Era dai tempi de Il cardellino di Donna Tartt che non mi esaltavo così per un libro, cioè quel tipo di esaltazione che ti fa venire voglia di parlarne a tutti. Ho letto tanti altri bei libri nel frattempo, chi mi segue su Instagram sa che ogni tanto butto là qualche consiglio di lettura, ma questo è particolare, coinvolgente, adrenalinico e insieme triste, tragico e disperato.
Una donna e suo figlio di otto anni in fuga attraverso il Messico per sfuggire al temibile capo di uno dei cartelli più pericolosi, i Jardineros, chiamati così perché per uccidere i nemici usano gli attrezzi da giardinaggio. Il loro simbolo è un machete da cui pendono tante goccioline di sangue per ogni persona uccisa.
La sua famiglia è stata sterminata durante una festa, sono tutti morti, marito, madre, sorella, nipoti, uccisi a sangue freddo mentre mangiavano in giardino e per puro caso lei e il figlio, che al momento dell'irruzione dei sicari si trovavano in bagno, sono riusciti a nascondersi e a non farsi trovare. Quello che hanno visto e sentito durante e dopo è un trauma impossibile da superare, una violenza che si tinge di toni persino grotteschi per quanto è assurda e spietata, eppure non c'è tempo di piangere, di disperarsi, nemmeno quello di sotterrare e salutare i propri morti; Lydia e Luca devono scappare, fuggire, una corsa contro il tempo con l'obiettivo di raggiungere il "norte" per darsi una possibilità di vita, anche se minima. Tentare il tutto per tutto, fare cose che fino a pochi giorni prima sarebbero stati impensabili anche solo da immaginare nel tran tran di un quotidiano in una città sempre più violenta, ma in cui in qualche modo sembrava ancora possibile vivere come sotto a una bolla. Lydia appartiene alla media borghesia, ha una bella casa, una libreria, suo marito è giornalista, un giornalista che voleva solo raccontare la verità, ma anche dire la verità, in un paese come il Messico, può avere conseguenze terribili.
Ora si deve agire, fare scelte che potrebbero rivelarsi giuste o sbagliate, forse sarà solo per caso se riusciranno a restare vivi, come per puro caso non sono stati uccisi dai sicari poco prima, non c'è tempo di pensare, non pensare, non pensare, non pensare è il mantra con cui Lydia tiene insieme i pezzi della sua mente e si impedisce di sprofondare e di impazzire. Un pezzo alla volta, un'ora per volta, un piano alla volta.
Si uniranno alla rotta dei migranti, salendo e scendendo da La Bestia, i poderosi e pericolosi treni merci diretti al confine di cui Lydia aveva sempre sentito parlare come di un qualcosa che mai avrebbe potuto riguardarla. La compassione, la pietà per i migranti è un pensiero che si fa in fretta a scacciare dalla mente, non ci riguarda, è lontano, si prega per loro e si dimentica.
Ora invece Lydia e Luca sono diventati essi stessi dei migranti e devono imparare in fretta, capire come muoversi, mimetizzarsi, stare in silenzio e rispondere solo a chi potrebbe aiutarli veramente.
Restare vivi su quei treni, sulla Bestia, è un terno al lotto: il pericolo maggiore non è soltanto quello di cadere giù e venire mutilati, se dice male, morire subito se dice bene, o di non farcela a salire - perché si sale al volo, mentre il treno è in movimento, dato che le stazioni sono recintate e controllate dalla polizia - ma si rischia di essere derubati, rapiti, stuprate, uccise. Ogni persona potrebbe essere qualcuno del cartello, o qualcuno che ha interessi a spremere dai migranti (cioè da chi non ha nulla se non le proprie gambe, zaino con pochi averi e a volte nemmeno le scarpe) tutto quel che si può, vita compresa. "Ognuno di voi sarà derubato", li mette in guardia un prete in un ricovero per migranti, solo uno su tre ce la farà a raggiungere il norte. Sarai tu, chiede a uno a uno alle persone presenti?". Non lo sanno, ma devono tentare perché restare è morte sicura.
Devono crederci. Lydia impara che preoccuparsi è inutile, se il peggio deve accadere, accadrà comunque e così si ripete le innumerevoli volte in cui il cuore le batte all'impazzata nel petto, non pensare, non pensare, non pensare. Ma decidere, saltare giù a volo, scappare o, al contrario, farsi piccola, sospendere persino il respiro. A volte è solo questione di intuito. Si sceglie per istinto. Una risorsa che si impara a padroneggiare.
Sullo sfondo gli incantevoli paesaggi del Messico, la natura incontaminata, l'oceano, la terra, il deserto, i piccoli centri urbani dove i migranti possono ricevere conforto e solidarietà dalle persone del luogo, riposarsi un po' e poi ripartire (ma sempre stando bene attenti a capire di chi ci si può fidare e di chi no perché tutto potrebbe essere una trappola), rimettersi in viaggio a piedi, salendo e scendendo dai treni, fuggendo dalla polizia o da chi si approfitta della disperazione per farsi pagare, per estorcere le uniche cose possibili, qualche risparmio, sesso e se non c'è altro, la vita stessa.
Un romanzo che è sociale, politico, ma soprattutto profondamente umano. L'umanità di chi è capace di stuprare due ragazzine in fuga per la loro vita - perché sì, l'umano è anche questo -, ma anche quella capace di gesti immensamente generosi e altruisti come quelli di coloro che sanno che anche regalare un sorso d'acqua, un sacchettino con dentro tre cioccolatini può fare la differenza tra resistere o mollare. E resistere, andare avanti, per i migranti significa vita, significa salvezza.
La Bestia, il treno merci, è un mezzo, una possibilità, ma anche una condanna. L'equivalente dei barconi su cui salgono i migranti dall'Africa o dai altri paesi quando per scampare alla morte l'unica è attraversare il mare.
Deserto o mare, attraversarlo significa darsi una possibilità di vita. Anche se lo si dovrà rifare tante volte perché non è che arrivare al "norte" è garanzia di vita nuova.
Ma una cosa per volta, un passo per volta.
Una pagina per volta mi sto avviando alla fine di questa storia tragica e disperata dove l'avventura si mischia alla riflessione come nella narrativa migliore.