Ieri pensavo e ripensavo alle parole dette davanti alla Asl di Frosinone sabato scorso (qui per vedere i particolari dell'evento, per chi non ne fosse al corrente).
L'elenco delle violazioni effettuate, delle tante pratiche fuori norma e via dicendo.
E più ci ripensavo e più provavo una sorta di disagio.
Disagio dato dal fatto che purtroppo in questa società possiamo chiedere la chiusura di uno specifico mattatoio solo nel caso in cui si riconosce che al suo interno sono avvenuti maltrattamenti aggiuntivi e mancato rispetto delle cosiddette "norme sulla macellazione", quando la coscienza ci imporrebbe di chiedere la chiusura di TUTTI i mattatoi per l'enorme violenza che comunque, regolarmente, avviene tra quelle mura.
Ma... c'è un ma. I mattatoi sono legali. Sono socialmente accettati e giustificati. I macellai vengono visti come persone che sì, fanno un lavoro terribile, ma pur sempre necessario per la collettività.
Ecco, finché questa insana normalità sarà accettata, percepiremo sempre questo sfiancante disagio emotivo: il disagio di sapere che prendere a calci un vitellino sul muso è illegale, ma sgozzarlo e farlo e pezzi invece è consentito dalla legge.
Io non lo so come nel 2017 ancora possano esistere persone razionali e dotate di un minimo di coscienza che giustifichino l'uccisione di altri esseri viventi. Sì, le abitudini, il consenso sociale, il gusto, l'ideologia carnista introiettata sin da piccoli, sono tutte e tantissime spiegazioni, eppure un qualcosa dentro queste persone, una vocina piccola piccola, un sussulto, un disagio - tale a quello che ho percepito io sabato - dovrebbe quanto meno indurle a porsi delle semplici domande.
Ma è giusto? Sì, si è sempre fatto, ma davvero è così necessario continuare a farlo?
Dovrebbe. E invece sono proprio quelle persone che più dovrebbero avere strumenti culturali per mettere in discussione l'ingiusto dominio sugli animali che si appellano a frasi fatte: la divisione tra animali da reddito e non, la domesticazione avvenuta tanti anni fa (e quindi?), la buona carne, il buon latte, la minore sofferenza degli animali rispetto a noi, il buon allevatore, il pascolo verde e idilliaco.
Ma per quanto tempo ancora potremo sopportare queste menzogne, queste assurde stupidità? Per quanto tempo ancora potremo fare buon viso a cattivo gioco e essere comprensivi con chi non vuole capire?
La gentilezza, l'enorme pazienza dei vegani - a dispetto di chi afferma il contrario - mi stupisce ogni giorno.
Siamo costretti a sopportare ogni genere di insulto, a mandar giù ogni genere di boccone amaro: che siamo estremisti, che siamo fanatici, che collaboriamo alla fine dell'occidente (sic! Come ha affermato di recente l'ultra-cattolico Langone), che siamo misantropi, che siamo fuori di testa e via dicendo. Sopportiamo perché sappiamo che la nostra pazienza è nulla rispetto a ciò che subiscono ogni secondo gli animali, sfiancati da botte e ogni genere di privazione.
Sopportiamo con la calma stoica di chi sa di essere nel giusto.
Pur sempre consapevoli che intanto miliardi di animali muoiono nei mattatoi o vivono agonizzando negli allevamenti nell'attesa di raggiungere i loro compagni già fatti a pezzi - un pensiero che non ci abbandona mai -, sopportiamo perché ci crediamo. E ci crediamo con quella forza data dalla consapevolezza di quali siano i confini del nostro corpo - e del corpo degli altri, di chi è vivo come noi, di chi respira e vede e sente come noi - confini che mai, per nessuna ragione, dovrebbero essere violati.
La violazione dei corpi altrui è sempre un crimine. Qui inizia la nostra lotta e non avrà fine finché anche un solo individuo verrà considerato di proprietà di qualcun altro.
La domanda che non dovrebbe abbandonarci mai, l'unica che dovrebbe muovere ogni nostra azione è: e se al loro posto ci fossi io?