martedì 27 aprile 2021

Ma le pecore sognano lame elettriche?

 


Ci siamo! 

Come preannunciato qualche giorno fa, finalmente è uscito il mio libro che affronta la questione animale analizzando la particolare oppressione e discriminazione che va sotto il nome di specismo.

"Ma le pecore sognano lame elettriche?" edito da Marco Saya Edizioni si può acquistare direttamente sullo shop online della casa editrice, presso lo store Mondadori (comprese le librerie fisiche) e altri store online Amazon, IBS, Libreria Universitaria ecc.

Un mio piccolo contributo alla causa degli animali, speriamo che faccia riflettere le persone che avranno la curiosità di leggerlo. 

Il titolo, in omaggio al noto capolavoro di Philip K. Dick (“Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”), ci mette in guardia da soluzioni future ancora più alienanti e distruttive per gli animali che passano sotto il nome di “benessere animale” e che, nel pretendere di migliorarne leggermente le sorti, ne ribadiscono e continuano a legittimarne il silente sterminio. 

Il disegno di copertina è stato realizzato da Alessandra Antonini Tito Golden e il testo è arricchito e impreziosito dalla prefazione di Simonetta T. Hofelzer e dalla postfazione di Adriano Fragano.

lunedì 26 aprile 2021

Senza titolo

 Esistono bravissime persone, rispettose di tutti gli altri umani, ma capaci di compiere atrocità di vario tipo sugli animali.

Per esempio mettono gabbie per topi o veleno per topi, oppure sterminano insetti; più semplicemente si girano d'altra parte se vedono un cane investito agonizzante per strada (non ho tempo, si fermerà qualcun altro) o prendono i cuccioli appena partoriti della gatta/cagna di casa, li mettono dentro un sacchetto della spazzatura e li gettano nel primo cassonetto a portata di mano.

Queste stesse persone vanno al ristorante e indicano col dito l'aragosta o l'astice vivo nella vasca e poi si dirigono al loro tavolo prenotato aspettando che gli venga servito. 

Mangiano "pesce" fresco, appena pescato, ancora vivo e agonizzante e comprano la fettina di vitello (bio). 

Sono le stesse persone che quando gli parli della questione animale ti rispondono che ci sono cose più importanti a cui pensare  e che snocciolano tutta quella serie di giustificazioni che a un certo punto ti chiedi se siano veramente le stesse persone capaci di discorrere finemente di tantissimi altri argomenti o se nel frattempo gli è successo qualcosa, qualcuno gli avrà dato una botta in testa perché non è possibile che ti dicano cose come "anche le piante soffrono", "tutti dobbiamo morire".

La verità è che non è sempre vero che chi compie atrocità sugli animali sia una persona pericolosa a prescindere perché purtroppo la cultura in cui viviamo è specista, ossia non fa percepire come grave o sbagliata la violenza sugli animali perché non attribuisce agli altri animali lo stesso valore della vita umana. 

Certo, la violenza sugli animali spesso è palestra di violenza anche sugli umani più deboli fisicamente (donne e bambini), ma: uno, la violenza sugli animali va condannata a prescindere in quanto è proprio l'idea che la loro vita abbia meno valore della nostra che dobbiamo combattere; due, la verità è che siamo quasi tutti dei mostri con gli animali, anche chi non torcerebbe mai un capello a un altro essere umano.

Questo è lo specismo, ideologia invisibile poiché appunto normalizzata e naturalizzata. Lo specismo va prima portato alla luce e poi combattuto.

giovedì 22 aprile 2021

Mai abbastanza

 Ho notato che si tende spesso a far coincidere lo specismo con qualche altra oppressione, ora con il razzismo, ora con il capitalismo, ora con la cultura patriarcale.

Guardate che c'è da riflettere su questo: come se parlarne separatamente, prioritariamente, urgentemente, specificamente, peculiarmente non fosse ritenuto abbastanza. 

E certo che non è ritenuto abbastanza, ma perché sono proprio gli altri animali a non essere ritenuti abbastanza: abbastanza degni di considerazione, abbastanza degni del fatto che qualcuno si possa dedicare all'analisi della loro oppressione, abbastanza visibili da meritarla questa attenzione, abbastanza degni da parlarne. 

Ma è proprio questo lo specismo.

Cioè, il non ritenere gli altri animali abbastanza importanti da essere raccontati separatamente. 

Tutto gli dobbiamo togliere, anche la peculiarità di essere oppressi, schiavizzati, uccisi, consumati, controllati totalmente.

Ogni volta che si parla dello sfruttamento animale sentiamo l'esigenza di accorparci qualche altra oppressione, ora quella dei neri, ora quella degli operai sfruttati, oppure quella del pianeta, o delle donne.

Le analogie vanno bene, sono importanti perché fanno capire alcune cose e agli altri movimenti si deve guardare anche per comprendere quali strategie possano funzionare e quali no, ma non per affossare gli altri animali ancora di più.

mercoledì 21 aprile 2021

Ma le pecore sognano lame elettriche?

 


Ne ho parlato, en passant, nel post precedente e manca ancora qualche giorno all'uscita, ma intanto sono felice e sì, anche un pochino orgogliosa, di annunciarvi l'uscita del mio libro sullo specismo, pubblicato da Marco Saya Edizioni.
Sì, avete capito, sullo specismo, più che sull'antispecismo, perché se non si comprende cosa sia veramente lo specismo, non si potrà nemmeno capire che senso abbia parlare di antispecismo.
Cosa significa umanità e animalità? Perché questo dualismo, questa opposizione, visto che siamo animali anche noi?
Perché noi animalisti veniamo sempre etichettati come persone che non hanno niente di meglio cui pensare e perché sentiamo il bisogno quasi di giustificarci nel dire che ci occupiamo degli altri animali?
Perché pensiamo che la sorte degli altri animali non ci riguardi, dal momento che invece siamo direttamente implicati nel loro sterminio? 
Come sono visti gli animali nel cinema, nella letteratura, nell'arte? Come li pensiamo, nominiamo, e soprattutto trattiamo?

Con un linguaggio comprensibile a tutti, semplice  e diretto, arricchito di aneddoti personali e della mia esperienza, ormai decennale, di attivista, rispondo a queste e altre domande. 

Il titolo, in omaggio al noto capolavoro di Philip K. Dick (“Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”), ci mette in guardia da soluzioni future ancora più alienanti e distruttive per gli animali che passano sotto il nome di “benessere animale” e che, nel pretendere di migliorarne leggermente le sorti, ne ribadiscono e continuano a legittimarne il silente sterminio. 

Il disegno di copertina è stato realizzato da Alessandra Antonini e il testo è arricchito e impreziosito dalla prefazione di Simonetta T. Hofelzer e dalla postfazione di Adriano Fragano (fondatore della rivista Veganzetta).

Vi terrò aggiornati!

lunedì 19 aprile 2021

Una rondine non è una rondine

 

Vi racconto una storia, ma per dirvene un'altra.

L'arrivo delle rondini mi fa pensare a mia madre. 

Qualche mese prima che morisse fu ricoverata in ospedale e rimasi qualche notte a vegliarla. 

All'alba mi affacciavo alla finestra del corridoio e guardavo le rondini adulte che andavano e tornavano ai loro nidi situati sotto le grondaie dell'edificio di fronte. Ogni volta portavano nel becco qualcosa, ora un filo di paglia o un rametto per costruire o rifinire il nido, ora un insettino (porello) da far mangiare ai piccoli, che sentivo pigolare in attesa.

Mettevano allegria, c'era aria di festa. In quei momenti di quelle mattine sapevo che mia madre stava morendo, eppure quelle rondini mi aiutavano ad affrontare il dolore. 

I passerotti e altri uccellini invece mi ricordano mio padre perché, anche se non era diventato vegano, stava comunque imparando a guardare gli animali con occhi nuovi e a rispettarli; tutti i giorni metteva del mangime sul terrazzo e volatili di piccole dimensioni arrivavano a frotte, talvolta portando i loro piccoli, mostrandogli dove si trovava il cibo e talvolta azzardandosi anche a zampettare fin dentro casa.

Le rondini però non sono belle perché simbolo della primavera, della terra che rinasce, perché ci ricordano qualcuno o perché, come nella bellissima poesia di Pascoli, simbolo della malvagità dell'esistenza terrena, dell'iniquità della morte.

Le rondini sono belle perché, come tutti gli altri animali, sono individui senzienti con un loro valore intrinseco.

E così i passeri e altri uccelli e ogni altro animale. 

Io questa volta ho fatto una cosa che non dovrei fare: ho parlato di altri animali per parlare in fin dei conti dei miei genitori, di me, dei miei ricordi. 

E così la narrativa, la poesia, le arti figurative, i dipinti, il cinema hanno sempre parlato degli altri animali, tranne rare eccezioni, in rappresentanza di qualcos'altro. Come simboli. Mai in quanto individui.

Nella prima parte del mio libro sull'antispecismo che sta per uscire affronterò anche questo discorso qua, ossia l'uso degli animali e il posto che gli diamo nell'ordine delle cose da noi stabilito, quindi lo specismo, nella letteratura, nell'arte, nel cinema.

Perché poco importa che si parli di altri animali, se non lo si fa nel modo giusto, ossia spazzando via lo specismo. 

Servono altre narrazioni.

*Lo so, do questa notizia così, en passant, ma tanto quasi tutti voi lettori del mio blog mi seguite anche su FB e quindi immagino che lo sappiate già. Se invece non è così, abbiate pazienza, ve ne parlerò prestissimo. 



giovedì 15 aprile 2021

L'orrore l'orrore

 Un altro dei miei sogni/incubi a tema antispecista: ero entrata, non so come mai, in possesso di un tir pieno di maiali che dovevano essere liberati. Cioè, anziché andare al macello, sarebbero andati in un rifugio.

Il tir viene rubato. Io lo inseguo, riesco a raggiungere il conducente e dico che c'è un errore, quel tir non deve andare al macello, deve assolutamente riportarlo indietro. 

Nel frattempo, non so come mai, si era ribaltato. I maiali sono tutti schiacciati, sofferenti, agonizzanti. Vedo i corpi ammassati, quelli sotto stanno morendo, impossibilitati a muoversi, a respirare.

Mi metto a urlare disperata chiedendo aiuto per rimetterlo dritto. Mi sveglio.

Credo che i maiali nel sogno fossero anche le lumache che ho visto ieri in un video girato da una tipa (non voglio scrivere parolacce) mentre le stava bollendo vive. Le lumache si erano tutte ammassate sul coperchio nel tentativo di fuggire, ma la tipa le rimetteva giù e mescolava. 

L'orrore quotidiano che entra anche nei sogni. 

L'orrore l'orrore, grida il Colonnello Kurtz in Apocalypse Now. 

L'orrore di cui la nostra specie è artefice.


lunedì 12 aprile 2021

Io sono una persona disagiata

 Ieri una persona ha detto che chi fa attivismo (in qualsiasi ambito di riferimento) è un disagiato.

Lì per lì mi sono offesa. Io faccio attivismo e non sono una disagiata.

Poi però ci ho riflettuto meglio e ho capito che ha ragione, ma mentre probabilmente per questa persona il termine ha una connotazione negativa, per me ce l'ha positiva.

Infatti chi fa attivismo è colui che riconosce esserci qualcosa di profondamente ingiusto e sbagliato in questa società e questo qualcosa, che l'attivista si adopera a combattere, fa sì che non si senta mai perfettamente inserito, a suo agio, nella società stessa. 

Il disagio inoltre aumenta quando abbiamo a che fare con ideologie oppressive ma invisibili, cioè che la maggior parte della società nemmeno riconosce come tali. 

Come potrei sentirmi a mio agio passando di fronte a una macelleria, per esempio? 

Come potrei sentirmi a mio agio nel constatare quanto ciò che di più pericoloso e dannoso esiste non è nemmeno la violenza in sé, ma l'indifferenza dei più?

Come potrei sentirmi a mio agio nel constatare che la maggior parte delle persone, persone perbene anche, non solo si comporta come se niente fosse di fronte a certe ingiustizie, ma ne è essa stessa responsabile e corresponsabile senza che sappia riconoscerle poiché normalizzate e naturalizzate?

Di fronte a tutto questo, sì, sono una persona disagiata. Profondamente disagiata. E non ne vado fiera o altro, semplicemente non potrebbe essere altrimenti.

Due estranei

 

Quando avete mezz'oretta di tempo guardatevi su Netflix questo corto candidato agli Oscar 2021. 

"Due estranei" racconta la storia di un ragazzo nero che dopo aver trascorso la notte a casa di una ragazza esce per tornare nel suo appartamento, dove lo aspetta il suo amato cane; solo che rimane intrappolato in un loop temporale e, ogni volta, qualsiasi cosa cerchi di fare, viene ucciso da un poliziotto. 

La trama sembra che dica già tutto, ma vi assicuro che è potente e toccante. 

Meraviglioso!

domenica 11 aprile 2021

The Serpent's Way: riflessioni su donne e animali

 

Ieri sera ho iniziato a guardare un film svedese del 1986 intitolato The Serpent's Way, diretto da Bo Widerberg.

La trama è semplice: ci troviamo in un villaggio rurale, secolo non ben precisato - credo ottocento, dagli abiti, ma potrebbe essere anche prima o inizi novecento, comunque si va ancora a cavallo - e un commerciante prima, suo figlio poi, abusano di più generazioni di donne di una famiglia molto povera per riscuotere i debiti che aveva contratto il loro padre, ormai deceduto. Il commerciante diventa proprietario della loro modesta casa e ogni anno passa a riscuotere l'affitto in cambio di prestazioni sessuali. 

Una storia quindi di violenza e abusi in cui i corpi delle donne sono usati come moneta sonante, come merce di scambio. 

La cosa che più mi colpisce è la correlazione stretta tra animali e donne, infatti questa famiglia povera possiede una vacca e una capra, da cui prendono il latte (imprecisione scientifica significativa, dal momento che sia la capra che la vacca vengono rappresentate come animali da mungere per il latte, ma non si parla di gravidanze, non ci sono i cuccioli e non c'è nemmeno il montone o il toro); la vacca viene offerta in cambio dei servizi sessuali. 

Quindi, il corpo della donna è mercificato sessualmente dal commerciante, quello della vacca è mercificato dalla donna. 

Il commerciante valuta il valore economico della vacca, soppesandola con lo sguardo, tastandole il corpo, quindi dice che è troppo magra per essere mangiata, che dà poco latte e che macellarla per la sola pelle non avrebbe reso molto. 

Donne e animali sono entrambi beni di scambio, ma la differenza sostanziale consiste nel fatto che la vacca è usata anche dalla donna stessa e dai suoi figli: per lei è semplicemente un oggetto che produce reddito, e sarebbe stata disposta a mandarla al macello.

La donna, inoltre, per un certo periodo ha una relazione con un uomo che in qualche modo riesce a pagarle il debito con il commerciante almeno per un anno, quindi per un anno è, diciamo, esonerata dall'offrire servizi sessuali al commerciante, mentre vacche e capre continuano a essere usate per tutto il tempo della loro esistenza, per poi finire al mattatoio. 

Le analogie tra femminismo e antispecismo sono molte, ma gli animali sono sempre e solo vittime, in funzione del reddito. 

I loro corpi talvolta si sovrappongono nell'uso da parte di chi detiene il potere economico, ma anche l'affrancarsi dei poveri finisce sempre, in qualche modo, per passare attraverso lo sfruttamento degli animali (significativo il fatto che oggi molte donne diventino imprenditrici mettendosi ad allevare capre).

Questo perché, al di là delle analogie tra donne e animali, la differenza di specie tra animali umani e non umani produce precise gerarchie ontologiche. Combattere lo specismo significa combattere questa gerarchia qui, quindi l'antropocentrismo. E non è soltanto un discorso economico, ma culturale in senso ampio, cioè che riguarda il modo in cui innanzitutto pensiamo, immaginiamo, nominiamo prima, e usiamo poi gli altri animali. E di come poi talvolta ricorriamo ad essi per spingere anche l'umano nell'insieme di valore inferiore che attribuiamo agli animali in quanto credenza e pregiudizio dato per valido senza bisogno di essere confutato, per definizione.

mercoledì 7 aprile 2021

Pandemie e cambiamenti sociali

 Sto pensando che ogni pandemia importante è sempre stata il pretesto per cercare di rifondare l'ordine sociale ed economico.

Nel Decameron di Boccaccio si racconta proprio questo, i giovani e le giovani che si raccontano le novelle cercano di far rivivere, restituendogli valore e quindi invitando i lettori a ripristinarli, quei valori della società cavalleresca che ormai erano stati soppiantati da logiche mercantilistiche. 

La peste quindi come occasione per riflettere e cambiare la società. 

Parlando di Boccaccio, ovviamente lui guardava con nostalgia al valori del passato. Oggi, beh, oscilliamo tra derive autoritarie, ma anche riflessione sugli effetti del capitalismo. Il problema è che mi pare che il capitalismo, anche se in altre forme, rimane sempre in piedi. Stiamo distruggendo le piccole imprese a tutto beneficio dei grossi colossi come Amazon o multinazionali simili.

Poi c'è il discorso dello smart working e DAD, utile per ridurre inquinamento, ma causa di enormi conflitti familiari e anche di aumento delle violenze domestiche. E ovviamente sono avvantaggiate le persone ricche che posseggono spazi ampi e che possono permettersi baby sitter, mentre le fasce sociali più povere vivono enormi disagi. Quindi diventa anche una scelta che esaspera il conflitto di classe e da cui le donne, come categoria, continuano a  uscirne svantaggiate, sia per il carico maggiore di lavoro che è quasi sempre sullo loro spalle, sia perché sono quelle che vengono più facilmente costrette a lasciare il lavoro. 

Quindi che valori stiamo ripristinando noi? Chi ne esce sempre svantaggiato?

Io non amo gli animali

 La battaglia antispecista non è amore per gli animali. 

Così come la battaglia contro il razzismo non si fa per amore delle persone di etnia diversa, quella LGBT non si fa per amore delle persone gay, lesbiche o trans, e quella femminista non si fa per amore delle donne.

Tutte le battaglie contro le diverse oppressioni e discriminazioni si fanno per giustizia, per rispetto della diversità (che sia di appartenenza a un sesso, o di specie, o d orientamento sessuale ecc.), per chiedere uguaglianza di trattamento morale e non, banalmente, espressione di sentimento di amore.

Lo specismo non è mancanza di amore verso gli animali, ma diverso trattamento morale in base a una gerarchia di valore del vivente, ove gli altri animali sono l'alterità assoluta in opposizione agli umani.



domenica 4 aprile 2021

Non è un paese per donne

 Uno degli effetti collaterali del lockdown e del coprifuoco serale è quello di aver reso le strade ancora meno sicure per le donne che per necessità si trovano in giro la sera o che devono rientrare a casa dopo il lavoro. 

La nostra vulnerabilità è aumentata perché le strade sono deserte ed è più facile molestarci, importunarci o anche peggio.

Ovviamente il problema non è il lockdown, ma la cultura patriarcale.

Giusto poche sere fa sono stata inseguita e importunata da un uomo mentre stavo andando in colonia dai mici. Si è avvicinato chiedendomi se avessi bisogno di una mano (avevo le buste con la pappa dei mici), ma alla mia risposta negativa, anziché andarsene, ha continuato a chiedere con insistenza. Ho risposto che no, non avevo bisogno di aiuto e volevo essere lasciata in pace, ma mi ha affiancata dicendomi cose che, presa dal panico, non ho nemmeno capito. Alla fine ho dovuto tirare fuori il telefono e chiamare mio marito dicendogli ad alta voce che c'era uno stronzo che mi stava dando fastidio e solo a quel punto si è voltato e mi ha lasciata in pace. 

Non è questione di essere ragazze giovani, avvenenti o vestite in modo appariscente, purtroppo la maggior parte degli uomini continua a vederci come prede. 

La sensazione di pericolo che noi tutte abbiamo provato e proviamo costantemente sulla nostra pelle è difficile da spiegare.

Mi sono illusa che andando avanti con gli anni potessero diminuire le occasioni di catcalling e molestie, e sì, in parte è così, ma diminuire non significa azzerare. E comunque là fuori è pieno di donne e ragazze che non si sentono sicure di uscire la sera da sole. 

Se dovessi raccontare tutte le volte che sono stata inseguita e molestata, tutte le volte che sono stata vittima di catcalling, penso che non basterebbe una giornata. 

Quando parliamo di diritti delle donne, è soprattutto di questo che parliamo. Non di quote rosa, non di possibilità di votare (votare cosa e chi? Un sistema patriarcale e specista difeso da leggi patriarcali e speciste?), non di uguaglianza sulla carta, ma di possibilità di vivere da persone libere senza timore di essere molestate, picchiate, oggettificate, stuprate, derise, uccise.

P.S.: aggiungo un'altra riflessione. Peraltro il termine catcalling, che tradotto significa letteralmente "chiamare il gatto", a me dà fastidio anche quando lo si fa con gli animali (gatti, cani ecc.) perché non sempre amano essere avvicinati, chiamati, accarezzati. È da notare quindi il doppio standard, cioè, è accettato per gli animali, generalmente, mentre si inizia a metterlo in discussione, giustamente, quando viene fatto alle donne. 

Io dico: basta catcalling, tanto alle donne, quanto agli animali!

venerdì 2 aprile 2021

Natura morta

 

La bottega del macellaio, una delle tappe che facevo con mia madre all'uscita da scuola, era quella in cui non volevo mai entrare per la puzza, ma dove non vedevo l'ora di arrivare per salutare il cane che stava fisso all'entrata. 

Il cane del macellaio, lo chiamava mamma, ed era un tutt'uno con la sequela di raccomandazioni che puntualmente mi faceva, non toccarlo che poi ti metti le mani in bocca, guardalo ma senza farti annusare, mettiti seduta sullo scalino ma stai attenta a non farti leccare la faccia, sì, poi gli diamo un ossetto, qualcosina, ma se sta sempre qui è perché lo sa che poi qualcosina rimedia sempre. 

Non lo so se fosse davvero del macellaio o se fosse soltanto un randagio, me lo ricordo come se lo vedessi adesso. Marrone, tipo segugio, orecchie lunghe, occhioni grandi e tristi, magro e dall'andatura dinoccolata, la coda tra le gambe.

Allora non potevo capirlo, ma probabilmente era un cane che ce le prendeva, chissà quanti calci, quante volte sarà stato scacciato, allontanato, trattato in malo modo. 

Ero una bambina obbediente, ma per lui facevo un'eccezione, lo accarezzavo eccome, oh, se lo accarezzavo e gli davo anche dei bacetti sulla testa. 

Quando mi chinavo, con la faccia tra le sue morbide orecchie, sbirciavo dentro la bottega per assicurarmi che mamma non mi vedesse. Lei era sempre di schiena, aveva quel cappotto rosso che mi piaceva tanto. Alla sua destra i corpi appesi dei polli spellati, il bagliore dei ganci di metallo che rimandavano all'infinito altre immagini di altri corpi appesi. Ogni tanto un guizzo veloce. Le mani del macellaio sporche di sangue che tagliavano e trinciavano.

Corpi e corpi a non finire. 

Quello del cane, il mio, quello di mamma, quello dei tanti cadaveri animali. Io ero fuori e dentro. Spettatrice partecipe di una natura morta.

Penso che già allora percepissi l'orrore, il disgusto fisico e morale, che chiamavo semplicemente "puzza".


giovedì 1 aprile 2021

Figlia del cuore di Rita Charbonnier

 

Ayodele è una bambina di otto anni che trascorre i pomeriggi a mangiare patatine davanti alla tv insieme al fratellino Obani. 

Da vicino potrebbe sembrare una delle tante storie di genitori assenti che trascurano i figli, ma se proviamo ad allargare l'inquadratura come se fossimo dotati di una telecamera immaginaria, apprendiamo altri particolari. Ayodele e Obani non vivono in una casa qualsiasi, ma in una stanza di un Istituto di suore. La mamma non ce l'hanno più e il papà è effettivamente un padre assente che si fa vedere solo la sera. 

Ayodele però è felice così, per lei quelle mura, quelle patatine, quello schermo che la rapisce e la vicinanza del fratellino rappresentano quanto di più simile a una casa e a una famiglia possa esserci.

Un giorno però le viene presentata una donna che si chiama Sara, una donna piccina, minuta e dalla pelle quasi diafana che immediatamente verrà soprannominata "la marziana". Mai soprannome avrebbe potuto essere più indicato perché la donna la porta effettivamente in un pianeta sconosciuto dove vigono regole stranissime e rigide. Un posto in cui la televisione si guarda al massimo per mezz'ora, ci si lava i denti tutte le sere, a tavola si apparecchia con ben otto oggetti diversi per ogni persona presente e soprattutto si deve faticare tantissimo per apprendere una nuova lingua, che è la lingua che parlano le famiglie vere, quelle che da "cerchio diventano un cuore". 

Ancora una volta Rita Charbonnier ci racconta una storia di donne immerse nella Storia alle prese con le dinamiche, problematiche e conflitti della loro epoca. L'epoca però stavolta non è quella del ventennio fascista (Le due vite di Elsa), non è il settecento (La sorella di Mozart) e nemmeno l'ottocento (La strana giornata di Alexandre Dumas), bensì quella attuale. Una storia che nel sottotesto affronta tante questioni attuali, integrazione, immigrazione, tratta delle ragazze nigeriane, ma che soprattutto affronta il tema della famiglia, ossia dei tanti modi in cui si può formare e definire una famiglia, i diversi modi in cui si può essere madri e figli. Ayodele scoprirà così che esistono figli di pancia e figli del cuore e che si possono avere non soltanto una madre e nemmeno due, ma anche addirittura tre (tre come i capitoli in cui è suddiviso il libro, Uno, la base di ogni cosa, due, Il minimo indispensabile, e tre, La cosiddetta perfezione). 

La storia è narrata dal punto di vista di Ayodele, che è quindi protagonista e io narrante, ed è una storia vera, anche se l'autrice dichiara di aver aggiunto o modificato alcuni particolari, nonché cambiato i nomi per esigenze drammaturgiche e, immagino, di privacy. Come nei precedenti romanzi, Rita Charbonnier presta molta attenzione al registro linguistico e narrativo. Ayodele è una bambina che soffre di disturbi dell'attenzione e che fa fatica ad apprendere, non sa leggere e si rifiuta di parlare. 

Il linguaggio e i termini scelti nel libro sono quelli di un'adolescente che racconta la sua storia, da quel fatidico giorno, esattamente tremilasettecentosettanta giorni prima (la precisione numerica non è un particolare irrilevante, ma anche i numeri a un certo punto possono diventare altro e la maturità non è soltanto un fatto anagrafico), in cui conobbe Sara la marziana ed ebbe inizio quel percorso che la porterà da "diamante grezzo" a brillare il tutto il suo splendore. In mezzo le tante avversità e paure che Ayodele e Sara dovranno affrontare, tra cui quella della legge che non consente alle donne single di adottare bambini. In parallelo al percorso della ragazzina, si racconta anche quello del fratello e ci saranno presentati vari personaggi, tra cui, memorabile, quello di nonna Angela, madre di Sara, capace di entrare in sintonia con Ayodele come pochi altri: "Ma quello sguardo tra di noi è stato come quando fai pace anche se non hai litigato, come quando dentro di te si libera qualcosa che era imprigionato, e si mescola con qualcosa che era imprigionato dentro l'altra persona e si è liberato."

"Figlia del cuore", edito da Marcos y Marcos, è un romanzo di buoni sentimenti, volutamente, nel senso che anche quando si parla di tragedie e drammi, che sono ovviamente presenti, visti i temi trattati, lo si fa con la massima delicatezza e con enorme rispetto delle persone coinvolte. È una di quelle storie che ci fa bene leggere - e che non si riesce a metter via finché non si arriva alla fine - perché fa bene sapere che al mondo esistono persone che si impegnano a far andare le cose nel migliore dei modi possibili, anche se il mondo non è affatto il migliore dei possibili e nonostante si abbia a che fare con individui segnati da ferite che sembrano insanabili.

Una storia commovente perché vera e vera non soltanto perché basata appunto su una storia vera, ma perché narrata con sincerità.

Cosa si può chiedere alla scrittura, alla letteratura, se non, in primo luogo, la sincerità?