Ieri una persona ha detto che chi fa attivismo (in qualsiasi ambito di riferimento) è un disagiato.
Lì per lì mi sono offesa. Io faccio attivismo e non sono una disagiata.
Poi però ci ho riflettuto meglio e ho capito che ha ragione, ma mentre probabilmente per questa persona il termine ha una connotazione negativa, per me ce l'ha positiva.
Infatti chi fa attivismo è colui che riconosce esserci qualcosa di profondamente ingiusto e sbagliato in questa società e questo qualcosa, che l'attivista si adopera a combattere, fa sì che non si senta mai perfettamente inserito, a suo agio, nella società stessa.
Il disagio inoltre aumenta quando abbiamo a che fare con ideologie oppressive ma invisibili, cioè che la maggior parte della società nemmeno riconosce come tali.
Come potrei sentirmi a mio agio passando di fronte a una macelleria, per esempio?
Come potrei sentirmi a mio agio nel constatare quanto ciò che di più pericoloso e dannoso esiste non è nemmeno la violenza in sé, ma l'indifferenza dei più?
Come potrei sentirmi a mio agio nel constatare che la maggior parte delle persone, persone perbene anche, non solo si comporta come se niente fosse di fronte a certe ingiustizie, ma ne è essa stessa responsabile e corresponsabile senza che sappia riconoscerle poiché normalizzate e naturalizzate?
Di fronte a tutto questo, sì, sono una persona disagiata. Profondamente disagiata. E non ne vado fiera o altro, semplicemente non potrebbe essere altrimenti.
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