In montagna ho assistito a una scena parecchio emblematica del modo offuscato dalle lenti dello specismo con cui generalmente vediamo e interpretiamo alcuni comportamenti degli animali.
C'era un gruppo di mucche che stava pascolando su un prato molto grande. Erano sparse, alcune a parecchia distanza l'una dall'altra, altre più vicine. Intente e concentrate a mangiucchiare erba, prendere il sole, strofinarsi contro alcuni massi per auto-massaggiarsi e grattarsi, passeggiare, dormicchiare. A un certo punto, lungo il sentiero sterrato che costeggiava il pascolo, si è vista arrivare la macchina del pastore.
L'abbiamo vista noi e anche le mucche, di cui probabilmente hanno anche sentito il rumore in lontananza ancor prima che la vettura sbucasse dalla salita.
Alcune hanno cominciato a muggire e, come a un cenno convenuto, tutte le altre hanno immediatamente sospeso le loro attività per radunarsi intorno al pastore, che nel frattempo aveva fermato l'auto ed era sceso.
Gli sono andate tutte intorno, come per salutarlo, muggendo e scuotendo la testa. Poi, così radunate, lo hanno seguito per non so dove (probabilmente le stava facendo rientrare per la notte).
Le persone che erano lungo il sentiero sono rimaste sorprese da questo comportamento intelligente delle mucche e l'hanno interpretato in una chiave assolutamente positiva. Mucche felici di rivedere il pastore. Mucche affezionate al pastore. Il buon pastore che quindi deve per forza trattarle bene, altrimenti non gli sarebbero andate incontro festose.
In realtà dietro questo comportamento si nasconde una duplice forma di coercizione: quella dell'addestramento (le mucche sono state addestrate sin da piccole, a suon di pungolature e sgridate, a seguire il pastore) e quella della consapevolezza di dipendere da lui, volenti o nolenti.
Il pastore è quello che gli procura il cibo, che le porta al pascolo, ma a orari ben prestabiliti, pascoli comunque ben delimitati da fili elettrici o fili spinati e da cui non si può fuggire. Il pastore è colui che le sfama, che gli consente di avere una vita apparentemente libera, ma è anche colui che un giorno deciderà quale mandare al macello e quale no. Quella mano da cui sono costrette a dipendere è la stessa che le tradisce e ha potere di vita (fornitura di cibo) e di morte (mattatoio) su di loro.
Certamente queste mucche proveranno anche un affetto sincero per lui, così come un bambino prova affetto per il genitore che comunque lo sfama, pure se sarà un genitore cattivo.
Non voler vedere tutto questo, oggi, è un non voler sapere. Il non voler sapere e conseguente benda specista sugli occhi è funzionale all'attaccamento alla bistecca o bicchiere di latte.
Siamo tutti responsabili di questa cecità collettiva, in parte indotta dal sistema, in parte perseguita con ostinazione dai singoli individui.
Far credere che le decisioni dei singoli non contino è una strategia funzionale al mantenimento del sistema di dominio sugli animali. Invece le nostre scelte contano. La vostra, come la mia.
La prossima volta che vedrete degli animali apparentemente felici, - allo zoo, al circo, nei pascoli - chiedetevi se è davvero così e interrogatevi sul fine ultimo di quelle gabbie, di quei recinti, di quelle esistenze.
Le esistenze non dovrebbero avere alcun fine se non quello implicito nell'esistere stesso. Se si vive in funzione di qualcosa o degli interessi di qualcuno, non si è individui liberi, ma schiavi. Da ciò se ne deduce che tutti gli animali sono schiavi.