Il post precedente, pubblicato anche su FB, è stato molto letto e commentato.
Alcuni commenti hanno messo in luce una questione che penso riguardi un po' tutti noi che ci occupiamo di sfruttamento animale, per questo voglio parlarne.
In pratica è venuto fuori che alcuni credono che sia necessario, quando ci si trova in contesti conviviali o sociali con persone onnivore che sfiorano la questione, non perdere l'occasione e parlarne, anche se il discorso potrebbe sfociare in una discussione animata, rovinandoci così la serata.
Ora so già cosa penseranno alcuni di voi: di fronte all'immenso sterminio degli animali ti vai a preoccupare di rovinarti una serata o magari un'amicizia?
Ebbene, sì. Sì perché sono umana anche io e anche io, come tutti, ho bisogno di momenti di relax e di stacco.
Dedico gran parte della mia vita all'attivismo e alla cura degli animali che ospito, colonie di gatti compresi, come molti di voi che mi state leggendo. Vivo la mia esistenza sforzandomi di rispettare il prossimo, animale o umano che sia e i valori dell'antispecismo permeano ogni mia decisione e azione.
Non sono antispecista o attivista solo in momenti dedicati, lo sono sempre, se non altro appunto nella mia maniera di stare al mondo, ma proprio per questo ho bisogno ogni tanto di non pensare a quello che accade dentro i mattatoi e gli allevamenti. Poi non è nemmeno così perché il pensiero c'è sempre, diciamo che ho bisogno di non parlarne, di non indulgere in descrizioni, di non argomentare.
Tre anni fa ho partecipato a un seminario di Melanie Joy e disse una cosa molto interessante proprio a proposito di questo e del fatto che noi attivisti che ci occupiamo della questione animale siamo tutti a rischio burn out e soffriamo quasi tutti della sindrome da stress post-traumatico secondario (è secondaria quando le vittime di un trauma non siamo noi, ma abbiamo assistito a violenze su qualcun altro).
Come fare per evitare il burn out, che di conseguenze inficierebbe la buona riuscita del nostro impegno per gli animali? Una persona esaurita, depressa, ansiosa può essere utile alla causa?
Le feci questa domanda e mi rispose di fare in modo che il mio attivismo non divenisse totalizzante a punto di non avere più spazio mentale per altri interessi, a prendermi cura di me e anche di visitare ogni tanto i rifugi in cui si possono vedere animali che stanno bene, che sono stati salvati, così da rafforzare la nostra speranza.
Ecco, detto così sembra un consiglio semplice, quasi banale, semplice da rispettare.
Eppure, nella vita di tutti i giorni non sono rare le occasioni in cui, nostro malgrado, veniamo trascinati in estenuanti discussioni, magari in un momento in cui non abbiamo voglia di farlo, in cui siamo stanchi, demotivati, depressi e presi da altre questioni personali. Certo, una discussione non è come fare attivismo vero su strada, non sarà come partecipare a un presidio o a un banchetto, ma proprio perché accade in un momento che in teoria dovrebbe essere dedicato ad altro, può essere ancora più pesante.
Il collega di lavoro che ti fa la battutina perché tiri fuori il tuo yogurt di soia, l'amico d'infanzia che ti chiede per l'ennesima volta che male c'è a mangiare le uova del contadino, la cena con gli amici del corso (di qualsiasi cosa facciate per hobby) in cui gli stessi ti rivolgono tutte le domande stupide che avete già sentito miliardi di volte - e a cui non vorreste rispondere -, ma che invece vi obbligano a spiegare per la miliardesima volta che no, le mucche non fanno sempre il latte, le piante non soffrono, è molto improbabile finire su un'isola deserta e i canini non fanno di noi un animale carnivoro per necessità; e poi le stesse situazioni ripetute decine di volte in cui, all'ennesima battuta, all'ennesima domanda idiota, all'ennesima provocazione, ti capita di sbottare e alla fine ti senti dire: "ecco, lo vedi, voi vegani siete sempre aggressivi, è proprio vero che siete estremisti".
Il fatto è che tutte queste situazioni ci provocano uno stress enorme e l'unica cosa da fare per salvarci è non sentirci obbligati a trasformare ogni occasione di convivialità in una guerra in trincea.
Ci sono giorni in cui siamo stanchi e non in grado di argomentare bene come faremmo in altre occasioni, quindi, possiamo rimandare e rispondere all'amico curioso che se vuole può informarsi su internet o, magari, parlare con noi in un altro momento.
Anche perché una risposta frettolosa o scarsamente argomentata - proprio per l'importanza della questione - è peggio di un silenzio.
Sempre Melanie Joy consigliò di accettare la discussione solo a patto che nella tavolata (o altri contesti) ci sia almeno un alleato disposto a sostenerci, altrimenti si rischia di perdere la pazienza e di rispondere male, vanificando appunto la possibilità di far riflettere o, peggio, confermando il pregiudizio di cui sopra, ossia che noi vegani siamo aggressivi ed estremisti.
Insomma, fare attivismo è faticoso perché per l'importanza di quanto c'è in ballo - la vita di migliaia di altri individui senzienti - va fatto con la massima concentrazione di cui si è capaci. Se si è stanchi e stressati il nostro rendimento cala.
Quindi, per rendere un buon servizio alla causa, a volte è meglio tacere.
E se una volta avrò taciuto, questo non renderà me una persona tollerante verso lo sterminio o una a cui degli animali non importa nulla.
Al contrario, è proprio perché mi importa e voglio occuparmi di loro il più a lungo possibile e nella maniera migliore possibile, che rispetterò i miei tempi e deciderò in base al contesto del momento.
Nella foto: Camillo, salvato da un allevamento e ospite al rifugio Thegreenplace.
2 commenti:
Che foto splendida!
Io evito gli scontri diretti, però ogni tanto qua e là, a chi mi rompe, ricordo che Veronesi era vegetariano, quindi tanto sano il loro cibo non è!
Sì, la foto è bella, ma è il soggetto che merita. Ho avuto la fortuna di aver conosciuto Camillo dal vivo. <3
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