I genitori lo difenderanno dicendo che è stata una bravata, una ragazzata, che non voleva fargli del male, voleva solo fare un video divertente. La legge lo proteggerà perché ha solo tredici anni e al massimo lo obbligherà a colloqui con lo psicologo o a qualche ora di servizio sociale. Questo perché nella nostra società intrisa di cultura specista esiste una gerarchia di valore delle esistenze e quelle degli animali non umani figura all'ultimo posto. Alla voce: risorse da sfruttare o da eliminare o su cui sfogare le proprie frustrazioni (e il discorso vale pure per tanti sedicenti animalisti).
Era solo un gattino, ucciderlo è poco più che schiacciare una formica, che del resto è solo una formica, ancora meno del gatto.
Il problema è lo specismo, che non è capitalismo o altro. Lo specismo riguarda la maniera in cui pensiamo e consideriamo gli altri animali, quindi l'animalità, in opposizione a quella che si potrebbe definire una vera e propria mitopoiesi, cioè alla costruzione al limite del mitologico del concetto di umanità.
È da questa costruzione teorica che prendono vita i presupposti per sfruttare materialmente gli animali nei modi che sappiamo o, per restare in tema, per trattarli come fossero palloni per giocare a calcio perché ogni oppressione necessità di un presupposto simbolico e di un insieme di pregiudizi culturali per poter essere naturalizzata, normalizzata e legittimata.
Il fatto: un ragazzino di tredici anni ha intenzionalmente colpito un gattino come se stesse tirando un calcio di rigore. Con una forza e una leggerezza insieme che non saprei nemmeno come definire. Solo che il gattino era un essere vivente senziente e non un pallone da calcio e la porta non era una rete, ma un muro. Il gattino è rimasto ad agonizzare e poi è morto. Il ragazzino si è fatto riprendere in video e dopo aver tirato il calcio si è voltato imitando alla perfezione la gestualità dei giocatori quando fanno un goal. Petto gonfio, spalle rilassate, espressione trionfante leggermente camuffata da finta modestia, come a dire "Sì, beh, quanto sono figo". Gli amici in sottofondo ridevano. Poi hanno postato il tutto su Tik Tok, vantandosi della notorietà acquisita in poco tempo. Non una parola di pentimento.
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