Non siete andati al mare, troppo caldo per girare in città e i vostri programmi per la giornata sono quelli di trascorrere un pomeriggio molle sul divano a leggere o guardare un film? Vi consiglio questo, lo trovate su Netflix.
Un road movie sulla fine del sogno americano ai giorni nostri, così lo definisce la critica.
Qual è il tuo sogno? Non me l'avevano mai chiesto, dice la bravissima Sasha Lane mentre vende il suo corpo a uno sconosciuto per guadagnare mille euro, la cifra che manca per realizzare quello che lei crede sia il suo sogno, ma che in realtà è quello di Jack, il ragazzo di cui si è innamorata, ovverosia quello di sempre, quello di restare eternamente incastrata nella ricerca della felicità attraverso la realizzazione nell'amore e nella famiglia.
Un viaggio dentro l'adolescenza senza più progetti a lungo termine che si avvita su se stessa, tappa dopo tappa, provincia dopo provincia, ripetendo in loop le stesse esperienze solo cambiando panorama e forma, dice sempre la critica e lo definisce amaro per questo, per la mancanza di progettualità e l'incapacità di costruire.
Sarebbe stato perfetto invece se fosse stato veramente proprio solo questo perché la magia funziona fintanto che si racconta l'attimo legato all'ebbrezza del vivere. Fare soldi, viaggiare, vedere l'America e magari può bastare, anzi, cosa ci può essere di più formativo del viaggiare e del fare esperienza? La magia, il racconto caleidoscopico e acido invece si incrina e diventa di genere proprio nel momento in cui i due personaggi principali, la già citata Sasha Lane e l'esuberante, perfetto nel ruolo, Shia LaBeouf, si innamorano e bloccano l'energia nel recupero di un sogno stantio che sembra essere rimasto lo stesso dei primi coloni dell'America: divorare le distese di praterie, comprarsi una casa mobile, andare a vivere in mezzo a un bosco, fare tanti bambini.
Insomma, non è amaro perché non ci sono più sogni, è amaro proprio perché dietro un'apparente consapevolezza del movimento del vivere, alla fine, ci sono gli stessi sogni di sempre. Anche qui un falso movimento, appunto.