Noi antispecisti ci focalizziamo soprattutto sullo sfruttamento degli animali cosiddetti "da reddito".
Eppure lo specismo non comincia e non finisce lì.
Rendiamoci conto che là fuori c'è tantissima gente che ancora abbandona cani e gatti appena nati dentro i cassonetti, o anche cani e gatti adulti semplicemente perché deve andare in vacanza, gente che porta i figli allo zoo, nei delfinari, che assiste senza batter ciglio mentre i figli prendono a calci i piccioni, danno fuoco alle formiche o prelevano piccoli animali marini per metterli dentro al secchiello, gente che compra conigli e pesci rossi come fossero caramelle e altrettanto velocemente li getta nel cestino dei rifiuti quando si è stancata di doverli accudire, gente che per trascorrere una bella giornata in mezzo alla natura va a pesca o a caccia, gente che va a cavallo e costringe i cavalli ad esibirsi compiendo esercizi contro la loro natura (in questi giorni a Villa Borghese c'è Piazza di Siena, per dire... ). Potrei fare decine di altri esempi, ma penso che abbiate capito che la questione non riguarda semplicemente i modi in cui usiamo alcune specie per nutrircene, il loro impatto sul pianeta, ma il modo in cui trattiamo e pensiamo l'animalità in generale, l'altra animalità, quella che respingiamo da noi stessi dopo averla connotata negativamente per definire la nostra identità di umani.
Lo specismo è ovunque ed è invisibile.
E non è parlando di salute e impatto ambientale che lo mettiamo in discussione.
Una delle prove, semmai ce ne fosse stato bisogno, che l'uso degli argomenti indiretti si rivela fallimentare come strategia nella lotta antispecista l'abbiamo avuta negli ultimi anni: si è molto insistito sul cambiamento climatico e l'impatto ambientale degli allevamenti, così come sulle zoonosi che causano epidemie e che si riscontrano negli allevamenti.
Eppure non mi pare che si sia modificata di una virgola la concezione degli animali, anzi, è persino aumentato il consumo dei pesci a fronte delle richieste di sushi.
Foto trovata in rete.
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