venerdì 14 settembre 2018

Sulla mia pelle


Sulla mia pelle racconta l'ultima settimana di vita di Stefano Cucchi a partire dalla nottata del suo arresto. 
Protagonista assoluto del film è il corpo di Stefano. È il suo corpo piegato in due dal dolore che occupa lo schermo, ed è ai lunghi primi piani sul suo volto tumefatto, ripresi da svariate angolature, insieme ai rantoli che accompagnano pochi e scarni dialoghi, che è affidata la narrazione. Una narrazione fisica che si fa strada in mezzo all'indifferenza della burocrazia per arrivare alla verità. 
La verità dei corpi, l'unica che non può essere negata, che non può essere sviata, che non ha bisogno di interpretazioni e letture. E soprattutto è un film sulla verità dell'esercizio del Potere, che è sempre un biopotere, ossia sui corpi.

Quando si percorrono certi corridoi oscuri, quando si viene fatti entrare a forza dentro certe stanze, quando la porta si chiude, quando si resta invischiati nelle maglie di un Potere che a volte è imperscrutabile, per dirla con Kafka, ma altre invece ha un volto umano e ben riconoscibile, si può solo sperare di uscirne disintegrati solo nello spirito. Non così è andata per Stefano, che da quelle stanze è uscito solo da morto, e solo, senza nemmeno il conforto di poter vedere i suoi familiari.

Se non fosse stata per la tenacia della sorella di Stefano questo caso sarebbe stato uno dei tanti, archiviato insieme alle tanti morti che avvengono in carcere o in custodia cautelare. Purtroppo non tutti hanno mezzi, forza e coraggio per andare avanti in un sistema che comunque sia tende sempre a proteggere chi detiene il potere e ad abbandonare le vittime.

Ottima recitazione di Alessandro Borghi, molto fisica e capace di rendere benissimo il dolore e la solitudine.

Sulla mia pelle, regia di Alessio Cremonini, è al cinema e anche su Netflix.

6 commenti:

Alessandro Cassano ha detto...

Avvenimenti allucinanti, conditi dal solito muro di gomma all'italiana. Ricordo ancora le dichiarazioni farneticanti di Giovanardi in merito a quanto accaduto a Cucchi.

Giovanni ha detto...

visto ieri sera. Pare che Alessandro Borghi abbia fatto un lavoro su se stesso, veramente a livello fisico, persino la voce, come un Robert De Niro.
Condivido le tue osservazioni sul corpo, e sui pericoli che ciascuno di noi, come corpo, corre sesi ritrova infilato in determinate situazioni. La gente non deve creder che sia difficile venire risucchiati (e poi, magari, stritolati) negli ingranaggi della burocrazia, per così dire, militare, che regola e governa le azioni di tutti i sorveglianti in divisa. PUò bastare una mancata comunicazione, una svista nei documenti; una incertezza che si ingigantisce col timore. Ci si ritrova da un momento all'altro dentro a momenti di vita e di esperienza mai immaginate, come il venir apostrofati con toni intimidatori, come il venir portati al comando per accertamenti (attese prolungate, nel bel mezzo della notte; gli accertamenti verbali, nell'ultimo ufficio in fondo al corridoio)

Giovanni ha detto...

Mi son piaciute le parole che Ilaria Cucchi ha scritto oggi sul Fatto: "Mi faceva strano che tutti quei bravi attori si fossero impegnati per interpretare proprio noi. La famiglia Cucchi. Chi siamo noi, in fondo, per meritare tanta attenzione?" e più avanti: "Col groppo in gola ho sperato, durantr tutta la proiezione, che a un certo punto la stotia narrata deviasse, stravolgendo il corso degli eventi, per un finale diverso".

Rita ha detto...

Purtroppo quello che accade dentro alcuni edifici è la dimostrazione di quanto siano labili i diritti scritti sulla carta. Il caso della scuola Diaz è un esempio. In quei frangenti si diventa carne da macello... letteralmente e metaforicamente.

Giovanni ha detto...

la carta dei diritti, tante volte, appar eproprio solo come una foglia di fico, come l'ombrello che nei cartoni animati will coyote apre per proteggersi dal treno in arrivo.

tante volte si ha proprio la sensazione che -sì, d'accordo - c'è la legge che mi difende, ma: la legge è là, lontana e impalpabile, mentre io sono qui, adesso, in pericolo.

credo che il paradosso delle leggi sia di essere finora l'unica apparente misura regolativa della violenza umana, il meno peggiore (?), ma, allo stesso tempo, relativo, impotente, strumentalizzabile, mainpolabile; senza contare che legittimo non sempre corrisponde e aderisce a ciò che è legale.

come se ne esce?

Rita ha detto...

Se ne esce neutralizzando le fondamenta che sorreggono le strutture di potere e che rendono possibili le oppressioni. Rivoluzionando alle radici la società. Un'utopia, quasi. Comunque sia sempre resistendo e denunciando.