(immagine presa dal web)
È sabato pomeriggio, sto aspettando una mia amica all'incrocio di due strade, seduta su una panchina in una piccola piazza. Ho un cappottino nero che arriva poco sopra al ginocchio, stivaletti bassi e un po' di trucco. Non sono appariscente, anzi, tutt'altro, eppure, nei dieci minuti che precedono l'arrivo della mia amica, diversi uomini passano e mi guardano; uno mi sorride pure con insistenza, come se ci conoscessimo, ma invece è un perfetto sconosciuto. Mi dà fastidio e mi costringe a voltarmi dalla parte opposta. Certo, avrei potuto mandarlo affanculo, ma quello sicuramente mi avrebbe risposto: "cazzo vuoi, mica ce l'ho con te", anche se era più che evidente che stesse sorridendo a me. E sarebbe stata la mia parola contro la sua.
A un certo punto si avvicina un tipo sulla sessantina e mi chiede qualche spicciolo. Dall'aspetto sembra un alcolista o un tossico: biascica, ha gli occhi arrossati, il viso cosparso di capillari rotti, non ha equilibrio sulla gambe. Gli do un paio di euro. Mi ringrazia con slancio e poi fa un gesto inaspettato. Mi si getta addosso abbracciandomi stretta e mi dà un bacio sulla guancia, lasciandomi sulla pelle una scia di bava. La stretta dura pochi secondi. Pochi secondi in cui io, di corporatura minuscola, mi sono sentita sopraffatta e impotente.
Ho provato un fastidio enorme. Nessuno sconosciuto, a prescindere dal fatto che sia ubriaco o meno, dovrebbe permettersi di toccare il corpo di una donna prendendosi confidenze che nessuno gli ha dato.
Chi cazzo lo vuole il tuo abbraccio, le tue mani sulla vita e le tue labbra sulle guance? Non sei un amico, sei uno sconosciuto.
Questo, avrei voluto dirgli. Ma le parole mi sono rimaste in gola. Nonostante mi siano ben chiare le sensazioni che ho provato - fastidio, ripugnanza, violazione, impotenza - non riesco a dire nulla, né ad allontanarlo con sgarbo. Rimango muta, ferma e aspetto che mi tolga le manacce di dosso.
Come tanti anni fa.
Facevo ancora le medie e mi trovavo sul treno di ritorno dopo una gita scolastica. Ero contenta e inebriata dall'aria di primavera che arrivava dal finestrino e dal ragazzino che mi piaceva che mi si era seduto accanto.
A un certo punto mi mette le mani dietro la schiena e inizia a toccarmi, scendendo fin quasi al sedere. Lo fa in un modo che oggi saprei definire molestia ma che all'epoca non sapevo interpretare perché al limite tra l'affetto, il gesto amichevole e qualcosa di più. Quel qualcosa di più, all'epoca, pensai fosse un maldestro tentativo di corteggiamento e essere corteggiate avrebbe dovuto essere un fatto piacevole, no? In fondo mi stava toccando la schiena, mica le tette. E se anche le dita erano scese più giù a sfiorare l'attaccatura del sedere, forse quell'andare oltre poteva non essere intenzionale. Dunque, se avessi reagito dicendogli "smetti di toccarmi" o alzandomi e allontanandomi sicuramente mi avrebbe presa per matta, per esagerata, avrebbe detto che lui non stava facendo assolutamente niente e magari il resto della classe mi avrebbe presa in giro. E poi a me piaceva quel ragazzino, non volevo allontanarlo, e se anche non ero ancora pronta per gradire quelle attenzioni, non volevo esser definita bacchettona o suorina o altro, come venivano definite le ragazzine troppo serie, tutte d'un pezzo. Io volevo essere moderna, volevo sentirmi grande e pensavo che accettare certe confidenze facesse parte del gioco. E, comunque sia, sarebbe stata la mia parola contro la sua.
Ricordo un altro episodio ancora. Qui ero più grande, avevo vent'anni e stavo prendendo lezione di sci durante una settimana bianca. L'istruttore ogni tanto mi mollava una pacca sul culo. Così, come un gesto affettuoso, per dirmi "brava", oppure, prima di affrontare una discesa, per farmi coraggio e darmi la spinta per partire. Anche qui, stessa sensazione di disagio, di fastidio, ma soprattutto di impotenza. Ora, segnatevi bene questa parola perché è una parola chiave. Impotenza. Credo che derivasse dal fatto che, anche in questo caso, non sapessi bene come interpretare certi gesti, al confine tra la spontaneità e la malizia. Ma non perché fossi stupida io, ma perché nella cultura e ambiente in cui ero cresciuta, e all'inizio degli anni novanta, non solo esisteva un vuoto legislativo su alcuni tipi di gesti e comportamenti, ma proprio non si parlava, se non in ambito politico femminista, di determinate questioni. Non esisteva nemmeno il reato di stalking. Da qui l'indecisione - e conseguente blocco fisico - se reagire o meno perché gridare alla molestia sessuale per una "innocente" pacca sul culo data da un uomo che avrebbe potuto essere mio padre - che io vedevo come mio padre e quindi al netto di ogni malizia - forse avrebbe potuto essere esagerato. Accusare qualcuno di aver commesso qualcosa, nella fattispecie un reato, senza esserne sicuri, non mi sembrava una buona idea. E inoltre, sarebbe stata sempre la mia parola contro la sua. Non restano segni di violenza fisica per una pacca sul culo. Anche se è percepita come violenza.
E poi ricordo un altro pomeriggio ancora, in cui andavo sempre alle medie e al cinema un ragazzo di qualche anno più grande di me mi mise le mani sulle cosce. Dapprima scherzosamente, così come si dà una pacca sulla spalle per una battuta, un gesto amichevole, poi in maniera più insistente, ma sempre al confine e sempre in quel modo che è - era - così difficile da decifrare. E anche qui non dissi nulla perché mi avrebbe detto che ero esagerata a non gradire un gesto amichevole e perché sarebbe stata sempre la mia parola contro la sua.
Di episodi così potrei raccontarne a dozzine. E sono sicura che ogni donna potrebbe aggiungere la propria ricca e vasta esperienza.
L'età della innocenza, quella fase in cui non sei capace di interpretare alcuni gesti, sotto alcuni aspetti, non finisce mai. E non finisce mai perché è la società maschilista in cui siamo immersi che tarda a stigmatizzare certi comportamenti e continua a renderli equivocabili. Non finisce mai perché il confine oltre il quale comincia la violazione del corpo altrui è ancora una sottile linea rossa che fatica a essere riconosciuta.
Ci sono due aspetti di cui tener conto. Uno è quello appunto dell'innocenza di molte ragazzine - come la mia dell'epoca - incapaci di saper decifrare i gesti maschili e su questo, quanto meno all'epoca dei fatti che ho rievocato, c'era ancora molto da lavorare, sicuramente. Un po' come per la questione delle molestie sui bambini. Oggi fortunatamente la cultura, educazione e informazioni sono cambiate per cui si mettono in guardia i bambini e anche le ragazzine da quelle che potrebbero essere molestie sessuali. C'è più chiarezza, più accortezza e soprattutto a livello sociale certi atteggiamenti e comportamenti non sono più accettabili.
Quindi è giusto dire che bisogna lavorare sulla consapevolezza e conoscenza dei propri diritti, quali quello dell'inviolabilità del proprio corpo, dei confini, della possibilità di poter stare seduta su una panchina o ordinare da bere dentro a un bar senza che i passanti ti squadrino da capo a piedi facendoti sorrisini ammiccanti. E su questo ognuno di noi deve lavorare, a partire dalla famiglia, dal dialogo con i propri figli ecc..
Un altro però è quello della radice profondamente maschilista che permea la nostra società e che fa sì che alcuni gesti di violazione dei confini privati del proprio corpo possano ancora non esser ritenuti tali o, peggio, che persistano dubbi interpretativi tali da avallare e rendere accettabili alcuni gesti e comportamenti.
Mi spiego meglio.
Perché devo subire lo sguardo insistente di un uomo? O il bacio - seppur dato per gratitudine - di uno sconosciuto?
Questi sono gesti che non possono definirsi pienamente molestie, ma che comunque provocano disagio, fastidio e sensazione di violazione. E questa cosa bisogna che venga capita. Bisogna che se ne parli e che diventi non solo questione personale e soggettiva, ma politica.
In Inghilterra, ad esempio, fissare per qualche secondo di troppo una persona sulla metro può essere già inquadrato come reato e sicuramente è ritenuto un gesto di grande maleducazione proprio perché viola e invade la sfera del corpo, del privato. Sempre in Inghilterra, se la metro è abbastanza vuota e ci sono diversi posti disponibili, è considerato un gesto di rispetto ed educazione sedersi nel posto vuoto lontano da altre persone. Ossia non occupare il sedile immediatamente accanto a un altro, se c'è la possibilità di farsi due posti più in là.
Da noi invece è tutto un guardare, ammiccare, sfiorare, toccare. Sorridere, sì, che è una bella cosa, ma dipende sempre da come e dal perché. Certo, non c'è sempre malizia, non c'è sempre intenzionalità a sfondo sessuale e non dobbiamo essere fobici del contatto con l'altro. A volte potrebbe esser bello abbracciare uno sconosciuto, o sorridergli, stringergli la mano. Ma dipende sempre dalla consentaneità. Dal contesto, dal momento. Gli sguardi dovrebbero potersi incontrare, non subire. Se tu, uomo, continui a fissarmi insistentemente e vedi che io non ricambio, allora smettila. Se tu, sconosciuto, vuoi darmi un bacio di gratitudine per ringraziami dell'euro che ti ho dato, allora chiedimilo prima: "posso darti un bacio?". Magari ti avrei detto di sì perché sarebbe stato bello scambiare un gesto di affetto, magari invece ti avrei detto no. E tu avresti dovuto andartene. Il punto è che non avresti dovuto farlo senza prima chiedermi il permesso.
Il punto è che il corpo di una donna non si dovrebbe violare mai, né con lo sguardo, né con il contatto fisico. E nemmeno con le parole. A me dà fastidio quando mi chiamano "bella" o "piccoletta". Mi dà fastidio se a farlo è un commesso di un negozio che non conosco o un altro sconosciuto qualsiasi.
La confidenza è una condizione che si raggiunge insieme e non dovrebbe mai essere unilaterale. Ora, è vero che in Italia, e a Roma in particolare, siamo un po' così, ci si dà subito del tu, ci si rivolge l'uno l'altro confidenzialmente, ma c'è differenza tra il farlo in maniera innocente e affettuosa e il farlo perché si è introiettato il pensiero maschilista che la donna sia una bambolina di poco conto.
E fino a quando questa differenza non sarà culturalmente introiettata, resteremo sempre una società maschilista che genererà situazioni ambigue e fastidiose.
Ed è inutile che diciate, per tornare all'episodio del tipo che mi ha baciata mio malgrado: "sì, ma io al posto tuo lo avrei mandato affanculo" perché avreste dovuto trovarvici al posto mio e allora avreste, forse, provato la medesima sensazione di impotenza che ho provato io.
Sia chiaro, io non sto parlando qui di molestie acclarate. Ovvio che oggi se l'istruttore di sci di turno o chi per lui mi desse una pacca sul culo, dovrebbe vedersela poi con una denuncia in piena regola di molestia. Parlo di gesti e comportamenti ambigui e che continuano a esser tali perché è la società maschilista in cui siamo immersi che continua a ritenerli accettabili.
Perché ancora se dici a uno che ti dà fastidio che ti stia guardando con insistenza, quello si sente in diritto di darti della femminista isterica anziché girare lo sguardo e chiedere scusa. E perché ancora sarebbe solo la tua parola contro la sua.
6 commenti:
Hai scritto un post che turba molto, che mi ha turbato. è giusto che sia così: è un post profondo e bello.
Hai proprio ragione, Rita. la parola chiave è impotenza, e non ho potuto anche fare a meno di notare l'altro leit mnotiv, un ritonrello, quasi: e poi, sarebbe la mia parola contro la sua (e si sa, purtroppo, quale delle due parole ha maggiori probabilità di essere ascoltata e creduta; in questo sbilanciamento, forse, ci sta la parte definibile come 'pregiudizio' del maschilismo: l'uomo ha ragione a prescindere, gli do subito ragione, senza pensare, senza riflettere, in automatico).
Questa impotenza, forse la si puà appioppare anche ai maschi: quelli che sono impotenti a rispettare ogni donna in quanto essere vivente; che sonoi impotenti a convivere coi cambiamenti di mentalità e che duqnue non sanno far di meglio che aggredire. Non tutti i maschi son così; anzi, io definirei questi aggressori come an-umani, mancanti di qualcosa di fondamentale. un po' come i moltissimi umani che a varie gradazioni maltrattano gli altri animali (e spesso, diversi maltrattamenti procedono paralleli)
Ho scritto tanto, Rita, perché questo post mi ha toccato profondamente. Spero di non averti travisata! :)
Grazie Giovanni per il commento. Mi spiace averti turbato, ma da una parte sono contenta di esser riuscita, in parte, a comunicare il turbamento che in certe situazioni avvertiamo noi donne.
Alcuni potrebbero dire che si tratta, infine, di sensibilità individuali e che spesso gli uomini non si rendono conto di mettere a disagio. Il punto è che se un qualcosa si avverte come fastidioso e violento è perché effettivamente è fastidioso e violento, solo che non si pensa sia così. E sì, spesso gli uomini stessi non si rendono conto, molti magari sono in buona fede, altri meno, altri per niente, però non sta solo a noi donne mettere dei paletti, ma alla società intera far luce su alcune zone grigie - legislative, ma soprattutto socio-culturali.
Faccio un esempio: oggi nessun adulto sconosciuto si permetterebbe di indugiare troppo a lungo con lo sguardo su un bambino piccolo e questo perché abbiamo introiettato culturalmente il pericolo della pedofilia, crimine da cui ci si deve difendere e che è socialmente stigmatizzato; però invece non è percepito come grave indugiare sul corpo di una donna perché si pensa che la donna sappia difendersi. Verissimo. Ma in quel momento in cui accade si avverte lo stesso la violazione e il disagio. Violazione e disagio che è difficile esprimere e che portano al blocco psicologico e all'impotenza.
Ecco, bisognerebbe far passare il concetto che ci sono violazioni non necessariamente fisiche o particolarmente gravi, ma non per questo meno pesanti da gestire sotto il profilo psicologico ed emotivo.
Io credo che i molestatori giochino proprio sull'ambiguità delle situazioni. Anche quelli randagi a cui fai un gesto di slancio, perchè magari il resto dell'umanità li ignora o li tratta male. Si approfittano del fatto che siamo sole, perchè sono vigliacchi.
Ciao Sara,
lo penso anche io. Forse non sarà sempre così, ma spesso sì.
A noi "ragazze"è stato insegnato ad essere buone e gentili, che fregatura!
Esatto. Gentile e compiacenti, altrimenti vieni tacciata di isterismo.
Le frasi più comuni quando reagisce a quello che avverti come un sopruso sono: "ma quanto sei acida!", "ma sei una pazza isterica".
Del resto basti pensare al profondo maschilismo insito nel termine "histeria".
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