Opera prima del regista cileno Gaspar Antillo, prodotto da Netflix e presentato al Tribeca Film Festival ad aprile di quest'anno, potrebbe essere un film bellissimo se non fosse per un particolare, ossia la caratterizzazione quasi idilliaca - e comunque normalizzata - del "lavoro" di allevare pecore per la loro pelle. Non è questo il focus della storia, ma è comunque parte della storia.
Jorge Garcia (diventato famoso per aver interpretato Hugo Reyes nella serie televisiva Lost, qui dimostra di essere anche un ottimo cantante) interpreta Memo, un ex bambino dalla voce meravigliosa che è stato sfruttato, e distrutto psicologicamente, dall'industria musicale e da un padre senza scrupoli che aveva accettato di vendere la sua voce mettendola al servizio di un altro ragazzino, dall'aspetto fisico più vicino ai canoni estetici richiesti per diventare una star, che si esibisce al suo posto e diventa famoso usando la voce di Memo in playback.
Il film inizia con Memo adulto che si è ritirato dal mondo (letteralmente e psicologicamente) e vive su un'isoletta dove appunto lavora insieme allo zio allevando pecore e conciandone le pelli. Non è un particolare. Le pecore vengono mostrate più volte attraverso una narrazione mistificante che vorrebbe dimostrare quanto siano trattate bene. Memo la mattina le saluta affettuosamente e in una scena interviene in soccorso di una che era rimasta incastrata con la testa sotto al cancello.
Si passa poi a scene in cui le pelli vengono riconsegnate a Memo e allo zio per essere conciate e lavorate.
Quindi praticamente la loro attività è quella di allevare e conciare pelli. C'è un'omissione importante: quella in cui le pecore vengono spedite al mattatoio e uccise.
Il personaggio di Memo è caratterizzato in maniera assolutamente positiva. Sulla fine viene rimarcato espressamente quanto il suo animo sia sensibile, quanto sia un vero uomo, buono, talentuoso, dalla voce meravigliosa ecc.
La sua caratterizzazione lo mostra come una persona vittima, traumatizzata dagli eventi di quando era bambino. Una persona sensibile, anche se irascibile e facile a perdere le staffe, ma è comunque un atteggiamento pienamente giustificato nell'economia della storia e alla luce del suo vissuto doloroso.
Tramite l'utilizzo dei flashback apprendiamo la sua storia passata e capiamo che trascorre le sue giornate tra il "lavoro" e i sogni ad occhi aperti in cui immagina di essere su un palcoscenico e di esprimere se stesso, dimostrando finalmente al mondo chi è, il suo talento, il vero corpo cui era appartenuta quella voce prodigiosa dei successi del passato. Nella realtà non parla più, si esprime a monosillabi solo quando non può farne a meno, in una totale rinuncia della sua voce.
La sera indossa abiti colorati e luccicanti che taglia e cuce da solo (rubati dalle ville dei turisti disabitate in cui entra di nascosto di notte), chiuso nella sua stanza o in mezzo al bosco, indossa le cuffie per ascoltare la musica, chiude gli occhi e sogna.
Memo sa che il mondo ha amato la sua voce, ma non la sua persona, rifiutata dallo star system, non conforme ai canoni richiesti da un mondo votato all'apparenza.
È un personaggio che commuove, che suscita ammirazione, per cui facciamo il tifo sin dalla prime scene e per cui proviamo una sincera e profonda empatia. Siamo con Memo e speriamo in suo riscatto e proviamo malessere e disagio, accompagnati da un sentimento di ingiustizia, quando apprendiamo il modo in cui è stato usato dal padre e dall'industria musicale.
La storia procede poi con l'incontro di una ragazza a cui rivela il suo passato e la messa in moto di una serie di eventi che lo condurranno ad affrontare il mondo esterno e a confrontarsi con Angelo, il ragazzino che era diventato famoso con la sua voce e che ora è un motivatore, scrive libri e viaggia.
La connotazione assolutamente positiva del protagonista è profondamente funzionale all'accettazione e normalizzazione di quello che fa sull'isola, ossia sfruttare le pecore e lavorarne le pelli. Memo è una vittima e la sua caratterizzazione lo mostra come tale, ma quello che non viene detto è che anche le pecore lo sono e non solo nella storia, ma nella vita reale.
Peccato che un film così delicato e commovente sia anche manifestamente specista, violento, antropocentrico.
Il mio giudizio è diviso. L'estetica non può non tener conto dell'etica. Il fatto è che se anziché allevare e uccidere pecore, il protagonista allevasse e uccidesse bambini, avremmo avuto la storia di un serial killer con una bella voce; invece poiché "sono soltanto animali", abbiamo una storia di riscatto e guarigione.
Comunque io ve lo consiglio perché nonostante tutto, da un punto di vista formale, di narrazione, linguaggio cinematografico e significati complessivi (specismo a parte) l'ho parecchio apprezzato. Non so se potrebbe essere definito un musical anomalo, con elementi anche surreali, perché sebbene si senta soltanto un brano ripetuto più volte (e l'accenno di un altro), questo brano è comunque un elemento drammaturgico importante, che scandisce e fa procedere la narrazione e direi anche fondamentale per la comprensione del film. Il brano musicale è parte della sceneggiatura, della storia e il testo, che ascoltiamo interamente soltanto alla fine, aggiunge significato.
Jorge Garcia è molto bravo, intenso, capace di passare dalla goffaggine alla grazia in un attimo.
La consapevolezza dell'ingiustizia del modo in cui la nostra specie tratta e considera gli altri animali è uno sguardo sulla realtà talmente decisivo, rivoluzionario e radicale che a volte rende impossibile godere anche di un bel film, ma una volta aperti gli occhi non è più possibile chiuderli.
Nessun commento:
Posta un commento