Molte persone amano rifugiarsi nell'idea confortevole dell'allevamento estensivo, ma di fatto esso è insostenibile almeno sotto due punti di vista: quello etico, perché programmare, allevare, gestire, deportare, mandare a morire ammazzati - quindi sottomettere a un biopotere dominante assoluto - individui senzienti per trarne profitto non potrà mai essere etico;
e quello economico perché, di fatto, esso non potrà mai soddisfare la richiesta di produzione e consumo di carne della società attuale.
Ora, immaginatevi quegli allevatori che oggi stipano 5000 maiali (ma ce ne sono anche di immensamente più numerosi) dentro una struttura e lo fanno perché solo così riescono a ottenere un profitto maggiore rispetto all'investimento. Immaginate che gli si chieda di ampliare gli spazi, di smettere di allevare in maniera intensiva, di rispettare tutte le norme sul fantomatico "benessere animale". Sapete cosa succederebbe? Che sarebbero costretti a chiudere perché a quel punto non avrebbero più i 5000 individui stipati alla cazzo dentro allevamenti fatiscenti, ma dovrebbero acquistare terreni, costruire, investire. Traendone la metà del profitto. Di conseguenza dovrebbero alzare i prezzi della carne a cifre assurde oppure chiudere.
Chiuderebbero comunque, anche se decidessero di alzare i prezzi perché la gente non sarebbe disposta a pagare più di tanto. La carne diventerebbe un prodotto di élite. Oppure comprerebbe quella importata da altri paesi, ma comunque sia gli allevamenti intensivi italiani fallirebbero comunque. L'economia funziona così nel mercato globale. Per questo motivo nell'ultimo decennio tantissimi settori italiani sono entrati in crisi e hanno chiuso.
Subentra poi l'effetto domino. Quando alcune grosse aziende crollano, trascinano con loro anche i piccoli.
La storia dell'allevamento sostenibile è una menzogna. Non sarà mai sostenibile perché proprio impraticabile come strada. Lo spiegano anche nel documentario Cowspiracy.
Per questo dobbiamo innanzitutto mettere in ginocchio gli intensivi.
Non perché siamo a favore degli allevamenti cosiddetti etici (siamo attivisti che vogliamo la fine di ogni forma di sfruttamento animale), ma perché abbiamo capito che la strategia, a volte, è meglio di qualsiasi altro discorso si potrebbe fare. Almeno per la massa, per le persone che di certo non hanno né la voglia, né il tempo, né la capacità, forse, di avvicinarsi all’antispecismo.
Quello verrà dopo. Come dice Melanie Joy, una volta usciti dal carnismo si assume una prospettiva del tutto diversa sul mondo e sui meccanismi socio-politici perché si smette di considerare gli animali come prodotti. L’azione, il comportamento, le abitudini influenzano il nostro modo di percepire le cose. Smettendo di mangiare animali, si smette di vederli come oggetti.
Poi ovvio che noi, in quanto attivisti, dobbiamo continuare a fare il nostro lavoro, ossia a parlare di liberazione animale. Ma dobbiamo pure essere scaltri, realisti, lucidi. Non bloccati ideologicamente, ma strategici.
Tutti i grandi movimenti di liberazione hanno avuto successo quando hanno lavorato sinergicamente per allargare le brecce aperte dalla crisi economica in un dato settore.
Le donne sono entrate nel mondo del lavoro perché agli imprenditori faceva comodo avere nuove braccia da sfruttare; da lì (i primi movimenti femministi iniziano in ambito operaio) abbiamo iniziato a chiedere sempre più diritti, a organizzarci, a farci sentire.
La schiavitù è finita per motivi essenzialmente economici.
La liberazione animale avverrà per una sinergia di fattori e non possiamo permetterci di non tentare tutte le strade. Invito a riflettere chi oggi ha paura dell’accettazione da parte della massa (che si tranquillizza e mette a tacere gli scrupoli di coscienza) dell’allevamento cosiddetto etico, ossia estensivo: non sarà mai realizzabile. Di fatto è solo uno spauracchio.
Lavoriamo per abbattere gli intensivi. Non sarebbe forse un primo traguardo – di cui certamente non ci accontenteremmo – che di fatto ridurrebbe di molto lo sfruttamento degli animali?
Attenzione, non sto parlando di un fine, di un obiettivo, ma di una strategia. Il fine è sempre quello: liberazione animale.
La strategie possono essere tante e io dico che abbiamo il dovere morale di tentarle tutte; affinché un giorno nessuno di noi potrà dire: forse c’era questa strada, ma l’ho scartata a prescindere.
Di fatto, essendo gli estensivi solo un'utopia, se veramente si riuscisse a far abolire gli intensivi, avremmo la strada spianata per l'abolizione degli allevamenti tout court.
Di fatto, essendo gli estensivi solo un'utopia, se veramente si riuscisse a far abolire gli intensivi, avremmo la strada spianata per l'abolizione degli allevamenti tout court.
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