Quando chiediamo alle persone di riflettere sullo sfruttamento degli animali, in realtà gli stiamo chiedendo molto di più.
Gli chiediamo di mettere in discussione tutto un sistema di valori su cui hanno fondato le loro esistenze e che hanno appreso culturalmente, nonché, fondamentalmente, il concetto stesso di umanità; concetto, quest'ultimo, che si è costruito proprio in opposizione all'animalità, ossia definendosi arbitrariamente in positivo rispetto a un polo negativo (una somma di pregiudizi che peraltro non tiene conto dell'immensa diversità del mondo animale, di cui, beninteso, facciamo parte anche noi).
Quando diciamo alle persone che non dovrebbero mangiare la carne gli stiamo chiedendo molto di più: gli stiamo chiedendo di rimuovere tutta la sfera dell'affettività, simbolica e concreta, che ha determinato la loro crescita e di riconoscere che le persone che più amavano gli hanno mentito, raccontato una menzogna.
Non si tratta soltanto di prender coscienza della sofferenza e senzienza degli altri animali, ma di ripercorrere a ritroso tutto il percorso, individuale e storico-culturale, che ha definito quel che siamo. Significa smascherare la nostra storia, di singoli e dell'umanità nel suo complesso, alla luce di una nuova sconvolgente verità e di capire che la nostra presunta moralità, superiorità, razionalità, intelligenza sono in realtà una menzogna.
Usando una categoria della psicologia si potrebbe affermare che l'umanità soffre del disturbo narcisistico di personalità. Abbiamo bisogno di distruggere e mortificare chi si relaziona con noi per affermare e definire la nostra individualità di cui abbiamo un'idea di distorta megalomania.
Non siamo in grado di riconoscere il maiale (o la mucca, il pulcino, il polpo) come nostro pari e di dialogarci e relazionarci con lui in modo sano ed equilibrato perché altrimenti il concetto di umanità verrebbe svuotato poco a poco di tutti quegli attributi che sono connotati positivamente solo poiché e finché esiste un polo negativo da contrapporgli.
Se riconoscessimo di non esser speciali, o meglio, che lo siamo a nostro modo così come lo è ogni altra specie, perderemmo quell'opposizione negativa a partire dalla quale ci siamo innalzati sopra a tutta la natura e scopriremmo così di esser nudi: animali tra gli animali. Né di più, né di meno del maiale che sta andando al macello e che ci chiede soltanto di esser visto, capito, riconosciuto. Una vertigine immensa si spalancherebbe di fronte ai nostri occhi.
È così difficile guardarsi allo specchio e vederci l'altro. O guardare l'altro, tutto ciò che denigriamo di lui, e scoprirci noi stessi.
Ma è uno sforzo che dobbiamo fare perché solo la verità rende liberi. Liberi da gabbie mentali e culturali, liberi di guarire, di realizzarci al meglio delle nostre possibilità. Possiamo essere migliori di come siamo.
Mi rendo conto che ammettere di essere artefici di una gran massa di sofferenza ci farebbe vergognare immensamente e la vergogna forse è il peggiore dei sentimenti, quello più ruvido, più difficile da affrontare, ma anche, al tempo stesso, il più costruttivo. È solo dalla vergogna per ciò che siamo diventati e per gli effetti delle nostre azioni che possiamo metterci in discussione.
Quindi, la prossima volta che ne avremo l'occasione, sforziamoci di non sviare lo sguardo dal maiale (o da qualsiasi altro animale) che sta andando al macello.
Il suo sguardo ci ferisce, ci annienta, ci fa vergognare immensamente, mette a nudo ciò che siamo realmente. Ma è da qui, dal suo sguardo annientato, che possiamo ripartire.
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