Molto spesso noi antispecisti definiamo chi lavora nei mattatoi, allevamenti o altri lager simili come dei sadici. Io penso invece che più che di sadismo si tratti di qualcosa ancora peggiore, ossia proprio della mancanza di empatia e del riconoscimento degli animali in quanto individui.
Il sadico sa riconoscere la sofferenza che procura, gode nel procurarla, quindi è perfettamente consapevole del fatto che la sua vittima stia soffrendo; in un certo senso il sadico è empatico con la sua vittima, cioè sente il suo stesso dolore, può immaginarselo e ne gode; mentre la maggior parte degli addetti al mattatoio vedono, percepiscono e di conseguenza trattano gli altri animali come se fossero solamente degli oggetti. Non gli riconoscono un sentire, la capacità di provare dolore, paura, tristezza, panico. In poche parole, non gli riconoscono la soggettività, l'individualità. Sono più come degli psicopatici privi di empatia che lavorano per perseguire un obiettivo - quel che chiamano lavoro e lo stipendio a fine mese che ne deriva -, incapaci di riconoscere individualità e soggettività nelle creature che gli passano per le mani.
Attenzione, io qui non uso il termine "psicopatico" in un'accezione offensiva, ma descrittiva di una precisa patologia, cioè dell'incapacità di comprendere e "sentire" chi si ha davanti. Non so se in parte possa collimare con la dissociazione cognitiva, che è indotta anche culturalmente.
E a proposito di cultura, infatti poi ci sono anche quelli che invece capiscono benissimo che questi animali stanno soffrendo, ma si convincono che la loro sofferenza sia di grado minore della nostra, o che sia necessaria, o che comunque questa sofferenza valga la pena di essere procurata per i nostri interessi in quanto interessi superiori a quelli della vita e libertà degli altri animali. E questi sono pensieri e giustificazioni di auto-assolvimento derivanti dalla cultura specista e antropocentrica; che ovviamente trovano sostegno nella normalizzazione, naturalizzazione, sistematicità e legalizzazione di tali pratiche oppressive.
1 commento:
Ciao Filippo, un antispecista non mangia animali, né consuma qualsiasi altro prodotto che comporti lo sfruttamento e uccisione degli altri animali; ovviamente seguendo un percorso virtuoso che non è una gara di purezza a chi è più vegano perché è ovvio che in una società specista spesso ci si trova di fronte a situazioni complesse e limite (che so, faccio un esempio, viaggiamo in aereo e magari siamo corresponsabili dell'uccisione di stormi di uccelli o inquiniamo distruggendo habitat ecc.), ma almeno fin dove possiamo, compiamo scelte e azioni che evitano di nuocere e di contribuire allo sfruttamento. L'antispecismo riconosce agli altri animali pari diritto a vivere, a non essere sfruttati, oppressi, uccisi, discriminati.
Come l'antirazzismo e il movimento che ci fu per abolire la schiavitù dei neri, non può accettare forme di schiavitù regolate e apparentemente più soft, ma mette in discussione l'impianto di oppressione di fondo.
Se cerchi qui sul mio blog alla voce wlfarismo o benessere animale o specismo troverai altri post sul tema in cui spiego meglio questo concetto.
Aggiungo una cosa: si può essere vegan senza essere antispecisti (falsi veganismi, come dice Fragano nel libro Disobbedienza vegana), ossia per motivi di salute o altro, comunque indiretti rispetto al tema della liberazione animale; ma non si può essere antispecisti senza essere vegan perché sarebbe come definirsi, che so, femnministi, e poi sfruttare le donne o antischiavisti e poi avere gli schiavi al servizio.
Perdona la risposta abbastanza sintetica, ma ho scritto molto qui sul blog sull'argomento, se vorrai approfondire. Grazie per il commento.
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