Veterinari della Asl che si occupano degli animali cosiddetti da reddito, etichetta che ovviamente attribuiamo in modo arbitrario, che ti dicono che "la mucca non sente" e "non si accorgono quando vengono uccisi, non sentono nulla".
Famigliole che infilzano un'anguilla e la mettono ad arrostire sul camino mentre si dibatte, condannandola a una lenta agonia; sullo sfondo voci di bambini umani che così apprendono la normalità della violenza.
Questi, due aneddoti a caso di cui sono venuta, ahimè, tristemente a conoscenza durante il fine settimana.
Queste persone sono mostri? Non direi, cioè non nel senso comunemente inteso per il termine "mostro".
Queste persone sono normali, così come normale è il male che agiamo quotidianamente nei confronti di tanti individui di cui disconosciamo il valore e le percezioni.
Lo specismo è questo concetto qui: una fede granitica in credenze, idee, convinzioni cosiddette definizionaliste, cioè che vengono credute per vere per definizione, senza bisogno di passare al vaglio della discussione, della critica, della validità.
C'è ovviamente, alla base, anche l'effetto di una profonda dissonanza cognitiva, cioè l'accantonamento inconscio di quella parte di realtà che bussa alla porta e che si fa finta di non udire perché altrimenti crollerebbero tutte le idee che abbiamo anche di noi stessi, di persone perbene che mangiano gli animali perché "così si è sempre fatto, perché non sentono, perché non sono come noi e perché non sentono dolore".
Poi c'è, almeno per quanto riguarda veterinari asl e allevatori, pure moltissima malafede finalizzata a mantenere l'impianto specista in quanto gli animali costituiscono materia prima da lavorare e su cui guadagnare, materiale rinnovabile pressoché infinito.
La coscienza di molti è come il dolore di quell'anguilla: forse urla, in un angolino, in profondità, ma le sue urla sono mute, non vengono ascoltate, si fa finta di non sentirle; peggio, si fa finta che non ci siano.
Negare il dolore altrui è forse la peggiore forma di violenza.
Preferisco i sadici, coloro che godono del dolore altrui, ma almeno lo riconoscono.
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