Visto che in questo blog ho parlato spesso di cinema, vi riporto un estratto del mio libro, in particolare il capitolo dedicato agli animali nell'arte, cinema e letteratura in cui sommariamente si parla dell'uso, simbolico o reale che sia, degli animali nel cinema. Di come sono narrati, mostrati, raccontati.
"In The Elephant Man di David Lynch (1980), il protagonista affetto da una malattia che gli causa la crescita anomale di cellule, tessuti, ossa e tumori, viene di fatto paragonato e trattato come un animale, esibito negli spettacoli e rifiutato dalla società civile. Nella scena alla stazione in cui fugge da un gruppo di persone che lo stava inseguendo, accusandolo ingiustamente di aver colpito un bambina (in realtà l’aveva semplicemente urtata mentre tentava di allontanarsi da altri ragazzini che lo stavano bullizzando), urla disperato: “io non sono un animale!!! Sono un essere umano!!!”. Un’espressione come questa, come abbiamo visto a proposito del linguaggio, rimarca e rafforza la distanza ontologica che la nostra specie percepisce nei confronti degli altri animali, di fatto giustificandone un diverso trattamento poiché implicitamente sottolinea il fatto che gli animali si possono trattare male, picchiare, esibire, possedere, mentre gli esseri umani vanno rispettati. John Merrick urla la propria appartenenza al genere umano e quindi pretende il rispetto, il riconoscimento di uno status morale superiore. E di fatto, alla fine del film, lo otterrà perché proverà di possedere quelle qualità morali che appartengono al genere umano, nonostante il suo aspetto mostruoso. Gli altri animali appartengono ai regni inferiori, sono pura materia, dotati di solo istinto. Difficile che il cinema ne dia una rappresentazione diversa, poiché anche quando si tratta di specie amiche dell’uomo come cani, gatti, delfini, cavalli, questi rimangono pur sempre oggetti di proprietà, inferiori, strumentalizzati, usati. I pets nei film muoiono o addirittura vengono uccisi per sbaglio e si ricomprano per non far piangere il bambino; i pesci rossi vengono mostrati dentro acquari e bocce di vetro, chiamati per nome e vezzeggiati, gli uccellini in gabbiette, idem per quanto riguarda topolini e criceti. Nelle pellicole comiche non è raro vedere scene di violenza sugli animali (cani lanciati dalla finestra, pesci gettati nello scarico del water, gatti investiti), salvo poi dichiarare nei titoli di coda che era per finzione. Sì, ma intanto si comunica qualcosa di importante, ossia che pesci rossi, cani e gatti si possono comprare nei negozi e che se muoiono si rimpiazzano, come fossero oggetti. Di recente ho visto un film intitolato “28 giorni” con Sandra Bullock: diretto da Betty Thomas, affronta il tema della tossicodipendenza e dell’alcolismo. A un certo punto il terapeuta dice ai ricoverati presso una struttura di recupero di attendere prima di avere una relazione affettiva poiché un eventuale fallimento potrebbe farli ricadere in uno stato depressivo. Quindi gli consiglia, una volta usciti, di prendere una pianta e un pet (animale domestico) e se dopo un anno questi sono ancora vivi, vorrà dire che i pazienti saranno guariti, e in grado di prendersi cura di loro stessi e degli altri, quindi pronti per iniziare una relazione. Il riferimento al pet è esemplificativo del poco valore che attribuiamo persino a quelle specie che consideriamo amiche dell’uomo. A nessuno sarebbe mai venuto in mente di dire: adotta un neonato e vedi se dopo un anno è ancora vivo. Ma con un cane o gatto si può fare il test di guarigione. Tanto se muore non è poi così grave."
Nessun commento:
Posta un commento