Berlino non è una città bella. Non ha niente dell’eleganza di Londra o Parigi, per esempio, né della monumentalità di Roma o Madrid, ma ti conquista per il carattere composto da più e diverse anime da approfondire senza fretta; ti affascina per l’atmosfera vivace e rilassata al tempo stesso dei localini, pub e cafè, decorati con le lucine colorate anche se non è Natale, che si affacciano sulle strade, sonnacchiosi nel primo pomeriggio e pieni di vita la sera; ti colpisce per i tanti negozietti indipendenti e stracolmi di oggettini e abiti vintage, quasi tutti in ottimo stato a prezzi eccezionali, mercatini delle pulci dove puoi trovare delle vere e proprie chicche, librerie con angolo caffè, gallerie d’arte, ponti che si affacciano sullo Spree e angoli da cui sbucano palazzi colorati e ferrovie sopraelevate; ti sorprende per i colori della street art, i cortili dei palazzi che si intravedono attraverso portoni finemente decorati, i parchi e giardini pieni di cornacchie, passerotti e gazze; ti rattrista per i tanti luoghi della memoria e ti fa chiedere come sia stato possibile che una città così accogliente abbia potuto esser teatro di un passato così oscuro; ti fa capire meglio l’anima del romanticismo, non a caso nato proprio in Germania, mentre passeggi per il grande parco pieno di salici e arbusti selvatici che taglia in due la città, percorso da biciclette veloci, runners e vecchietti che si tengono per mano; ti alleggerisce il cuore quando entri nei quartieri più giovani dove si respira politica e aria di controcultura, con i punkabestia che ti battono il cinque e ti sorridono senza motivo, pieni di locali vegan, alcuni proprio animalisti, lo capisci dagli adesivi che tappezzano le pareti dei bagni; Berlino è quella delle notti un po’ strambe, vagamente surreali, in cui ti sembra di essere capitato dentro a un film: una ragazza in bici dal cui cestino spunta un unicorno gigante, un’altra che corre da una parte all’altra della strada trasportando un lampadario più grande di lei, un ragazzo in fuga dopo esser fuggito da un locale senza pagare, inseguito da un cameriere e poi da un altro ancora e poi da un passante che si è aggiunto senza sapere né cosa e né perché, una scultura dinamica di bottiglie di birra vuote che cresce e si modifica man mano che ne vengono scolate altre sul momento, che è un inno artistico all'alcolismo o forse alla disperazione, ma che comunque ti fa soffermare e pensare e sperare che la solitudine del tizio si attenui un po' e infine uno strano tizio che cammina con una pianta in testa, occhi bassi e passi veloci; e poi quella della protesta politica il giorno delle elezioni, con ragazze e ragazzi che si sono buttati completamente nudi nel fiume mentre sopra il ponte i loro compagni hanno srotolato uno striscione; le biciclette che tagliano l’aria silenziose e che se non stai attento ti mettono sotto senza troppi problemi, le piste ciclabili ovunque, talmente ovunque che a volte ti ci ritrovi in mezzo rischiando, appunto, di essere investito; il trenino giallo sulla ferrovia sopraelevata che oltre a portati per lungo e per largo ti offre anche la più bella vista della città, una vista che mai nessun bus turistico potrebbe eguagliare; il battello sullo Spree, che sì, è un po’ turistico e per vecchietti, ma vuoi mettere la possibilità di vedersi scivolare la città accanto sorseggiando birra immersi in una luce del crepuscolo talmente bella, ma così bella come non ho mai visto nemmeno a Roma (che in quanto a luce pensavo non avesse rivali); e le sdraio colorate lungo il fiume dove i giovani sorseggiano birra già al tramonto, ascoltano musica, fumano, amoreggiano e si divertono; l’atmosfera retrò e un po’ fiabesca di alcuni quartieri, con i palazzi color verde acqua che ricordano le case delle bambole e altri ricoperti di edera e delle sfumature rossastre della vite americana; la cupezza improvvisa di quella torre che un tempo ha ospitato un lager provvisorio, oggi suddivisa in appartamenti abitati, il senso di colpa misto al desiderio di andare avanti, di superare, ricordare e dimenticare, morire un po’ dentro e poi sentirsi scendere le lacrime di fronte all’East Side Gallery; Berlino è tante cose insieme, cose che sono difficili da spiegare, da raccontare, da intrappolare in uno scatto. Ci si sta bene a Berlino, tanto bene, ti senti a casa, rilassato, i tempi sono lenti, c’è poco traffico, poche persone ovunque perché è molto estesa, le strade sono immense, i marciapiedi anche, i locali, anche se piccoli, hanno spazi all’aperto e arredamenti accoglienti, spesso modesti, ma caldi. Berlino est è quella che mi è piaciuta di più per la sua atmosfera viva e includente. Come ho detto all’inizio, non è bella nel senso classico, ma ha dalla sua il saperti accogliere, rispetto a Londra, per esempio, che rimane altera, respingente e persino un po’ snob (per quanto sia un’altra città che adori). Berlino ti fa venire voglia di pensare: ecco, qui mi fermerei, sento che qui potrei viverci bene, rilassata, senza fretta, senza ansia, senza stress.
Berlino è anche quella dell’arte, dell’isola dei musei, architettura splendida e ricca di opere all’interno, della fondazione di Helmut Newton al museo della fotografia, foto tante belle quanto speciste e sessiste, ma una visita la merita lo stesso, se non altro per capire come, sfortunatamente, la donna sia stata vista nei vari periodi storici e perché, se oggi siamo ancora immersi nel maschilismo, la colpa la dobbiamo un po’ anche alle riviste di moda e ad artisti come il suddetto; si può esser bravi, dannatamente talentuosi, ma al servizio di un pensiero sbagliato.
Berlino è anche quella di alcuni particolari che ti restano in testa e a cui ti affezioni, come il cloc cloc dei semafori con l’omino che divenne famoso nella DDR, una delle icone nostalgiche sopravvissute, l’aria frizzante, la pioggerellina leggera che non serve l’ombrello, il sole che appare e scompare come se si divertisse a fare i dispetti. La birra a meno di due euro, gli ottimi felafel e le Bäckerei invitanti (qualcosa di vegan si trova sempre).
Berlino è quella del Katzencafé, dove un po’ avevo paura di entrare per timore di vedere i gatti stressati dai visitatori, e invece ho trovato un ambiente super tranquillo e rilassato, molto rispettoso dei gatti, con doppia porta per non farli scappare e raccomandazioni su come usarle scritte a caratteri cubitali; divanetti comodi, cioccolate calde (anche con latte di soia), cuccette dei mici un po’ ovunque e camminatoi sopraelevati, alberi finti per farli arrampicare e sinceri amanti dei gatti che si impegnavano a non disturbarli, anche se poi erano i mici stessi a venire, in cerca di coccole e per giocare un po’.
La mia Berlino, la nostra Berlino, è stata quella dei percorsi un po’ a caso e un po’ seguendo l’ottima guida “Percorsi d’autore”, consigliataci dagli amici Francesca e Daniele, che ti porta a scoprire angoli inediti e quartieri meno turistici per assaggiare un po’ della vita - e delle notti - dei Berlinesi, dagli hipster, agli intellettuali nostalgici della DDR, fino ai giovani dei centri sociali.
La mia Berlino è anche quella dell’incontro con l’amica Francesca conosciuta su Facebook che avevo sempre desiderato incontrare dal vivo e che, guarda caso, soggiorna qui proprio negli stessi giorni perché Berlino è anche la città dove hai la sensazione che tutto possa accadere, compreso incontrare pure un altro amico all’aeroporto il giorno del rientro. La città degli incontri.
Ed è anche quella che mi ha fatto venire voglia di comprare al mio rientro a Roma “Ognuno muore solo”, il libro di Hans Fallada, un romanzo sulla storia della Resistenza tedesca e che oltre a raccontare un episodio toccante di lotta contro un potere spietato, è anche una testimonianza della vita quotidiana degli abitanti del quartiere Prenzlauer Berg sotto il terribile terzo reich.
Certo, cinque giorni sono pochi per carpirne davvero tutte le anime, per vedere tutto quello che interessa vedere, cinque giorni sono giusto un assaggio, un assaggio gustosissimo che ci ha fatto venire voglia di tornare ancora.
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