mercoledì 10 aprile 2019

Abbandonare il linguaggio del dominio


Chi si occupa di antispecismo e liberazione animale dovrebbe sforzarsi di non dire più "allevamenti intensivi".

L'aggiunta del termine "intensivo" fa pensare che il problema sia il tipo di allevamento e non il concetto in sé di far nascere, imprigionare, schiavizzare e mandare a morire individui senzienti.

Il termine "intensivo" ormai lo criticano anche gli allevatori stessi e in generale tutte le aziende che fanno greenwashing per dimostrare che esista invece un altro modo, etico (sic!), di sfruttare (ma loro dicono "allevare"!) gli animali. Usano termini come "allevamenti attenti al benessere animale", "allevamenti bio", "allevamenti a terra", "allevamenti all'aperto" per darsi una parvenza di eticità, ma nella sostanza fanno sempre le stesse cose: fanno nascere, imprigionano, schiavizzano e mandano a morire individui senzienti per trasformarli in prodotti.

Pensateci bene, è come se ai tempi del nazismo avessimo parlato di lager intensivi o lager attenti al benessere dei prigionieri.

Una gabbia leggermente più grande, un allevamento più pulito, tenuto meglio, non è meno violento e crudele di altri, se il fine è lo stesso.

Ovviamente c'era da aspettarselo che il sistema si difendesse provando a differenziare i tipi di allevamenti, ma almeno non prestiamoci al loro sporco gioco. Altro che greenwashing!

Se c'è modo e modo di schiavizzare e sfruttare, come dicono gli allevatori, - e pensate all'assurdità dell'affermazione: se si è sfruttati, si è sfruttati, se si è schiavi, si è schiavi, non è che si può essere un poco sfruttati, un poco schiavi o sfruttati meglio, schiavi migliori - c'è comunque un solo modo per morire che riguarda tutti questi individui: ammazzati a testa in giù, con la gola recisa, scalpitando di terrore fino a che il sangue non cessa di sgorgare e si esala l'ultimo respiro. 

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