Attenzione, contiene SPOILER.
- Cosa c'è di divertente?
- Stavo pensando a una battuta.
- Vuoi raccontarmela?
- Lasciamo stare. Non capirebbe...
Un film perfetto. Talmente perfetto che rimane ben poco da dire.
La scelta di Joaquin Phoenix come attore protagonista non poteva essere più azzeccata perché ha la giusta dose di intensità, fascino e seduzione, oltre che bravura.
Un film spettacolare, ma profondo. La parabola di Arthur Fleck è una parabola esistenziale, sociale, politica, ma soprattutto una tragedia umana, o una commedia, sebbene amara, come afferma lui stesso. La commedia in fondo è solo una storia tragica vista sotto la lente distorta dell'umorismo.
L'intera sceneggiatura si regge su questo delicatissimo filo portante del comico che si nutre del tragico. Un equilibrio che non si spezza mai dall'esito perfetto; mai grottesco, mai sopra le righe.
Ci sono diverse reminiscenze di altri capolavori, per esempio l'uso delle maschere che diventano un simbolo di ribellione le avevamo già viste in V for Vendetta, ovviamente Re per una notte, Freaks (solidarietà tra i "diversi"), Taxi Driver, mentre Gotham City a tratti ricorda la New York de I guerrieri della notte: sporca, decadente, violenta, ma soprattutto in discesa libera verso la perdita di ogni senso. Ed è in questa perdita di senso dell'esistere che il film si eleva a una dimensione che va oltre la mera analisi socio-politica.
Certo, c'è l'esplicita condanna a una società che anziché aiutare le persone in difficoltà o comunque disagiate le abbandona ai margini, infierisce, le calpesta e finisce o per trasformarle in mostri o per schiacciarle irrimediabilmente. Gli "invisibili" da cui i bulli e i potenti traggono linfa e nutrimento. Emblematica, in questo senso, la cattiveria di Murray, che dapprima bulleggia Fleck e poi lo usa per far salire gli ascolti del programma.
Ma ridurre il film alla sola lettura socio-politica sarebbe limitante: emerge la ferocia di un'umanità senza più freni inibitori, dionisiaca quasi, che si ribella o che, forse, ha finalmente il coraggio di essere se stessa, una volta consapevole di non avere più nulla da perdere.
Il macabro trionfo finale è addirittura commovente. Sublime.
Bellissimo il parallelismo tra la scena in cui fugge dalla metro e quella in cui fugge dalla clinica psichiatrica dopo aver rubato il fascicolo della madre: entrambe strutture opprimenti, di lucido acciaio e degrado, la prima per trasportare un'umanità che ancora si muove entro le norme del vivere sociale, la seconda per contenere un'umanità derelitta che ormai ha abdicato a sé stessa. Joker le attraversa entrambe, lucidamente, danzando e in corsa, leggero, finalmente visibile, il re della follia, ma anche della ragione di un mondo spietato.
Folle è il mondo, saggio colui che lo capisce e lo rifiuta. E quando non si può più vivere non rimane che danzare, o ridere, o bruciare tutto... perché tanto... nessuno capirebbe.