L'altro giorno stavo camminando e sul lato opposto della strada avanzava, in parallelo a me, un ragazzino che avrà avuto sui dodici anni. A un certo punto mi è andata la saliva di traverso e ho iniziato a tossire ripetutamente. Il ragazzino mi ha guardata e ha affrettato il passo, anche se tra noi c'era di mezzo la larghezza di una strada abbastanza ampia.
Qualche metro più avanti me lo sono ritrovato accanto a un semaforo. Era sovrappensiero, inizialmente non aveva fatto caso a me, poi deve avermi notata e riconosciuta (quella che tossiva!) e ha fatto un balzo velocissimo per allontanarsi, tirandosi su la mascherina fin quasi sotto agli occhi. Nemmeno avesse visto un'appestata!
La cosa un po' mi ha fatto sorridere, ma poi anche riflettere su quanto deve essere difficile per i bambini e i ragazzini vivere in questi tempi di epidemia. Noi abbiamo tanti strumenti per razionalizzare e tranquillizzarci, strumenti critici che usiamo per interpretare le notizie, o per pensare a eventuali soluzioni in caso ci ammalassimo, ma loro no.
Ricordo di come nella mia testa di bambina venissero amplificati i fatti esterni di cui mi giungevano gli echi attraverso la televisione, i discorsi degli adulti, le parole colte di sfuggita in vari momenti della giornata. Nella mia infanzia e primissima adolescenza c'erano gli anni di piombo, il terrorismo, i rapimenti. Ricordo che con le amichette giocavamo a rapiti e rapitori. Il sequestro Moro e di altri personaggi di spicco risuonava nella mia testa e veniva amplificato di tutte le paure possibili che un bambino può provare a quell'età.
Pensate adesso a questi bambini di oggi che hanno visto i telegiornali, che non sentono parlare d'altro da mesi, che sono stati ossessionati da mascherine, distanze, lockdown, quarantena, coprifuoco e restrizioni varie.
Terrorizzati da un colpo di tosse, da uno starnuto. Immaginate la loro paura di perdere i genitori e di restare soli.
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