Riprendendo il post di ieri, ci tenevo a chiarire alcuni punti.
Il tipo di trattamento che riserviamo agli altri animali è diverso in base alle specie e al tipo di utilità che pensiamo di trarne. Alcuni si sfruttano in modo diretto per trarne profitto: vengono utilizzati come macchine per produrre il latte, le uova, uccisi per essere usati come materia inerte (per la pelle, la pelliccia, il cuoio ecc.), fatti ingrassare per essere trasformati in salsicce, bistecche ecc., tenuti in vita nei laboratori per farci esperimenti; altri vengono schiavizzati e domati sempre per trarne profitto: è il caso di quelli nei circhi, negli zoomarine, e anche dei cavalli che trainano le botticelle o che vengono montati per le corse; altri ancora vengono uccisi per tradizione, è il caso della caccia e della pesca cosiddetta sportiva; altri vengono uccisi per un mix di profitto legato alla tradizione (la tradizione lo giustifica), è il caso della corrida, per esempio, o di altre "attività" cruente del genere (combattimento dei cani, per dirne una).
Poi ci sono altri animali che vengono mercificati per un duplice fine, è il caso degli animali cosiddetti da compagnia, cani, gatti, coniglietti, criceti ecc. Le persone li comprano per avere un animale da coccolare, gli allevatori ci guadagnano.
E poi ci sono i randagi, i selvatici, che vengono comunque discriminati, maltrattati, uccisi, cacciati, allontanati in vari modi.
Quello che voglio dire è che se il maiale viene ucciso per il profitto e quindi, secondo alcune teorie, sarebbe sufficiente cambiare sistema economico in cui le risorse fossero meglio distribuite (ma gli altri animali, se non si elimina lo specismo alla radice del pensiero, sempre risorse verrebbero considerati e badate bene che questo è un punto importante), altri vengono discriminati proprio perché ritenuti inferiori.
Il bambino che prende a calci il piccione o i ragazzini (criminali!) che torturano il cane randagio per divertimento non stanno cercando un profitto di tipo economico. Lo fanno perché li considerano inferiori. E nemmeno percepiscono l'entità del loro crimine, forse.
Non si può non considerare lo specismo come un insieme di narrazioni e di produzioni culturali funzionali a giustificare tanto il profitto ricavato attraverso l'uso degli animali, che il diverso trattamento morale che gli riserviamo nelle diverse occasioni, quello per cui se investiamo un gatto lo lasciamo a crepare in mezzo alla strada.
Quando parlo di cultura o produzioni culturali intendo anche la politica, la filosofia, l'economia, l'arte, il cinema, la lingua, il diritto (le leggi), insomma tutto ciò entro cui nasce e si forma il pensiero e tutte le cose pratiche e materiali che produciamo. Inclusa la religione. Per dire, il creazionismo delle religioni monoteiste da cui ha preso avvio la gerarchia dei viventi ha dato una bella mano allo specismo, diciamo che ne ha costituito i presupposti perché lo specismo è soprattutto la distanza ontologica tra noi e gli altri animali. Se non ci fosse stato Cartesio (e un certo tipo di pensiero, il dualismo, che divideva la materia dal concetto di anima, anima che gli animali non avrebbero posseduto) a dire che gli animali sono macchine, probabilmente lo specismo sarebbe stato meno radicato.
Per giustificare, legittimare, normalizzare tutto ciò che la nostra specie fa agli altri animali - o meglio, la relazione di dominio che instaura con loro - c'è bisogno della narrazione simbolica, ossia della gabbia metaforica che giustifica il loro sfruttamento.
Ora, per me l'antispecismo è una lotta precisa ed è una lotta multipla, pronta a colpire su diversi fronti, tutto questo qua.
Nulla c'entra col marxismo e nemmeno con l'anarchia e tutto il resto. Così come il femminismo è lotta contro l'oppressione di un sesso sull'altro (sostenuta dalla cultura patriarcale), l'antispecismo è lotta contro l'oppressione di una specie sulle altre. Poi, che lo sfruttamento sia anche per il profitto, non posso negarlo. Ma è una motivazione che da sola non basta perché non c'è solo lo sfruttamento, ma anche la discriminazione, la distanza ontologica, la diversa considerazione morale. A sostenere il profitto c'è comunque tutta la narrazione dello specismo che ho sopra elencato molto sinteticamente (potrei perdere giorni a parlare dell'uso, simbolico e non, degli animali nell'arte attraverso i secoli, per dire, o nel cinema ecc. e sono argomenti che richiedono trattazioni a parte).
Concludendo: ci sono forme di sfruttamento che non dipendono dalla ricerca di profitto e che quindi non rientrano nel discorso della lotta di classe. Peraltro, equiparare gli operai agli animali che uccidono non mi pare giusto. La discriminazione non dipende dal profitto. Quando vado in colonia e mi bulleggiano perché do da mangiare ai gatti e dicono che i gatti fanno schifo, che portano sfiga, quella è cultura (bassa, superstizione, cultura popolare), non è lotta di classe. È teriofobia. Paura del diverso. È un discorso che va approfondito in tanti modi diversi, così come quello del carnismo. Attraverso la psicologia, l'antropologia ecc.
E i selvatici? Idem. Vediamo come sono proprio considerati inferiori, a prescindere dal fatto che li si sfrutti o no.