Ogni volta che si parla di ambiente, salute, evoluzione personale, consumismo in relazione al veganismo si perde di vista l'obiettivo.
Allora, proviamo a vederla così: se uno ha un obiettivo, che so, una mèta da raggiungere ed è molto importante che ci arrivi il prima possibile perché in ballo c'è la vita di miliardi di individui senzienti, cos'è meglio che faccia per risparmiare tempo? Percorrere la strada più dritta e senza distrazioni, quella che non impedisce di perdere di vista il traguardo e che soprattutto non lo confonda con altri di diversa natura, o invece iniziare a girarci intorno, imboccando stradine laterali, svoltando a destra e manca, magari soffermandosi su postazioni e scenari che farebbero solo perdere tempo e che rischierebbero di confondere altri viandanti?
Il veganismo è un concetto ben preciso: è una pratica che contempla il fine della liberazione animale e racchiude in sé una seria di principi etici ben precisi e definiti; non una pratica finalizzata a migliorare la nostra salute, per fermare il cambiamento climatico, per far aumentare il profitto delle multinazionali o un viaggio intrapreso per la nostra evoluzione spirituale. Soprattutto non è una dieta, e nemmeno uno stile di vita. Tutto questo soffermarsi sulle ricette, sul cibo, su come mangiamo è veramente fuorviante. Giorni fa mi è passato sotto agli occhi un post in cui c'era un video di uno che faceva una torta vegan accompagnato dal commento: "anche questo è attivismo". Ma manco per niente! Ma col cavolo che è attivismo!
Tutta questa confusione, propagata dai media, purtroppo viene alimentata infatti da molti attivisti stessi quando anziché parlare dei principi etici e valori morali che sono dietro alla scelta del veganismo - ossia una presa di posizione contro lo sfruttamento degli altri animali, e quindi un profondo atto di disobbedienza nei confronti di una società che invece è edificata proprio sul loro sfruttamento - si mettono a parlare di questioni che col veganismo non c'entrano assolutamente nulla o si scambiano ricette vegane. Che poi diventare vegani possa essere utile anche per la propria salute o renderci persone migliori è un altro discorso, ma non è di questo che tratta la scelta del veganismo. Sono argomenti nemmeno indiretti, ma proprio estranei, diversi, antropocentrici, che spostano il focus su di noi. Trattasi di falsi veganismi.
Mi spiace, ma queste cose vanno dette.
Ora, c'è una persona che non solo le ha dette, ma anche realizzato un lavoro tanto rigoroso, quanto chiaro, limpido e inequivocabile per cercare di restituire al termine "veganismo" il suo significato originario (raccontando la storia delle sue origini all'interno della Vegan Society e il suo travagliato percorso; e sì, perché anche i termini, le parole, il linguaggio hanno una loro storia) e soprattutto per fare chiarezza sugli obiettivi che dovremmo prefiggerci quando parliamo degli altri animali. Obiettivi che non possiamo sperare di raggiungere sulla base di false credenze, di scarsa preparazione, di slogan svuotati di significato, o, peggio, di azioni fatte tanto per dire che si sta facendo qualcosa. C'è un momento per fare, e c'è anche un momento per mettersi a studiare, a riflettere.
Come si può pensare ad esempio che quelle stesse istituzioni che campano sullo sfruttamento animale possano realmente avere l'interesse di liberare gli altri animali? Mi sembra un po', e il paragone ci sta tutto (in riferimento alla "carne felice" e a molto riformismo), come quelli convinti che i papponi e i clienti delle prostitute, cioè persone che campano sullo sfruttamento e traggono vantaggi personali dall'uso del loro corpo, possano realmente avere l'interesse di rendere queste donne libere e autodeterminate. È un paradosso, no? Purtroppo noto che talvolta ciò che proprio manca è la conoscenza del funzionamento delle leggi che regolano il libero mercato e il funzionamento del capitalismo; sono processi che hanno un'unica funzione: la crescita esponenziale all'infinito del profitto. Quindi sono processi sostanzialmente amorali. Per questo motivo pensare di giungere alla liberazione animale strizzando l'occhio alle istituzioni e al consumismo è semplicemente folle. Come voler spegnere il fuoco gettandoci sopra benzina.
Purtroppo le buone intenzioni non bastano.
Tutto questo, ma molto molto di più è affrontato nel libro di Adriano Fragano, "Disobbedienza vegana, ovvero il veganismo come potrebbe essere". Anzi, aggiungo io, come DOVREBBE essere.
Lo sto leggendo e mi sta chiarendo tantissimi punti. Devo dire, per onestà, che inizialmente ero anche un po' perplessa su questo tentativo, per quanto nobile, perché - e Adriano lo sa, ne avevamo discusso in un post su FB tempo fa - negli ultimi tempi, a forza di veder stravolto, svilito e completamente distorto il concetto di veganismo, quasi quasi avevo pensato che fosse meglio rinunciarci. Così come si butta via qualcosa che ormai non serve più, di vecchio, obsoleto, soppiantato da altri termini e concetti.
Invece il termine veganismo non è affatto obsoleto, e, quando ben definito e circoscritto, aiuta a comprende meglio anche l'antispecismo, per quanto i due non siano semplicemente sovrapponibili (pensate che nelle prime definizioni di veganismo ad opera delle Vegan Society c'era già una descrizione in nuce dell'antispecismo, potremmo chiamarlo un proto-antispecismo, prima di Singer e Regan, e si contemplava anche la messa in discussione dell'intera società): l'antispecismo è una teoria che combatte lo specismo (per capire cosa sia, oltre a rimandare a un altro libro che ha scritto sempre Adriano, "Proposte per un manifesto antispecista", posso indicare una vasta bibliografia su richiesta), il veganismo invece può essere la sua diretta applicazione pratica, ovviamente personale, ma anche sociale nel momento in cui, come dovrebbe essere, non si limiti soltanto all'adozione di una dieta, ma comprenda la messa in discussione dell'attuale società - una società edificata sullo sfruttamento degli altri animali - e si sforzi di dare respiro e attuazione a questa messa in discussione, non solo come petizione di principio e una serie di comportamenti e azioni, ossia nel rifiutarsi di prendere parte a tutte quelle attività che contemplano lo sfruttamento animale e nel sensibilizzare, informare, protestare in vari modi e su più livelli e in ogni campo delle attività umane che usano, realmente o simbolicamente, gli altri animali, ma anche come ricerca, analisi, studio, progettualità di un vivere alternativo per la costruzione di una società diversa, non capitalistica, quindi come accoglimento di istanze squisitamente politiche, morali, etiche che riguardano il vivere collettivo, un vivere in cui si rispetti e riconosca anche la soggettività degli altri animali. Antispecismo e veganismo vanno a braccetto, non si può immaginare una società antispecista senza accogliere pienamente le pratiche del veganismo e non si può pensare a un veganismo svuotato della teoria antispecista.
P.S.: questo post non è una vera e propria recensione, diciamo più un commento scritto di getto dettato dall'entusiasmo di condividere con voi queste riflessioni.
Mi sto attivando, insieme ad altre persone, per presentare il libro a Roma. Speriamo quanto prima. E speriamo che sia l'occasione di un confronto proficuo. Affinché il termine "veganismo" sia divulgato correttamente, al netto di strumentalizzazioni e mistificazioni dei media, bisogna che ce lo abbiamo chiaro in testa noi che siamo diventati vegani per un motivo ben preciso. Se ce lo abbiamo chiaro in testa possiamo meglio argomentare e rispondere a chi tenta di gettare fumo negli occhi e di farlo passare per una dieta o altro.
Bene o male è un termine ormai conosciuto dai più, dobbiamo solo evitare la confusione del suo significato autentico ed evitare di attribuirgli altro, svilendo e depotenziando le sue istanze pienamente rivoluzionarie.
In quanto antispecisti, ossia di persone che lottano per la liberazione animale, non possiamo parlare di veganismo come una dieta o per l'ambiente o altro. Veganismo significa una cosa ben precisa.
Come si dice in gergo internettiano, più specificamente da social, Stay Tuned!