I bambini sono una grande risorsa. Ancora non del tutto condizionati dall’ideologia dello specismo e del carnismo, nutrono quasi sempre una curiosità sincera nei confronti degli altri animali, scevra da pregiudizi e narrazioni antropocentriche.
Nessun bambino accetterebbe di mangiare la carne dell’agnellino o del vitellino con cui ha giocato poco prima e sono abbastanza sicura che si rifiuterebbe di andare al circo o allo zoo se sapesse di quanta violenza sono intrise queste strutture di prigonia.
Sono anche abbastanza sicura che alla domanda tendenziosa del “scegli il topo o il bambino” troverebbero una terza via rispettosa di entrambi i soggetti.
I bambini amano gli animali e, se non li amano, comunque li riconoscono come individui senzienti, diversi da loro, ma non per questo inferiori o meritevoli di essere sfruttati, mercificati e uccisi.
Questo comportamento abbastanza innato ha però anche un innegabile lato oscuro, ossia è facilmente aggirabile e strumentalizzabile dagli adulti in favore di un ripristino di un ordine sociale e culturale teso a confermare la superiorità della nostra specie su tutti gli altri animali.
Difatti tutti i genitori e gli adulti che portano i bambini al circo, allo zoo, delfinari e strutture di detenzione varie si appellano al presunto desiderio dei bambini di vedere animali esotici dal vivo per giustificare quella che in realtà è, quasi sempre, una loro decisione.
Ora, sia chiaro, può essere che persino molti adulti non siano al corrente delle enormi sofferenze che patiscono gli animali rinchiusi in queste strutture o che non conoscano i brutali metodi di addestramento usati nei circhi, ma la risposta sovente non cambia nemmeno dopo adeguata informazione.
Nella mia esperienza di volantinaggio davanti a questi lager ho avuto spesso modo di parlare a lungo con i genitori: quasi tutti erano in grado di riconoscere la crudeltà e violenza consumata entro quelle mura, ma si ostinavano lo stesso a entrarci e a finanziare le strutture facendosi scudo della volontà del bambino di volerci comunque andare; il quale continuava a restare invece appositamente all’oscuro dell’intera situazione.
Frasi come: “per il bambino è una festa”, “mio figlio ama gli animali e così potrà vedere animali esotici che altrimenti non potrebbe mai incontrare dal vivo”, “ma ormai gliel’ho promesso e se non entrassimo per lui sarebbe una delusione” sono le più comuni.
Bambini, bambini, sempre bambini. Bambini ingannati, bambini traditi, bambini cui viene taciuta la verità e che vengono debitamente tenuti all’oscuro delle pratiche di violenza che i loro amati animali subiscono; bambini strumentalizzati nel loro sincero amore che finisce per ritorcersi contro gli animali stessi; bambini che inorridirebbero se vedessero il dietro le quinte di circhi e delfinari.
Si agisce così una doppia violenza anche sui bambini stessi, oltre che sugli animali: una, che è quella di trasmetter loro la “normalità” e “banalità” del dominio e oppressione sugli altri animali, un’altra che è quella di indurgli la dissociazione cognitiva per cui da una parte questi bambini riconoscono l’animale, ma dall’altra non sono in grado di ricondurlo alla sua interezza di individuo senziente con precise necessità etologiche e finiscono per ridurlo a un simbolo; uno per tutti: il leone (o la tigre, la giraffa, il gorilla ecc.), che anziché essere una singolarità, quindi un individuo specifico con una sua precisa storia e identità - per quanto drammatica possa essere - diventa il simbolo di una precisa specie, ridotto a un’astrazione semantica e poco più.
I bambini non imparano così a vedere un singolo individuo, non un leone strappato al proprio habitat, ma IL leone, un simulacro di specie, un simbolo e poco più.
Lo stesso meccanismo avviene riguardo il cibo. Qui il discorso è più complesso perché ci troviamo ancora di fronte all’ignoranza riguardo il veganismo e si continua a credere che i bambini abbiano necessità di mangiare animali e derivati. In questo caso, più che sull’amore di questi ultimi verso gli animali, si tende ad usare in maniera efficace lo strumento retorico che agisce sul sentimento di protezione e vulnerabilità che la società adulta nutre nei confronti dei bambini. Così si crea la notizia del bambino vegano malato o in pericolo di vita per rafforzare la menzogna della necessità di una nutrizione a base di animali e di prodotti derivati da loro iniquo sfruttamento. E poco importa se queste notizie si siano poi rivelate tutte false, una volta lanciata la bomba, non ci sarà smentita che tenga al clamore suscitato dalla prima (ammesso che venga pubblicata e mi pare che nei casi più recenti non lo sia stata mai).
Lo stessa retorica che fa appello al sentimentalismo riguardo i bambini è usata dal mondo della ricerca medica che pratica la vivisezione. La domanda tendenziosa è: “preferisci il topo o il bambino?”. Notare come l’animale non umano da anteporre a questa falsa scelta è sempre il topo – animale che nell’immaginario collettivo riassume in sé tutta una serie di pregiudizi negativi –, mai ad esempio il tenero coniglietto, il cagnolino, gattino o il cucciolo di primate; notare anche come l'immagine del bambino, spesso in braccio alla mamma o insieme al papà, sia sempre costruita – per posa, luce e prospettiva – in maniera tale da richiamare un'atmosfera di protezione e affettività famigliare; addirittura tempo fa ne girava una che richiamava esplicitamente l'icona della madonna col bambino (non le pubblico per non fare ulteriore pubblicità ingannevole). Quest’uso delle immagini, già di per sé abbastanza mistificatorio, si basa poi sul richiamo a una scelta che non è assolutamente possibile effettuare in termini così semplicistici e binari. Innanzitutto gli animali uccisi per la vivisezione sono milioni e non c’è un reale corrispettivo di bambino guarito e salvato per ognuno di essi; secondo poi gli animali vengono uccisi anche per raccolte dati di lavori meramente accademici; terza, cosa più importante, una scienza capace di mettere in gioco solo un’alternativa così violenta facendo leva sulla disinformazione e retorica dell’infanzia è una scienza che ha paura di sé stessa in quanto incapace di far fronte a nuove domande che la collettività pone e, tra queste, se sia lecito, oggi, dopo tutto quello che abbiamo appreso in merito alle capacità cognitive degli altri animali, continuare a considerarli “macchine” come sosteneva Cartesio nel seicento.
In ognuno di questi contesti il bambino, anziché essere davvero protetto o accontentato nei suoi desideri come si pretenderebbe, in realtà viene sempre usato, manipolato e oltraggiato nel suo diritto a conoscere la verità sulla realtà che lo circonda.