Uno degli argomenti spesso usato dai sostenitori della vivisezione, ma anche dagli allevatori e dai mangiatori di animali è quello della crudeltà insita nella natura, per cui ciò che fa la nostra specie, compreso appunto torturare animali nei laboratori, non sarebbe nulla di più perverso rispetto al leone che preda la gazzella. Quindi definiscono gli animalisti persone sempliciotte che si sono lasciate influenzare da filmetti alla Disney in cui gli animali vivono in pace in una natura idilliaca.
Ora, da una parte è vero che gli animali in natura sperimentano anche molta sofferenza: predazione, malattie, parassiti, intemperie, fame, sete. Tuttavia vivono anche momenti di pace e relax. Al contrario di come fanno vedere in certi documentari, i predatori non stanno tutto il giorno a inseguire le prede. Non esistono solo stagioni pessime, ma anche bel tempo. E non tutti si ammalano, molti vivono moltissimi anni, diventano anziani.
Il dolore che invece la nostra specie causa agli altri animali è continuo, incessante, senza fine; facciamo nascere individui appositamente per poterli trasformare in prodotti, schiavizzarli, torturarli e li uccidiamo a pochi mesi o pochi anni. Più progrediamo dal punto di vista tecnologico e più rendiamo l'esistenza di miliardi di animali un vero e proprio inferno in terra.
Ora, a parte la differenza qualitativa e quantitativa del dolore che procuriamo, ci sono altre due enormi differenze con il male che si può sperimentare in natura. Una, che quello in natura è un male, per dirla alla Leopardi, indifferente e necessario: necessario quello dei predatori che uccidono per la loro sopravvivenza, indifferente quello delle intemperie o sprigionato da altre cause che sono appunto casuali, cioè non intenzionali. Mentre il male che agisce la nostra specie è intenzionale, cosciente, responsabile.
Avremmo però la possibilità, in quanto specie che si è evoluta con determinate caratteristiche, di rendere migliore non solo la nostra vita, ma anche quella degli altri animali e di migliorare lo stato del pianeta. Invece stiamo distruggendo tutto per avidità, voglia di prevaricare, di arricchirci, di schiavizzare chiunque sia possibile schiavizzare. Io questo lo chiamo dominio, non natura feroce; dominio che certamente è insito in parte nella nostra natura, come propensione, ma che è stato incentivato, esaltato, organizzato in struttura sociale e tramandato come cultura e che quindi, anziché essere represso, bloccato sul nascere nelle sue primissime manifestazioni, come si fa in alcuni casi, è stato legittimato e normalizzato. Prendete un bambino che, ancora insciente, voglia prendere a sassate una lucertola. Se la mamma interviene a redarguirlo, crescerà imparando che prendere a sassata una lucertola sia una cosa sbagliata e quindi reprimerà e controllerà quel primo istinto a colpirla. Ma se invece vivrà in una società che non solo farà passare per normale prendere a sassate una lucertola, ma addirittura ne sosterrà pubblicamente l'azione, la perfezionerà tecnologicamente, il bambino penserà che sia normale, naturale, necessaria. Così è per tutte le varie forme di dominio sugli altri animali attuali. In nessun'altra specie c'è la ferocia che possediamo noi. Una ferocia organizzata e sistematica, eretta a sistema sociale e per questo ancora più difficile da mettere in discussione.
L'appello alla natura crudele costituisce quindi una fallacia logica enorme perché viene usato appunto per naturalizzare ciò che non è affatto necessario o causale, ma intenzionale e frutto di responsabilità e dinamiche ben precise.
Inoltre, ci si appella alla natura per giustificare la violenza sugli animali, ma ce se ne discosta quando vogliamo dimostrare di essere una specie superiore (sempre al fine di sfruttare gli altri animali per i nostri interessi, ovvio!).