Johari è con noi da poco più di un anno, orfano di mamma umana, mia cognata, purtroppo deceduta a gennaio 2019. Le avevamo promesso che ci saremmo presi cura dei suoi due gatti, Johari, appunto, e Olimpiodoro (di cui parlerò domani); oltre al dolore per la sua scomparsa avevamo tanta paura che potessero esserci problemi di inserimento con i nostri e che il radicale cambiamento di abitudini e casa, nonché la perdita della loro mamma umana, li facesse ammalare di depressione.
Johari, perché ora parliamo di lui, era un micio già problematico. Completamente sordo e con lievi problemi neurologici. Da piccino la sua situazione era stata ben più grave, ma mia cognata lo aveva curato moltissimo, così che alla fine gli è rimasta solo una leggera mancanza di equilibrio (che non gli impedisce di saltare e arrampicarsi, solo che lo fa a modo suo e ci mette più tempo), un occhietto socchiuso, la boccuccia e la testina leggermente storte. Quando mangia sputacchia ovunque, è bene non stargli vicino perché potreste ritrovarvi pezzi di cibo fin sopra i capelli.
A Johari sono rimasta subito simpatica. I primi giorni, insieme a Olimpiodoro, si era rifugiato nell'ingresso. Timoroso, triste per la perdita della sua amica umana, se ne stava fermo in un angolo, tanto che gli abbiamo sistemato cuccia, ciotole e lettiera proprio lì, nell'ingresso, per non costringerlo a doversi avventurare in territori per lui sconosciuti prima che fosse pronto.
A poco a poco ha iniziato a prendere confidenza con l'ambiente, ha scoperto il terrazzo, le altre stanze, annusato gli altri mici - e anche fatto loro capire che non aveva alcuna intenzione di sottomettersi - e infine ha scoperto la mia stanza da letto. Da allora, per molti mesi, non si è più mosso da lì. Il giorno in cima a un armadio, la notte sul mio cuscino.
Johari è particolarmente affettuoso. E quando dico "particolarmente" intendo in modo quasi ossessivo-compulsivo. Se decide di leccarti la faccia, ad esempio, non c'è niente che possa fargli cambiare idea. Pure perché è sordo e non sente alcun rimprovero, non sente "adesso basta" e "no".
La notte di capodanno, allo scoccare della mezzanotte e dell'esplosione dei botti, c'è stato un parapiglia di mici che scappavano spaventati da tutte le parti per andarsi a nascondere, chi sotto al letto, chi dietro al divano, chi dietro ai mobili. Johari no, lui se ne stava tranquillo a mangiare i croccantini dalla sua ciotola; ha sollevato giusto un attimo la testina quando un micio correndo lo ha quasi travolto e lo ha guardato con un'espressione come per dire "me pari matto, ma 'ndo corri?" e poi si rimesso placidamente a mangiare. Sputacchiando ovunque.
Se a me lecca la faccia, ad Andrea fa di peggio. A lui gli prende la testa a morsi. Sempre per affetto, eh. O perché vuole qualcosa (che gli si apra la porta, che gli si dia da mangiare, che gli si facciano le carezze). Comunica a modo suo. E si fa capire benissimo.
Insomma, Johari è un gatto strano, anche fisicamente - ha la testa piccola rispetto al corpo, e sulla testa due orecchiette ancora più piccole e vicine, un pon pon bianco sulla coda -
ma ci ha insegnato tante cose: la capacità di riprendersi da un lutto, di rialzarsi, di adattarsi a qualcosa di nuovo, di tornare ad amare, di comunicare e interpretare, di mettersi in ascolto di codici diversi. E poi ci ha ribadito l'unicità. Unicità che appartiene a tutti gli animali.
Rispettate gli animali, tutti, sono sensibili e senzienti. Non li mangiate, aiutateli, imparate a conoscerli, siate curiosi e rifiutate i pregiudizi.
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