato per poterlo fare; queste giustificazioni assurgono al ruolo di credenze e convinzioni e non necessitano nemmeno più di essere poste al vaglio del pensiero critico e del dubbio.
Inoltre a loro volta producono effetti nefasti riguardo il ruolo degli altri animali in generale che continuano a essere visti sempre in funzione di qualcosa, cani e gatti compresi e ogni qualvolta questa funzione smette di funzionare (scusate l'allitterazione), allora si scatena tutta la teriofobia irrazionale possibile (vedasi animali selvatici come i cinghiali nel momento in cui superano i confini mentali e fisici da noi pensati e creati).

giovedì 25 novembre 2021

L' altra pelle

 

Negli ultimi anni ho letto spesso di progetti al femminile in cui giovani donne decidono di avviare aziende di produzione di formaggi mettendo su allevamenti di capre, pecore, mucche o aziende di salumi con maiali allevati in proprio. 

Ed eccolo qua l'articolo (già accennato tramite il post di Paola Gagliano condivido poc'anzi) che parla di questo progetto inclusivo per le donne vittime di violenza. 

Si chiama "La.b L'ALTRA PELLE" ed è un laboratorio dove si lavorano le pelli delle bufale per confezionare borsette: https://bit.ly/3p2pez8

L'altra pelle, cioè quella delle bufale anziché delle solite mucche (o coccodrillo, pitone ecc.). 

Lo specismo è evidente laddove riguardo un progetto inclusivo per le donne vittime di violenza, cioè per persone che hanno subito la violenza sulla loro PELLE, il collegamento con la violenza sulla PELLE di altre femmine dovrebbe venire naturale, se queste fossero riconosciute come individui senzienti e non soltanto come macchine viventi - cioè che respirano, mangiano, sì, ma che comunque non esistono per loro stesse, bensì sempre in funzione di (metteteci quello che volete, produrre latte, uova, carne, pelle); il termine "altra pelle" infatti continua a significare "altro materiale", cioè materiale diverso da quello usato solitamente e non "altra pelle vittima di violenza", come dovrebbe essere se gli altri animali non fossero visti attraverso la lente dello specismo.

La pelle delle bufale non è percepita quindi come pelle di un senziente, ma sempre con materia da usare.

Detto questo, un femminismo che non riconosce l'orrore che subiscono le femmine di altre specie e che anzi si afferma proprio sfruttandole per me è davvero miope. Io non sono nemmeno intersezionalista, cioè riconosco la specificità e unicità di ogni oppressione e quindi lotta - proprio perché appunto, riguardo gli altri animali, se non si analizza e mette in discussione lo specismo, ecco che continua a restare invisibile -, ma penso che a maggior ragione quando si parla di progetti di accoglienza per persone abusate, la critica per aiutare ad aprire gli occhi su quello che accade agli altri animali sia doverosa. E no, non è questione di benessere animale o etica del lavoro, di trattare questi individui più o meno bene, quindi di modalità di allevamento, ma di combattere proprio lo specismo intrinseco nel continuare a negargli il valore di individui e quindi delle loro esistenze.

Riscattarsi avviando allevamenti o aziende basate sulla lavorazione dei corpi animali è semplicemente riproporre un modello di dominio fondato su una gerarchia ontologica del vivente. Che è la stessa che poi discrimina anche noi donne, per secoli considerate inferiori agli uomini e viste unicamente nei ruoli di procreazione, accudimento dei figli e della famiglia o come oggetti sessuali che devono soddisfare sguardi e piacere maschili.

Come femministe abbiamo messo in discussione i ruoli assegnatici per una differenza anatomica e biologica, come persone umane ora dobbiamo mettere in discussione quelli assegnati agli altri animali per differenze di specie, quindi sempre biologiche e anatomiche.


mercoledì 17 novembre 2021

Il benessere animale è l'ingrediente segreto (dello specismo)

 Aspettando domenica, l'evento al Bookcity in cui si parlerà proprio della menzogna del benessere animale. 

Il consorzio che produce il parmigiano reggiano dichiara che l'ingrediente segreto della qualità dei loro formaggi è il benessere animale perché, in sintesi, meno stress per le bovine da latte (sic) consente la produzione di un latte migliore. 

Poi aggiunge che allevare animali nelle stalle, cioè tenerli sempre al chiuso, non è detto che sia un male, anzi, in estate è sicuramente un bene in quanto nella pianura padana all'aperto ci sarebbe un caldo eccessivo.

In sintesi: allevano mucche in funzione della produzione (bovine DA latte), le tengono tutta la vita chiuse dentro le stalle, gli sottraggono i cuccioli appena nati, quando la produzione calerà le manderanno al macello, però vogliono convincere che il benessere animale sia l'ingrediente segreto.

Infatti lo è: il benessere animale è l'ingrediente segreto che serve a perpetuare lo specismo. E di conseguenza l'ingrediente segreto che consente ad aziende e consorzi che traggono profitto dallo sfruttamento degli animali di continuare a esistere. Il benessere animale è una manna per gli allevatori e i consumatori, ma lascia inalterato lo specismo, ossia ciò che consente la normalizzazione dello sfruttamento degli animali.

Il problema al solito è parlare di benessere animale all'interno di un contesto di sfruttamento in cui gli altri animali vengono concepiti esclusivamente in funzione del prodotto che sono e che renderanno. 

Questo fatto del rispetto del benessere animale strettamente legato alla qualità del prodotto è dichiarato esplicitamente, cioè si dice "meno stress per le bovine consente la produzione di un latte di qualità migliore" però ci dev'essere un passaggio nella mente delle persone che gli consente di credere alla menzogna dell'allevatore che ama e tratta bene gli animali e a quella che sia possibile continuare a mangiarli e a trattarli come macchine senza che sorga un problema di natura etica. 

Questo passaggio io lo chiamo, citando Orwell, semplicemente bi-pensiero: ossia, sai che è una menzogna, ma continui a crederci.

Questo in alcuni casi. 

In tutti gli altri vale il solito specismo, ossia la convinzione diffusa, la mastodontica credenza che gli altri animali siano inferiori, che siano inferiori i loro sentimenti, che inferiore sia la loro sofferenza emotiva, psicologica e fisica, che inferiore sia la loro capacità di esperire il mondo (e quindi cosa importa se li teniamo chiusi in una stalla?), che inferiore sia la capacità di godere del sole, dei tramonti, di stringere relazioni, di interrogare il mondo, di fare esperienze emotivamente complesse, e quindi inferiore, cioè minimo, di poco conto, irrilevante, il danno che loro infliggiamo costantemente usandole e schiavizzandole per far guadagnare qualcun altro e per avere un sapore che è solo gusto apprezzabile poiché indotto dall'abitudine.

La cosa più grave oggi non è tanto che le aziende che usano gli animali parlino di benessere animale, ma che ne parlino anche associazioni animaliste così reiterando e rafforzando la convinzione che sia giusto usare gli animali (neowelfarismo).



martedì 9 novembre 2021

L'ultimo raggio di sole


 Per sensibilizzare sulla questione animale - questione? Tragedia, direi più tragedia - ci sono immagini che funzionano meglio di altre.

Spesso quelle che raffigurano l'atto brutale della macellazione allontanano le persone.

Invece questa è perfetta nella sua disarmante tragicità. Un individuo si abbandona al tepore del sole, un sole che probabilmente sta assaporando per la prima volta, socchiude gli occhietti, ignaro che a breve gli saranno chiusi per sempre. Violentemente, barbaramente, ferocemente.

Ignaro di esser nato per diventare prodotto.

Noi però, noi che possiamo, dobbiamo smetterla di chiudere gli occhi di fronte a questo sterminio sistematico. Noi gli occhi dobbiamo mantenerli ben aperti. E imparare a vedere gli altri animali oltre la patina sporca dello specismo. Una patina viziata e violenta. Mangiare animali non è un'abitudine, ma un vizio immondo.

Lo specismo nell'arte

 


L'antefatto. Vittorio Sgarbi si fa fotografare di fronte a una vetrina con parti di corpi di animali squartati. I vegani lo criticano. Lui liquida la questione dicendo che i vegani dovrebbero studiare la storia dell'arte e cita La bottega del macellaio di Carracci.* 

Vittorio Sgarbi dice che noi vegani dovremmo studiare la storia dell'arte perché di dipinti che raffigurano macellerie o animali squartati è piena l'arte.

Che novità!

E dunque? La storia dell'arte è anche piena di donne uccise, seviziate, martirizzate, di neonati abbandonati, gettati giù dalla rupe, di schiavi, di racconti mitologici. 

Non per questo oggi giustifichiamo certi orrori del passato, cioè non perché grandi artisti li hanno riprodotti sulla tela facendoli diventare dei capolavori. Un conto è raccontare la realtà, un altro è giustificarla, infatti, specialmente se questa realtà inizia a essere messa in discussione per tutta una serie di motivi assai significativi.

Io posso anche riconoscere il capolavoro di un Carracci, ma ne contestualizzo la scena in riferimento ai tempi. Tempi in cui degli altri animali non si sapeva nulla e si credeva che fosse necessario mangiarne i corpi per vivere. 

L'arte infatti riflette e riproduce i valori dell'ideologia dominante, rappresenta precise visioni del mondo e della società. Il fatto che gli altri animali siano sempre stati riprodotti come esseri al servizio dell'uomo, che siano cadaveri esposti sui banchi delle macellerie, o buoi che tirano l'aratro o anche cavalli montati da cavalieri in guerra, non è di per sé indicativo di qualcosa di necessariamente giusto, normale e  naturale; è invece il racconto di un dominio, di un'oppressione, di un rapporto egocentrico, antropocentrico e specista con il resto dell'animalità.

La storia dell'arte, come il resto della produzione culturale (libri, film, filosofia) ci racconta una storia: una storia appunto fatta di dominio e di attribuzione arbitraria di valore secondo una scala rigidamente antropocentrica in cui la nostra specie si erge a capo del resto dei viventi. Ci racconta lo specismo. Anzi, studiare l'arte - e analizzarla magari da una prospettiva antispecista - è interessante proprio per capire meglio lo specismo e come l'idea che abbiamo maturato nel corso dei secoli degli altri animali sia stata veicolata proprio anche grazie ad essa che nel riproporre valori e idee del mondo attuali li normalizza e naturalizza consegnandoli ai posteri. 

Ma i posteri dovrebbero avere la capacità critica appunto di contestualizzare quei valori e quelle idee del mondo che per fortuna nello scorrere dei secoli mutano, o dovrebbero, con il mutare della sensibilità e in accordo con le nuove scoperte scientifiche, etologiche ecc.

Sarebbe ora di mettere in discussione questa visione arcaica in cui la nostra specie si arroga il diritto di usare tutte le altre solo perché ha la forza e i mezzi per farlo e di approfondire un po' quello che dicono i vegani senza liquidarli con frasi fatte. Il problema infatti non è che i vegani non studino l'arte (poi quali vegani? Perché etichettare e ridurre così un movimento eterogeneo?), ma che non si studino abbastanza gli altri animali, o meglio, che li si continui a guardare soltanto attraverso il filtro dello specismo, quindi non vedendoli quali gli individui senzienti che sono, ma come prodotti da consumare, come massa di carne indistinta.

Che Sgarbi studi un po' l'antispecismo, quindi, quanto meno, prima di definire i vegani esaltati o talebani. 

Che legga i testi dei principali filosofi prima di dire la sua e che abbia il coraggio di confrontarsi sui contenuti senza buttare tutto in caciara, come si dice a Roma. 

Quella del vegano esaltato è una fallacia, la fallacia dello straw man, per l'esattezza. Cioè, si crea un fantoccio e lo distrugge con sarcasmo senza prendersi la briga di riflettere sui contenuti che propone.

Liquidare le critiche delle persone vegane definendo queste ultime come persone ignoranti che non studiano l'arte non è un argomento. 

E anzi che ci ha risparmiato almeno il suo "Capra, capra, capra!", frase indicativa di un linguaggio antropocentrico che si serve degli altri animali per insultare la nostra specie, indicativo quindi di un'attribuzione arbitraria di inferiorità che nell'uso reiterato viene interiorizzata, senza riflettere sul fatto che ogni specie ha la sua intelligenza specie-specifica e che paragonare intelligenze diverse, intese come sforzo di adattamento all'ambiente, è non solo sbagliato, ma proprio scientificamente insensato.

*Di macellerie (e pescherie) nella storia dell'arte ho accennato anche in un capitolo di "Ma le pecore sognano lame elettriche?"

lunedì 8 novembre 2021

"Il benessere animale è il loro malessere" al BookCity di Milano

 

Tra qualche giorno inizierà il BookCity di Milano, evento culturale dedicato ai libri, alla letteratura, agli incontri con gli autori, editori, lettori diffuso su tutta la città, in spazi pubblici o privati.

Ci saremo anche io e Teodora Mastrototaro, insieme al nostro editore Marco Saya Editore per parlare di antispecismo in un evento intitolato "Il benessere animale è il loro malessere".

Sono molto felice di portare la questione animale in uno spazio diverso dal solito, di fronte a un pubblico che magari non avrà ancora mai avuto modo di riflettere sulle implicazioni del nostro rapporto di dominio sugli altri animali.

L'evento sarà domenica 21 novembre alle ore 12,00 presso Il Mare Culturale Urbano, sala Polivalente. 

                                                ***

"Ma le pecore sognano lame elettriche?" di Rita Ciatti  è un testo che analizza il nostro rapporto con gli animali alla luce dello specismo. Il titolo, in omaggio al noto capolavoro di Philip K. Dick (“Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”), ci mette in guardia da soluzioni future ancora più alienanti e distruttive per gli animali che passano sotto il nome di “benessere animale” e che, nel pretendere di migliorarne leggermente le sorti, ne ribadiscono e continuano a legittimarne il silente sterminio. Questo libro è sicuramente portatore di una visione radicale, ma ormai non più rimandabile.

Raramente in poesia è accaduto che un argomento come lo sfruttamento animale sia stato approfondito attentamente. Fu il caso del fortunato libro di Ivano Ferrari, Macello, racconto in versi di un’esperienza crudissima vissuta in un mattatoio. Ed è anche il caso di questo secondo libro di Teodora Mastrototaro, dal titolo "Legati i maiali". Con le dovute e ovvie differenze, l’autrice di origini pugliesi attraversa un’esperienza simile a quella di Ferrari, muovendo però le due sezioni del libro in altrettanti momenti dove sono inizialmente gli stessi animali a parlare del proprio dolore, e di seguito i loro carnefici.  È questo il messaggio più importante di un libro di denuncia del genere: che la vita resti alla vita e che la morte non sia un esercizio voluto dall’uomo ma solo il destino di ogni essere vivente.

Amici di Milano, mi farebbe molto piacere se veniste ad ascoltarci e a darci sostegno. 

Qui il link all'evento, la prenotazione è obbligatoria:

https://bookcitymilano.it/.../il-benessere-animale-e-il...

venerdì 5 novembre 2021

Cosa mangiano i vegani, o meglio, chi non mangiano e perché

 


Lo so, è una frase che avrete sentito miliardi di volte, almeno se siete vegani, ma poiché altrettante viene posta come domanda, ho approfittato dello spazio sempre gentilmente offertomi da Progetto Vivere Vegan per puntualizzare alcune cose.

***

Riprendo in questo articolo le argomentazioni in favore del veganismo, o meglio le risposte che noi vegani siamo chiamati a dare tutte le volte che ci confrontiamo con i carnisti. Nella prima parte avevo affrontato il tema dell’etica al ribasso, mentre qui affronto, da una prospettiva comunque antispecista, quello della nutrizione.

Sembra incredibile, eppure, nonostante il web pulluli di canali Youtube su cosa mangino i vegani, di account Instagram dedicati all’alimentazione vegetale e via dicendo, c’è ancora chi chiede “ma allora cosa mangi?” supportato dalla convinzione che senza corpi di animali a fettine e bicchieroni di latte di altri animali non si possa vivere.

Non sono ironica e non voglio fare sarcasmo, ma è davvero strano anche perché se c’è un argomento che è riuscito a passare a livello di comunicazione mainstream è proprio quello della cucina e alimentazione vegetale, che è altra cosa dal veganismo, come sappiamo. Infatti si può benissimo mangiare vegetale senza per questo essere vegani, il che, se da una parte ci crea non pochi problemi nel comunicare il concetto giusto di antispecismo e liberazione animale perché in sostanza non si arriva mai a mettere in discussione lo specismo, dall’altra dovrebbe quanto meno aiutarci nel superamento di alcuni luoghi comuni.

Continua la lettura sul blog di Progetto Vivere Vegan.


Ne approfitto anche per ricordare il ventennale della scomparsa di Barry Horne. Ne avevo parlato la prima volta dieci anni in questo post.


mercoledì 3 novembre 2021

È morta Laika

 

Il 3 novembre del 1957 Laika fu mandata nello spazio a morire da sola (non che se fosse stata in compagnia sarebbe stato meno grave).

Ecco, oggi vorrei che si riflettesse su una cosa in particolare.

Spesso lo specismo viene giustificato con il ricorso a una presunta superiorità di specie, la nostra, e facendo riferimento a tutti i traguardi tecnologici che abbiamo raggiunto.

Il punto è che questi traguardi sono stati raggiunti proprio grazie alla sopraffazione, uso, uccisione di miliardi di individui di altre specie.

Traguardi quindi materiali, ma fondati sulla morte, sul dolore, sulla sofferenza, sul sangue di tanti animali.

Assumere una prospettiva antispecista significa allora provare a guardare questi nostri traguardi dal punto di vista delle vittime: ai loro occhi appariamo certamente superiori, ma per violenza, sadismo, aggressività, mancanza di empatia.

Siamo oppressori fortissimi e lo siamo diventati specializzandoci sempre di più nell'uso proprio degli animali, che quindi sono al tempo stesso mezzi (test) e risorse da trasformare in prodotti ultimati.

Il termine umanità e umani oggi, per quanto mi riguarda, ha una connotazione assolutamente negativa. 

Senza questa massa di schiavi sterminata - e uso il termine "sterminata" con duplice valenza semantica: sterminata perché massa destinata a essere oggetto di sterminio e sterminata in senso  di sconfinata poiché massa continuamente rinnovata - noi oggi forse avremmo raggiunto qualche traguardo tecnologico in meno, saremmo un po' più animali e meno umani.

L'antispecismo è proprio il ribaltamento del significato di questi due termini e concetti: umanità e animalità, laddove il primo è portatore di significati negativi, di violenza, di morte e distruzione, di gerarchie di valore del vivente, di attribuzioni arbitrarie di merito, di irrazionalità e aggressività, di relativismo culturale pronto a giustificare le peggiori nefandezze e i peggiori abusi in nome di valori di volta in volta discutibili, mentre il secondo fa propri i valori di riconoscimento, accoglienza e rispetto della diversità.

Essere più animali e meno umani direi che quindi dovrebbe iniziare a essere visto nella sua accezione assolutamente positiva. 

Non offendiamoci, almeno noi che ci reputiamo antispecisti, quando ci dicono "Sei un animale!" con tutte le varianti che ben conosciamo, ma anzi, facciamo notare cosa significa invece essere umani. 

Siamo fieri di essere animali!

LAIKA (1954-1957)

È morta Laika.

Piccola bastarda.

Giovane e carina.

Nome vero: Kudrjavka

(in russo vuole dire “ricciolina”).

Naso umido e innocente.

È morta sola.

In assenza di gravità.

Sola come un cane in assenza di pietà.

È morta come solo un cane solo su una capsula spaziale

sovietica sparata dalla terra in orbita verso l’infinito.

Ha sentito caldo e freddo.

Poi ha guaito.

Poi niente: il vuoto siderale.

Il requiem delle stelle.

La notizia sul giornale.

(Francesca Genti)