Roger Waters chiude il concerto di Roma con la scritta "Trump è un maiale", così leggo oggi sui quotidiani.
Un maiale non sarà mai come Trump. Un maiale - ma quale, poi? Non esiste "il maiale" come concetto, esistono semmai tanti individui distinti, ognuno con la sua personalità e identità - è semplicemente se stesso; o meglio, dovrebbe essere se stesso, ma nella nostra realtà non gli viene permesso, viene privato di tutto, del diritto di essere lui, di essere felice, di razzolare sull'erba e nel vento, di fare amicizie ed esplorare, di avere esperienze; nella nostra realtà viene fatto nascere come schiavo e a pochi mesi viene macellato.
Direi proprio che no, non è Trump. Trump è il Potere e un maiale, ai nostri giorni, non ha nemmeno il potere - inteso come possibilità, potere di - di essere, di uscire, di vedere, di conoscere. Per non parlare delle scrofe, delle maiale che, chiuse dentro le gabbie di contenzione, non hanno nemmeno la possibilità di alzarsi in piedi e di accudire i propri piccoli.
I maiali non sono sporchi. Lo sono invece i capannoni in cui vengono rinchiusi e poi allevati al fine di trasformarli in prodotti.
Mi indigno per una parola? Per una frase fatta? Sì, perché le parole non sono neutre, rafforzano e disegnano la nostra realtà, dandole la forma e i confini che chi detiene il Potere decide per altri. Le parole descrivono una realtà spesso falsa, ingannatrice, menzognera, come quella che vorrebbe che i maiali fossero animali stupidi, laidi, sporchi, aggressivi, dotati di solo istinto mangereccio e sessuale.
E tutte queste falsità vengono reiterate per giustificare la pratica di schiavizzare, discriminare o respingere qualcuno, che siano i maiali o gli immigrati o le donne.
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