Giorni fa io e mio marito siamo stati vittime di una truffa telefonica, per fortuna ce ne siamo resi conto praticamente quasi subito e siamo andati a sporgere denuncia.
Abbiamo quindi appreso che si tratta di truffe molto frequenti: praticamente ti chiamano spacciandosi per il tuo operatore (a me hanno detto proprio che era l'amministrazione della Telecom), ti dicono che a partire dal prossimo mese ci sarà un aumento di 15 euro o di un tot per cento sulla bolletta e quindi ti fanno una serie di domande trabocchetto a cui tu, ingenuamente, rispondi sì o no oppure "ho capito", "ne prendo atto"; in questo modo, tagliando vari pezzi della conversazione, ti fanno un nuovo contratto telefonico. Chiamando la Tim per avere conferma del tutto, ci è stato risposto che si era trattato appunto di una truffa perché loro (Tim) non fanno mai contratti o comunicazioni relative a eventuali aumenti tramite procedure telefoniche e ci hanno suggerito di correre subito a denunciare il tutto.
Al solito, parto da un aneddoto personale per arrivare a un ragionamento più ampio e che spero sia interessante per tutti voi.
Come sappiamo viviamo in una società e in un paese difficili: contratti precari, disoccupazione, sfruttamento, mancanza di obiettivi a lungo termine, ignoranza collettiva ecc.; tutto ciò favorisce imprenditori, piccoli, medi o grandi, ad approfittarsi delle persone in difficoltà. Lavorare nei call center è logorante e alienante e sicuramente coloro che accettano lo fanno poiché spinti da necessità. Ma rendersi complici di truffe solo per guadagnare pochi spicci - quanto danno per ogni contratto portato a termine? Trenta euro? - è comunque un atteggiamento infame e sbagliato. Non si può giustificare il truffatore (che poi spesso truffa persone anziane e sole che nemmeno si rendono conto di essere state truffate, salvo poi trovarsi addebiti onerosi sulla pensione) con la scusa che non si trova lavoro, che sono tempi difficili, che bisogna pur guadagnare. Perché, di nuovo ri-cito Safran Foer (o meglio, sua nonna), "se niente importa", allora veramente mangiamoci tra di noi e facciamo prima.
Tutto questo per arrivare anche al discorso dei macellai o di chi svolge altri lavori che comportano violenza su altri esseri viventi. Se niente importa, se c'è necessità di lavorare, se la società fa schifo, veramente siamo autorizzati a fare di tutto?
Ora, so bene che una truffa è una truffa, ossia riconosciuta dal nostro ordinamento giuridico, mentre macellare e sfruttare animali è considerata una pratica normale dalla maggioranza delle persone, ma il nostro compito di antispecisti non dovrebbe essere proprio quello di mettere in discussione questa normalità e di prendere posizione ponendoci dalla parte delle vittime?
Io non dico che dobbiamo fare una guerra contro i macellai (o cacciatori, vivisettori, allevatori), ma nemmeno essere compiacenti e comprensivi perché, poverini, hanno bisogno di lavorare.
Potreste pensare che io parli da una posizione privilegiata, innanzitutto di bianca occidentale, poi di donna (e in quanto donna comunque vittima della cultura patriarcale) di origini borghesi che nella vita ha avuto molto, innanzitutto la possibilità di studiare, pensare, riflettere; sì, è vero, ma anche Marx quanto teorizzò il Capitale partiva da una posizione privilegiata, e così Che Guevara o i pensatori anarchici, questo per dirvi che non è perché parto da una posizione privilegiata non ho occhi per vedere le ingiustizie e non abbia il diritto di ribellarmi ad esse e di chiamare assassini o truffatori chi si approfitta di chi sta ancora più sotto di lui nella scala gerarchica sociale, verticale o orizzontale che sia.
Io sono privilegiata, ma ho lo stesso il diritto di dire che il macellaio fa un lavoro ignobile, violento, che uccide e che, dalla posizione in cui si trova dentro il luogo di lavoro, anch'egli è un privilegiato nei confronti dell'animale cui sta per tagliare la gola perché, in fin dei conti, lui alla fine torna a casa, mentre il maiale viene fatto a pezzi da un suo collega e una casa, cioè una famiglia, un habitat consono, non ce l'ha mai avuto perché altri, gli allevatori, lo hanno fatto nascere recluso e già prodotto da consumarsi di lì a pochi mesi.
Tutti siamo vittime rispetto a qualcun altro, tutti occupiamo un certo gradino o una certa posizione della scala sociale che ci pone come aguzzini e vittime allo stesso tempo nei confronti di qualcun altro; l'operaio che uccide gli animali, vittima di un sistema di sperequazioni sociali fortissime e sicuramente sfruttato dal suo capo, oltre a uccidere gli animali, poi magari va a casa e picchia la moglie e questo, questa sua posizione di maschio in una società maschilista e di colui che esercita violenza su un animale indifeso, non lo assolve dalla responsabilità di quel che fa.
Da antispecisti bisogna prendere una posizione chiara e netta contro qualsiasi pratica di sfruttamento degli animali. E questa posizione ci mostra chiaramente, dalla sua prospettiva, che il macellaio non è vittima. Come non sono vittime i dipendenti dei call center che truffano.
Se niente importa, non la morale, non l'etica, allora sdoganiamo tutto, anche l'omicidio, la mafia, il fascismo, il nazismo, lo stupro.
Non è che perché una persona si trova ad occupare una certa posizione sociale allora può essere giustificato o esonerato da assunzioni di responsabilità.
E così come, da femminista, non esito a definire la prostituzione come "stupro a pagamento", anche se è legale (e i clienti stupratori), allo stesso modo, da antispecista, non esito a definire come violenta la pratica di macellare animali e i macellai come assassini (idem cacciatori, vivisettori ecc.).
Questo doppio standard per cui quando si parla degli animali dobbiamo stare attenti a cosa diciamo e dobbiamo essere comprensivi perché la colpa è del sistema ecc. è frutto della specismo.
Lo specismo interiorizzato è fortissimo, anche in molti di noi. Si tratta di uno specismo subdolo perché emerge nei nostri discorsi, narrazioni e sensi di colpa quando osiamo opporci al sistema e ai suoi mandanti violenti. Ci dispiace dire a un macellaio che è assassino perché empatizziamo magari con la sua povertà (e con la sua specie di appartenenza, dato che è la nostra) e bisogno di lavorare, ma è quello che è, anche se la pratica è ancora legale e considerata normale (come la prostituzione, del resto).
Se non la facciamo noi questa cosa di chiamare le cose per come sono, di creare un'altra narrazione che metta al centro il riconoscimento dell'individualità degli altri animali, chi lo farà? Non certo quelli che lottano contro il cambiamento climatico, non certo chi vuole continuare a trarre profitto dallo sfruttamento animale inventandosi l'assurdo concetto di "benessere animale" e nemmeno la sinistra antagonista che ha sempre difeso cacciatori e allevatori solo perché "povera gente".