Come si diventa "soldati di Allah"?
Layla M., della regista olandese Mijke de Jong, racconta l'avvicinarsi di una ragazza di origini marocchine, nata e cresciuta ad Amsterdam, a un gruppetto di fondamentalisti. Il ripiegamento nella fede è inizialmente un modo per trovare un'identità di appartenenza, per stringersi tra persone, sorelle e fratelli, di una stessa fede e cultura, ma presto diventa un'esclusione dalla società e dalla sua famiglia.
Il pregio è la narrazione asciutta, il difetto è che forse è un po' troppo automatico. Il cambiamento di Layla è repentino, sia quando decide di sposarsi a un "soldato di Allah", sia quando si rende conto delle conseguenze delle sue scelte e non c'è un approfondimento politico e sociologico.
La scena più bella è quella in cui Layla balla e ride insieme al suo novello sposo. Per un attimo vediamo due giovani spensierati e felici che si divertono insieme, alleggeriti dal peso del dogmatismo religioso. Per un attimo si arriva a pensare: forse l'amore, la voglia di stare insieme, di costruire qualcosa di bello li salverà, ma sarebbe stata una svolta drammaturgica fin troppo scontata e retorica, anche se bella.
Nel film, la posizione delle donne reclutate all'interno di gruppi fondamentalisti appare comunque subordinata a quella degli uomini.
Nel film, la posizione delle donne reclutate all'interno di gruppi fondamentalisti appare comunque subordinata a quella degli uomini.
Riflessione: il fanatismo non è un qualcosa al di fuori della religione, è implicito in ogni fede e credo religioso. Questione di grado, non di contenuto.
Lo trovate su Netflix.
Nessun commento:
Posta un commento