Ho letto diversi libri sull'antispecismo, di ogni genere, da quelli di filosofia, a quelli di sociologia e psicologia fino a quelli più divulgativi e che raccontano il personale percorso dell'autore. Da tutti ho appreso qualcosa.
Ho notato però che quando argomento tendo a riferirmi più spesso alla teoria del carnismo espressa da Melanie Joy nel suo "Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche" , sebbene la sua sia una visione particolare che tende unicamente a concentrarsi sui motivi psicologici che portano a percepire come giusto e normale mangiare un animale e coccolarne un altro (anche se ovviamente poi fa riferimento al sistema di valori diffuso nella società in cui viviamo e quindi all'ideologia che subiamo senza rendercene conto).
Credo che mi interessi l'approccio psicologico e i meccanismi sottesi alle nostre scelte perché io stessa, tutt'oggi, nonostante ci pensi continuamente, non riesco a spiegarmi come, pur avendo sempre amato gli animali, abbia potuto considerare normale e giusto mangiarli. Non mi capacito di questa cosa. Eppure mi sono sempre ritenuta una persona dotata di capacità critica.
Per cui, ecco, non dobbiamo aggredire le persone che ancora agiscono come se fossero degli automi al riguardo della questione del mangiar carne. Non è colpa loro. Un giorno si sveglieranno e gli succederà quello che è successo a noi. Si domanderanno come sia stato possibile non aver compreso prima l'enorme ingiustizia dello sfruttare, uccidere e mangiare animali.
Come dice sempre la Joy, la maniera in cui comunichiamo è fondamentale. Bisogna sollecitare l'empatia e l'immedesimazione. Raccontare di noi, come è accaduto che aprissimo gli occhi, il nostro percorso; in poche parole, la nostra semplice storia di come siamo diventati vegani è una buona maniera per stabilire una connessione con l'altro, per fare in modo che ci ascolti e questo perché l'essere umano, da sempre, ama sentirsi raccontare storie e immedesimarsi.
Ovviamente bisognerà poi trovare il modo di dire anche tutto il resto: il discorso della giustizia, del rispetto, dell'oppressione, del dominio, della mercificazione, del biopotere. Ma se si parte subito con discorsi così politici - per quanto tutto sia politica e lo è soprattutto il discorso relativo alle gestione dei corpi altrui - si rischia di rarefare l'attenzione, fino a dissolverla. Si rischia di inaridire i concetti, di scivolare nello slogan già pronto, di parlare di tutto, di molto e quindi alla fine... di niente per cui valga la pena lottare perché quando si dice troppo tutto insieme si scoraggiano le persone e le si induce, non volendo, alla rassegnazione.
Parliamo di poche cose, facciamola semplice, parliamo di noi e di come percepiamo gli altri animali. Abbiamo i neuroni specchio, non dimenticatelo mai. Il dolore per l'ingiustizia che proviamo sarà leggibile e porterà gli altri a interpretarlo, a soffermarcisi, a vedere con i nostri stessi occhi anziché con le lenti indossate fino a quel momento. Siamo storie che camminano, testimoni viventi di chi ancora al momento non è visto come individuo da rispettare.
Nessun commento:
Posta un commento