I maschilisti, che siano consapevoli di esserlo o meno, reagiscono esattamente come i carnisti: di fronte alla messa a nudo dell'ideologia su cui si fonda un dato pensiero, anziché riflettere, si sentono attaccati e bollano l'interlocutrice come "femminista acida"; mentre il carnista ti dà della "vegana estremista".
Si prendono le distanze, spesso adottando il sarcasmo, e guai se non ridi con loro, significa che non comprendi l'ironia, che sei una che non sta al gioco (il gioco in cui tu, donna, devi stare al tuo posto, ovviamente).
La costruzione dello stereotipo della femminista acida, così come quello del vegano estremista è una reazione prevedibile di fronte alla critica radicale dello status quo. I cambiamenti fanno paura, soprattutto quelli che farebbero perdere determinati privilegi e che mettono in discussione un intero modo di pensare, quindi si provvede alla creazione di uno stereotipo negativo per delegittimare chi si fa portatore di determinate istanze.
Il termine "femminista" ancora oggi porta il peso di uno stigma sociale, esattamente come accade oggi a quello di "vegano".
Eppure stiamo parlando di lotte sociali, di giustizia, di rispetto per tutti gli individui, della critica a una società patriarcale fondata sul dominio e sull'oppressione e sulla superiorità del maschio, bianco, etero, occidentale.
Le femministe (e i femministi, per fortuna ci sono anche uomini che ci appoggiano), così come i vegani, sono persone che portano avanti un pensiero rivoluzionario radicale e per questo sono malvisti, osteggiati, ridicolizzati, persino bulleggiati.
Non siamo acide, non siamo estremisti, siete voi che avete un pensiero retrivo, asfittico, gretto, provinciale.
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