Il dileggio degli animali morti da parte di addetti al mattatoio e/o rivendita al dettaglio fa parte di tutto un insieme di reazioni psicologiche che la normalizzazione della violenza insita in questo tipo di lavoro - seppur legittimata - richiede.
Una parte della coscienza riconosce e sa che quelli che stanno maneggiando sono individui, comunque essere viventi (anche se ritenuti inferiori, stupidi ecc.), proprio per questo nasce l'esigenza di rimuovere, negare, nascondere questa consapevolezza infinitesimale e quindi si mettono in atto dei precisi meccanismi che hanno lo scopo di sminuire ancora di più le vittime, quasi a convincersi che in fondo non ci sia nulla di male nell'ucciderli, farli a pezzi, venderli.
Il dileggio è funzionale a rimuovere ogni residuo di empatia, pietà, compassione.
Lo stesso meccanismo è stato evidenziato nel carcere di Abu Ghraib da parte dei carcerieri sui condannati. Per riuscire a torturarli dovevano rimuovere ogni minima traccia di empatia e la derisione era funzionale in tal senso.
Chi dileggia non è un mostro, ma una comunissima persona che mette in atto banalissimi meccanismi.
Piuttosto chiediamoci come mai esistano certi lavori.
A me spaventa la massa che continua a non vedere l'ingiustizia dello sfruttamento animale, non il comportamento stolto e immorale da parte di un singolo.
2 commenti:
mi vengono in mente le foto della marine USA che ride col pollice alzato davanti a un cadavere tumefatto, o gli altri che ridono soprai corpi schiacciati dei prigionieri; ma anche le foto del nazisti che ridono e suonano la fisarmonica, insieme alle impiegate degli uffici (! sic) dei lager.
a volte mi sembra ottimistico pensare e sperare che simili comportamenti siano operati come strategia inconsapevole per negare a se stessi la propria parte empatica. Molti umani scivolano con estrema naturalezza in comportamenti aberranti
Azzeccatissimo il parallelo con Abu Ghraib, è proprio lo stesso meccanismo.
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