“Hey, fratellino… sei ancora in gamba ad ammazzare!”
(A History of Violence – David Cronenberg)
Non ti offendi, vero, se ordino una bistecca?
A me? No, tranquillo. Non è che offendi me. Mi dispiace semmai che tu non ti renda conto che oltre a me e te ci sia un altro - il vero! - soggetto cui dovresti render conto.
Sì, certo, ho capito cosa vuoi dire, ma… ormai è morto. Se non lo mangiassi io, lo mangerebbe qualcun altro.
Già. Il fatto che sia morto rafforza la dissociazione cognitiva.
Vale a dire?
Lo rende un referente assente. La bistecca che ti arriverà tra poco è un pezzo di un animale morto. Ma al tempo stesso non lo è più perché è stata “lavorata” e “trasformata” in cibo. In un certo senso sei autorizzato a non vedere l’individuo che una volta è stato perché mi rendo conto che il contesto gastronomico entro cui è stato situato non facilita le cose.
A me piace mangiare la carne, penso che non ci sia nulla di male nel mangiarla e non mi sento stronzo per questo. La pensiamo diversamente. Punto. Possiamo rispettarci a vicenda?
Guarda, sei tu che mi hai chiesto se mi sarei offesa per la bistecca. E comunque non ci capiamo perché mentre tu continui a parlare di carne e bistecche, io provo a parlare di animali. Siamo su due piani concettuali completamente diversi. Il tuo ha a che fare con il cibo, il mio con termini quali rispetto, giustizia, individui, animali, etologia ecc..
Sì, io ti ho chiesto se non ti saresti offesa perché so che sei vegana e non volevo mancarti di rispetto, ma non volevo intavolare una discussione sugli animali.
La discussione è implicita nella tua domanda. A meno che tu non preferisca che io risponda in maniera ipocrita. Perché vedi, il mio essere vegana non è una condizione che subisco, per cui non manchi di rispetto a me, ma all’animale che è morto per ottenere quella bistecca.
Io non la vedo così. Gli animali si sono sempre mangiati, fa parte della catena alimentare. Non sono d’accordo sugli allevamenti intensivi, è vero che lì dentro gli animali vivono vite terribili e questo non è giusto, il maltrattamento è sbagliato, però se tutti noi mangiassimo meno carne e solo acquistata nei piccoli allevamenti, la situazione sarebbe migliore, no?
Migliore per chi, innanzitutto? Non certo per chi viene comunque fatto nascere per diventare bistecca. Inoltre, visto che lo hai menzionato tu, sfatiamo per una volta il mito dell’allevamento estensivo del piccolo allevatore dietro casa. Prima cosa, dal riferimento continuo al piccolo allevatore biologico che tratta bene gli animali e gli dà solo cibo biologico se ne dovrebbe dedurre che al mondo ci siano più allevamenti di questo tipo che automobili e sappiamo invece che non è così. Andiamo, tu stasera qui hai ordinato una bistecca. Che ne sai dove è stata acquistata e da quale allevamento provenga? E quando ordini qualsiasi piatto contenente uova, latte, carne o pesce, anche in minima quantità, non puoi certo avere la certezza che le uova siano da galline a terra o che il latte sia del contadino che munge la sua unica mucca trattata con amore e rispetto (beninteso, dopo averla ingravidata a forza e averle ucciso il vitellino e che comunque verrà spedita al mattatoio senza tanti complimenti una volta che la produzione di latte calerà). Quindi dite tutti un sacco di stronzate. Vi rifugiate dietro questa frase dell’allevamento estensivo senza nemmeno sapere cosa sia e la tirate fuori in automatico per riflesso condizionato.
Comunque, in sintesi, gli allevamenti estensivi sono ancora più dannosi all’ecosistema perché sottraggono ancora più terreni, acqua e risorse (terreni, acqua e risorse che invece potrebbero usate per soddisfare direttamente richieste di cibo per paesi poveri), ma soprattutto perché mentono in merito al rispetto degli animali. Fanno appello a questa etichetta vuota, “benessere animale”, che in realtà è solo un’espressione rassicurante dietro la quale nascondere le solite nefandezze di sempre, visto che gli animali vengono comunque sfruttati e mandati al mattatoio, come tutti gli altri; ora, ascoltami bene, se si riconosce che almeno hanno vissuto quei pochi mesi in condizioni migliori rispetto ai loro fratelli dentro i capannoni intensivi, allora significa che si è disposti a riconoscerli come individui che meritino almeno un po’ di rispetto; dal momento che tu stesso dici che i maltrattamenti sono sbagliati, vuol dire che sei disposto a riconoscere il danno inferto a questi animali. Ma il danno non consiste solo nella dose di maggiore o minore crudeltà, quanto nel loro essere comunque e sempre assoggettati al dominio della nostra specie. Come se anziché far cessare direttamente la schiavitù avessimo concesso a intere famiglie di vivere apparentemente libere, per poi però, dopo un tot di tempo, andare a prelevarle dalle loro abitazioni e trascinarle nuovamente nei campi a raccogliere il cotone a suon di frustate. E in cosa sarebbe consistito il rispetto del loro “benessere”? Nell’avergli concesso qualche mese di apparente libertà? Nell’aver riconosciuto che essi siano in grado di provare emozioni e di avere un’esperienza del mondo non certo minore dei loro padroni?
Insomma, le cose sono due: o sei disposto a riconoscere che maltrattare gli altri animali è sbagliato – così come tutti crediamo sia sbagliato prendere a calci un cane per strada – e dunque lo è altrettanto allevarli per ucciderli; o accetti che siano considerati e trattati come oggetti, ma allora dovresti essere disposto ad accettare anche la violenza dei capannoni-lager e dei mattatoi. Non può esistere allevamento senza mattatoio. E viceversa. Non può esistere una violenza accettabile e una condannabile. Né si possono stabilire limiti ad essa. Gli allevamenti, tutti, e i mattatoi sono contenitori di violenza e una volta che si è dentro, si salvi chi può. O meglio, non si salva nessuno perché la violenza è come un virus che contagia tutti coloro che ne vengono a contatto, vittime e aguzzini. E quand’è che comincia la violenza? Molto prima che sia palesemente visibile, molto prima che il sangue inizi a sgorgare. Inizia nel momento in cui qualcuno pensa che sia lecito abusare o anche solo controllare il corpo di qualcun altro. E noi degli altri animali controlliamo tutto, persino i loro accoppiamenti. Gli abbiamo tolto anche il piacere dell’accoppiamento.
La catena alimentare non c’entra niente perché non stiamo parlando di predazione, ma di oppressione e dominio. E l’oppressione e il dominio si esercitano con la violenza. Siamo una specie che ha fatto della violenza il suo carattere… dominante, in ogni senso.
Quindi non chiedere a me se la bistecca sul tuo piatto mi offende. Chiedi piuttosto a te stesso quanto sei disposto ad accettare la conseguenza delle tue azioni e di quelle che chiami scelte: fin quanto sei disposto a gettare un occhio nello sprofondo del tuo lato oscuro senza distogliere lo sguardo.
E se lo accetti, allora fregatene anche del fatto che mi offenda o meno. Io mi rifiuto di avere più considerazione del maiale che sta andando a morire. In base a cosa dovrei avere più considerazione? Perché so contare fino a dieci e perché cammino in posizione eretta? Non si può essere “compassionevoli” e “rispettosi” a metà. In base al numero di zampe o del colore della pelle. O lo si è, o non lo si è.
La tua etica che vuol essere per forza inclusiva del rispetto di ogni essere vivente è una tua scelta. Non la mia. E comunque allora non dovresti andare in macchina o camminare perché chissà quanti insetti calpesti.
Un conto sono gli effetti intenzionali del nostro vivere, un altro quelli involontari o accidentali.
E per quanto sia impossibile vivere senza avere alcun impatto sugli abitanti del pianeta, per lo meno si dovrebbe saper riconoscere il danno diretto. Andando in auto rischio anche di investire i pedoni, ma questo non mi autorizza di certo a sparare e sfruttare le persone.
(Continua).
Immagine di Andrea Festa.
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