Oggi vi propongo un articolo di Marco Cioffi sull'aumento esponenziale di un mercato vegan e su come questo fenomeno non sia da giudicare negativamente, ma abbia, indubbiamente, dei lati positivi.
Trovare prodotti con ingredienti esclusivamente vegetali (per quanto riguarda il cibo), senza parti derivanti da animali (per il vestiario) e che non siano stati testati su animali (come per saponi e detersivi) è utile, non solo per i consumatori vegani.
Avere una scelta di prodotti etici nei comuni supermercati influenza la percezione di normalità della “scelta critica” che si realizza per motivi etici. La sola esistenza sugli scaffali di questi prodotto facilita l’idea di prenderne in considerazione l’acquisto, rendendo questa scelta come normale e soprattutto possibile, alla portata di tutti. Ma chiarisco subito che l'acquisto, ovvero il consumo di prodotti veg è solo un mezzo, è una testimonianza evidente di una scelta che possiamo intraprendere ora e subito, uno strumento sociale, non è da considerarsi un fine ultimo.
Ad oggi, la percezione di questa scelta da parte del neofita è purtroppo di una rinuncia alla normalità, non a caso tra le prime domande poste in questi casi c'è: "E che cosa ti mangi?". Questa legittima preoccupazione (che come vedremo nasconde un'architettura complessa) contiene al suo interno la paura di un attacco a tutto un sistema di valori e al quotidiano agire individuale. È importante dunque mostrare una rassicurante risposta, convalidata da una sempre crescente e oltremodo visibile disponibilità a poter scegliere concretamente altri prodotti senza difficoltà, e senza privazioni.
È altresì importante riflettere sulle "3N" che la psicologa Melanie Joy considera come i pilastri dell’ideologia carnista, ovvero che mangiare gli animali è considerato: Normale, Naturale e Necessario. L’esistenza di un’altra normalità, anche al supermercato, può sicuramente aiutare a supportare l’idea che ci si possa facilmente orientare e scegliere, tra le due normalità, quella che si considera più incline ai propri principi etici.
Desmond Morris, nei suoi studi sulla sociobiologia umana ha infatti verificato che “gran parte di quello che facciamo da adulti si basa sull'assorbimento imitativo che avviene durante l'infanzia. Spesso pensiamo di comportarci in un determinato modo perché questo comportamento si accorda con qualche codice di astratti e nobili principi morali, mentre in realtà non facciamo altro che obbedire ad una serie di impressioni puramente imitative, profondamente radicate e da lungo tempo dimenticate. La immutabile obbedienza a queste impressioni (insieme ai nostri impulsi istintivi accuratamente celati), rende molto difficile alla società cambiare le proprie usanze e le proprie "credenze". La comunità, anche quando viene messa di fronte a concetti nuovi brillanti e stimolanti, basati sull'applicazione di una intelligenza pura ed obiettiva, resta attaccata a pregiudizi ed abitudini familiari.”
Proprio perché è evidente, ormai quasi a tutti, che le abitudini alimentari derivano dalle nostre tradizioni culturali ed influenze ideologiche, che dobbiamo considerare "l'acquisto" anche in questo senso, ovvero come un'azione riguardante un oggetto avente un valore condiviso e contenente codici culturalmente acquisiti. Il cibo è inoltre un importante veicolo di emozioni, intrecciandosi con le nostre relazioni sociali, i nostri ricordi e legandosi fortemente con tutto l'immaginario ad essi collegato. Basterebbe soffermarsi anche solo sulle varie feste del calendario o sulle cerimonie religiose per comprendere che ruotano tutte attorno al cibo. La stessa idea di normalità gioca quindi un ruolo importantissimo nell’idea di cambiamento di prospettiva, rivestendo una serie di forti implicazioni sociali nelle nostre relazioni, per almeno 3 volte al giorno (colazione, pranzo e cena), in ogni singolo giorno della nostra vita, così come lo è stato nel nostro passato, già depositato nei nostri ricordi.
Lo scrittore Jonathan Safran Foer ha riflettuto sull'impatto che il comportamento ordinario di fare acquisiti può generare attorno a noi, infatti in un suo famosissimo libro si chiede proprio “che mondo creeremmo se tre volte al giorno la nostra compassione e la nostra razionalità intervenissero mentre ci sediamo a tavola, se avessimo l'immaginazione morale e la volontà pratica di cambiare il nostro atto di consumo più essenziale? [...] Può sembrare ingenuo affermare che scegliere se ordinare un medaglione di pollo o un hamburger vegetariano è una decisione importante. D'altra parte, sarebbe di certo suonato incredibile se negli anni Cinquanta ti avessero detto che sederti in un posto o in un altro al ristorante o sull'autobus avrebbe potuto cominciare a sradicare il razzismo. Sarebbe suonato altrettanto incredibile se, all'inizio degli anni Settanta, prima delle campagne di Cèsar Chávez per i diritti dei braccianti agricoli, ti avessero detto che rifiutandoti di mangiare uva avresti potuto cominciare a liberare quei lavoratori da una condizione di semischiavitù. Potrà sembrare incredibile, ma se ci prendiamo il disturbo di soffermarci sulla cosa, è difficile negare che le nostre scelte quotidiane plasmino il mondo.”
Questa analisi vale ugualmente per la reperibilità dei prodotti come ad esempio: il caffè, il cacao e la cioccolata, prodotti distribuiti anche dal circuito del "commercio equo e solidale", dove varie cooperative lottano nei paesi del terzo mondo per contrastare lo sfruttamento umano, che spesso risulta essere vera e propria riduzione in schiavitù, con non pochi casi di lavoro minorile. L'accresciuta diffusione di tali prodotti equo e solidali nei normali supermercati, di fianco alle tradizionali marche (incriminate per le suddette condizioni) rende possibile e più facile la scelta etica (invece che doversi recare esclusivamente nelle botteghe equo e solidali), senza quindi dover ricorrere a rinunce.
Se non vogliamo rischiare che il diventare vegani diventi l'attitudine esclusiva dei soli attivisti che si impegnano concretamente nella causa antispecista, ma vogliamo che diventi la conseguenza di una presa di coscienza etica e politica su larga scala, alla portata di tutti gli individui, di ogni tipo e temperamento (caratteriale e sociale), dalle famiglie ai singoli, dagli studenti agli imprenditori, dai bambini agli anziani, nessuno escluso (anche quindi per i tanti, probabilmente la maggioranza degli individui non inclini all'attivismo, di qualsiasi forma), forse dovremmo accettare che la facilità di reperire “prodotti vegani” sia un bene (soprattutto per gli altri animali) per evitare che questa scelta rimanga circoscritta a pochi gruppi già fortemente e attivamente preparati sul consumo critico poiché hanno come obiettivo, tra gli altri, quello di contrastare il sistema di sfruttamento degli animali. La reperibilità è indubbiamente un vantaggio, un percorso facilitato per presentare l’attuazione di un diverso agire morale, sociale e politico. Se la scelta da compiere è semplificata dalla realtà in cui viviamo, allora si può auspicare che i diversi tentativi in quella direzione diventino più facilmente presentabili ed attuabili, ad esempio in un contesto familiare. Su questo punto è molto chiara la riflessione che fa il filosofo Guido Ceronetti quando dice che “meglio sia un’intera famiglia a nutrirsi vegetarianamente, e non un solo componente, perché così non c’è separazione a tavola, tutti unisce in un magico circolo l’ideale comune” e ribadisce ancora chiaramente che “il vegetarianismo familiare è un’ incrinatura sensibile dell’uniformità sociale, una piccola porta chiusa al male, in questa universale condanna a essere tutti uguali a servirlo.”
Tra l’altro, questa disponibilità di prodotti etici nei supermercati (che siano vegan, ma vale lo stesso discorso ad esempio per quelli "equo e solidali"), non è da considerarsi una "mercificazione della lotta", come in alcuni casi è stato affermato, ma sì una risposta del mercato, però ad una giusta domanda. Non si può certo subito proporre a una persona di rinunciare ai soliti acquisti, alle proprie abitudini: comportamenti che fanno parte di rituali acquisiti e che sono di fatto l’espressione di una cultura assorbita. È spesso utile proporre sostituti assimilabili a ciò che già si conosce, così la scelta avviene facilmente tra due prodotti simili, soltanto realizzati con ingredienti diversi, una sorta di sostituzione (ovviamente dove questo è possibile). Inoltre è poi quantomeno azzardato proporre da subito l'autoproduzione, come fonte esclusiva di prodotti, a un individuo estraneo a tutta una serie di prassi e implicazioni anticapitalistiche, vincolato, com'è prevedibile che sia, a ben solidi rituali sociali, e fortemente dipendente da comportamenti urbani stereotipati, ma gli si può certo suggerire e prospettare un percorso graduale di cambiamento, in modo realistico, soprattutto considerando le attitudini e possibilità del singolo soggetto o del gruppo familiare. In questa direzione si può sperare di promuovere il cambiamento verso la riduzione progressiva dei prodotti non etici fino alla completa sostituzione con prodotti etici. Certo, si può ipotizzare che questa direzione potrà al massimo ottenere la fine dello sfruttamento animale, e non smuoverà e non riuscirà ad interrompere la violenta macchina capitalistica, che nei suoi ingranaggi continuerebbe comunque a distruggere la natura e le sue risorse limitate; un discorso più globale, capace di tener conto di tutti gli aspetti distruttivi del capitalismo, andrebbe comunque affrontato, contestualmente o in separata sede, ma è importante tener conto, come viene dimostrato nel documentario Cowspiracy, che gli allevamenti (sia intensivi, che estensivi) e in generale la l’industria che sfrutta e uccide gli animali, sono proprio tra le principali cause di distruzione delle risorse, inquinamento, desertificazione, deforestazione ed estinzione di moltissime specie di flora e fauna.
In un momento storico come questo - dove il numero degli animali uccisi al secondo va oltre i 5.400 individui al secondo, dove i responsabili di tale massacro sono semplici consumatori inconsapevoli, attori in preda a rituali tradizionali, individui scollegati dalla realtà dell'altrui sofferenza -, la diffusione in tv di immagini e video di investigazioni sulla realtà dello sfruttamento animale, diventa una speranza concreta per rendere comprensibili al grande pubblico tematiche importanti come quelle dello specismo e antropocentrismo: ideologie che generalmente vengono codificate e rafforzate in maniera subliminale proprio sui canali mediatici che hanno maggiore visibilità.
"Fare la spesa” certo non è fare attivismo, ma è sì una pratica ordinaria e necessaria che coinvolge tutti gli individui, anche quando questi non sono (o non si percepiscono) coinvolti in un atto consapevolmente politico capace di influenzare il mercato. Altro canto è invece un'azione di dichiarato boicottaggio, che trasporta un’anima spiccatamente rivoluzionaria in un gesto consapevole mirato a ottenere uno specifico risultato. È pur vero che, in ogni caso, ogni forma di consumo influenza e decide la direzione del mercato e le scelte aziendali; infatti noi, anche da semplici consumatori, indichiamo, con i nostri investimenti quotidiani (che costituiscono la domanda aggregata), cosa si deve vendere e cosa no, anche se a volte – per altri meccanismi - avviene il contrario. Questi numeri creano le curve che gli analisti finanziari studiano per modificare, creare e distribuire nuovi prodotti. In generale tutte le curve di domanda hanno pendenza negativa, questo significa che più il prezzo di un bene è alto, meno ne viene richiesto. Viceversa più un bene è a buon mercato, più ne viene venduto. La relazione tra quantità e prezzo è dunque inversa. Per questo è un buon segno l'aumento dei prodotti veg e la sua distribuzione su larga scala. Di fatti anche le S.p.a. dello sfruttamento, i grandi marchi che non si preoccupano certo dell'etica, stanno già investendo in tal senso solo per non perdere questa fetta di mercato; noi per loro possiamo solo auspicare che con il tempo siano costrette ad una totale conversione della produzione. Inoltre è chiaro che fare facilmente la spesa veg al supermercato, diventa il terreno per consolidare una nuova idea di normalità, poiché attraverso i consumi si modella anche la società nei suoi comportamenti, certo in un'ottica capitalistica tipica della società dei consumi, ma è questa attualmente la realtà in cui ci troviamo, nel bene e nel male, ed è per questo che dovremmo considerarla e manipolarla con giudizio. Anche perché qualsiasi rivoluzione sociale non potrà che avvenire per gradi e non certo dal giorno alla notte, quindi è importante fare oggi tutto ciò che è nelle nostre possibilità, anche se in vista di un risultato momentaneamente parziale, pena un immobilismo in attesa di chissà quale presunta azione definitiva che modifichi improvvisamente l’assetto sociale.
È inoltre davvero importante analizzare cosa il sociologo Emile Durkheim affermò sul concetto di normalità, che lui associava alla morale comune, e cioè che essa è la media dei comportamenti: ovvero, ciò che risulta normale è tale per un tipo sociale determinato, in un preciso momento e in un determinato luogo, consolidato dai fatti del passato. Inversamente, tutto ciò che mette in discussione l'ordine sociale e i valori dominanti della media della popolazione viene considerato patologico per quella società in quel momento, in relazione al grado di sviluppo raggiunto. Si deduce così che sia il normale sia il patologico sono infine effettivamente concetti relativi, connessi con il tempo e con l'evoluzione di una particolare società. Questo comporta dunque che i mutamenti sociali implicano un cambiamento dei valori dominanti, che di fatto influenzano, modellano e modificano le condizioni dell'esistenza collettiva.
Dobbiamo infine riconoscere anche l’esistenza di possibilità che nel mercato vanno oltre le nostre previsioni in merito, come analizzava l’antropologo Marvin Harris quando affermava che “il rapporto fra processi materiali e orientamenti morali sia costituito da probabilità e somiglianze, piuttosto che da certezze e identità, ritengo senz'altro sia che la storia è determinata, sia che gli esseri umani hanno la capacità di effettuare scelte morali e di agire liberamente. Insisto anzi sulla possibilità che si verifichino eventi storici improbabili, che comportano il rovesciamento imprevisto di normali rapporti di causa-effetto fra processi materiali e valori, e che pertanto siamo tutti responsabili del nostro contributo alla storia.”
In conclusione, oltre la profezia di Harris, diventano altrettanto profetiche le parole di una grande donna, Jane Goodal la quale sostiene che: “dipende tutto da noi: siamo noi che possiamo fare la differenza. Se riusciamo a lasciare anche la più piccola impronta possibile, se compriamo ciò che per noi è etico lasciando indietro ciò che non lo è, possiamo cambiare il mondo in una notte.”
In una notte certo questo risultato è improbabile, ma intanto dovremmo sfruttare bene il nostro tempo e non strizzare il naso se al supermercato guadagnano sempre più terreno le scelte vegane e/o cruelty free.
(Marco Cioffi)
Riferimenti bibliografici
Melanie Joy - Perché Amiamo i Cani, mangiamo i Maiali e indossiamo le Mucche?
Desmond Morris - La scimmia nuda. Studio zoologico sull'animale uomo
Jonathan Safran Foer - Se niente importa. Perché mangiamo animali?
Guido Ceronetti - La carta è stanca
Emile Durkheim - Le regole del metodo sociologico
Marvin Harris - Cannibali e re. Le origini delle culture
Jane Goodall - Cambiare il mondo in una notte