Da un piccolo episodio si possono apprendere tante cose, ad esempio il rapporto che intratteniamo con gli altri animali sin da quando siamo piccoli, sintomatico della cultura specista in cui siamo immersi.
Ci allenano allo sguardo oggettificante portandoci allo zoo, al circo, nei delfinari e negli acquari e per estensione cresciamo convinti che gli altri animali siano lì per noi, che esistano affinché noi possiamo osservarli, studiarli, giocarci. La scienza rafforza poi questo concetto, classificando, selezionando in razze da allevare, comprare, mercificare, da usare nei laboratori. Tutto ciò concorre a formare gerarchie di valori e distinzioni tra la vita umana e di chi umano non è, anche se senziente e capace di fare esperienza del mondo.
Ieri passeggiavo in un parco e a un certo punto ho notato un capannello di bambini, tra cinque e dieci anni, intenti a smuovere qualcosa per terra. La frase pronunciata da uno di loro, "non ucciderlo!" mi ha convinta ad avvicinarmi: stavano giocando con un piccolo rospo, spaventatissimo e che tentava di nascondersi dentro una specie di tombino che però aveva il coperchio sollevato, dagli stessi bambini. Li ho pregati, con tutta la dolcezza e gentilezza possibili, di lasciarlo stare e di non disturbarlo, cercando anche di fargli degli esempi che potessero portarli a provare empatia, "vi piacerebbe se qualcuno, un gigante, vi venisse a disturbare mentre dormite o state facendo le vostre cose?". Ma non c'è stato nulla da fare, volevano assolutamente vederlo, toccarlo, giocarci, prenderlo. Uno voleva addirittura ucciderlo, con una pietra. A quel punto ho chiamato Andrea chiedendogli di portarmi una scatolina, così l'abbiamo preso e messo in un posto al sicuro, tra gli sguardi delusi dei bambini che avrebbero voluto continuare a giocarci. In quei pochi minuti che sono rimasta in attesa dell'arrivo di mio marito con la scatolina, ho dovuto faticare non poco per impedire che lo prendessero e gli facessero del male. Devo dire che, a parte il bambino che voleva ucciderlo, tutti gli altri provavano solo sincera curiosità. In sé una cosa buona. Quello che non va bene è l'assoluta convinzione del diritto di poter guardare, osservare, giocare, spostare, manipolare un animale selvatico. Una convinzione che ha radici antichissime e che prende avvio dall'antropocentrismo, dal pensiero di cui sopra, ossia che gli altri animali esistano per noi.
Ho tentato di spiegargli che non è così, che gli animali non vanno disturbati e spero di aver magari seminato un pensiero diverso in qualcuno di loro, ma non ne sono molto convinta.
Purtroppo tutta la cultura in cui siamo immersi, che apprendiamo, ci dice il contrario. Dobbiamo lavorare tanto, tantissimo per abbattere questo sguardo dominante che abbraccia il mondo intero e che fa sentire ognuno di noi padrone di altre vite, solo perché diverse o più deboli costituzionalmente. Specismo, sessismo, razzismo iniziano tutti lì, da quel primo sguardo assoggettante che si sente in diritto di definire l'altro su un piano di disparità e dominio. A volte non c'è cattiveria, solo voglia di giocare, curiosità, ma gli altri animali sono soggetti della loro stessa vita e non giocattoli o prodotti.