martedì 31 maggio 2016

Harambe e il nostro delirio antropocentrico


Sembra proprio che sui social e sui media sia difficile elaborare un pensiero che non vada oltre una faziosità tipica da stadio, eppure, sulla vicenda di Harambe, credo che ci si debba sforzare di fare qualche considerazione in più perché è paradigmatica non solo del nostro rapporto con gli altri animali, ma anche della rappresentazione di noi stessi in quanto presunta specie eletta la cui sacralità dei singoli non deve essere messa in discussione.  
Innanzitutto, non bisogna smettere di ripetere quanto gli zoo e altre strutture che imprigionano gli animali siano da bandire totalmente. Si tratta di luoghi intrisi di violenza sia sul piano pratico, che su quello simbolico e rappresentativo. Pratico, perché tenere in gabbia (o anche in recinti più ampi, poco importa) individui appartenenti a specie che necessitano di esprimere ben altre esigenze etologiche (correre, arrampicarsi sugli alberi, socializzare, sperimentare il mondo con tutta la varietà di stimoli che offre, predare ecc.) è una forma di violenza immane. Significa in pratica castrare, mutilare, dominare, impedire a qualcuno di essere e di stare nel suo mondo. 
Sul piano rappresentativo, quindi del significante, si tratta di un’altrettanta forma di violenza dalle numerose sfaccettature: innanzitutto si trasmette ai bambini l’idea che la nostra specie possa impunemente controllare e imprigionare altri animali, quindi l’antropocentrismo in una delle sue manifestazioni peggiori, secondo poi li si espone a un rapporto tra soggetto che guarda e soggetti guardati che non è paritario, non è relazionale, ma è anzi, oltre che di dominio, spesso di scherno e denigrazione. Tra gli zoo moderni e quelli ottocenteschi non vi è nessuna differenza. Si possono chiamare “bioparco” quanto volete, ma le parole in questo caso sono solo orpelli per nulla aderenti alla realtà che vorrebbero indicare in quanto si tratta sempre della medesima struttura in cui c’è appunto un osservante che dall’alto della sua presunta posizione di superiorità osserva altri individui considerandoli fenomeni da baraccone. E non può essere altrimenti perché altro non si può imparare. Cosa si può sapere infatti del leone sedato e privato della possibilità di esprimere quelle che sarebbero le sue caratteristiche di specie? 
Mi è capitato spesso, guardando dei video girati dai visitatori di zoo e strutture simili, assistere a risate di scherno e azioni di disturbo nei confronti degli animali imprigionati. Ragazzotti che si sentono superiori e più intelligenti che fanno il verso ai loro cugini primati, deridendoli e facendoli arrabbiare, senza minimamente capire che l’uso della parola, anziché del linguaggio gestuale e del corpo, non fa di noi una specie superiore, ma solo diversa. Assistere a tali manifestazioni di dominio è avvilente ed è la prova non della nostra presunta superiorità e intelligenza, ma semmai della nostra incapacità di guardare oltre l'orizzonte del nostro naso. 
La questione Harambe è paradigmatica anche per un altro verso: la sua vicenda ricorda molto da vicino quella cinematografica di King Kong. Un gorilla viene estirpato dal proprio habitat e portato nel nostro al solo fine di trarne profitto economico. Poi, incapaci di gestirne la natura selvatica, viene ucciso. Doppio danno: l’essere stato dapprima privato della sua libertà – che è già una prima morte psicologica – e poi materialmente privato della vita. In questo, come in tanti casi reali, si assiste alla tragedia di un individuo che deve pagare con la sua vita per errori tutti umani. E ci sarebbe anche molto da dire sulla maniera in cui, dal momento in cui ci siamo tirati fuori dalla natura, cui continuiamo però ad appartenere in quanto animali, abbiamo iniziato a temere e stigmatizzare ogni comportamento che non appartenga (spesso a torto) al rango della razionalità. Quel che si teme è la propria animalità (Freud direbbe che la civiltà è soppressione degli istinti), quel che si mette in atto è una rimozione della nostra natura animale, quel che inconsciamente manifestiamo è la distruzione dell'animale per meglio esaltare la nostra presunta umanità (ossia la costruzione culturale e fittizia che abbiam fatto di essa)*. Inoltre, tutto ciò che riguarda il nostro comportamento viene sempre definito razionale, ossia avente una motivazione logica e intelligibile, mentre tutto ciò che fanno gli altri animali è imputabile al mero istinto. Pure qui si tratta di una pura distinzione ideologica: perché mai se una donna protegge il proprio figlio dovrebbe essere un comportamento logico mentre se lo stesso fa un'orsa viene definito bruto istinto? 
Paradigmatico anche il modo in cui i media hanno trattato la vicenda, a cominciare dalla terminologia usata: Harambe, è un esemplare appartenente a una specie in via d’estinzione, mentre il bambino è IL bambino, la cui vita è considerata sacra a prescindere (anche secondo le parole dell’etologo Alleva). Ecco, stupisce constatare quanto persino un etologo, che dovrebbe conoscere Darwin, ancora faccia questa distinzione ontologica tra animali da una parte, in cui vi sono esemplari intercambiabili, quindi sostituibili e gli umani dall’altra, in cui vi sono invece individui unici, portatori di una irripetibile singolarità che non può essere ridotta a qualsivoglia classificazione tassonomica. 
Eppure sarebbe bastato abbandonare questa ormai obsoleta prospettiva antropocentrica per capire che tanto Harambe, quanto il bambino, erano soggetti unici di una vita e che la vita non è sacra a prescindere, ma lo è proprio in quanto irripetibile per ognuno. Ecco, dicevo, sarebbe bastato questo leggero spostamento di prospettiva per riflettere meglio sul da farsi e per cercare una soluzione che non si imponesse come scelta tra uno o l’altro, ma come rispettosa di entrambi.
Forse una soluzione diversa davvero non c’era (la sedazione poteva essere pericolosa perché non si sarebbe potuta prevedere la reazione immediata del gorilla?), ma quel che duole è constatare come non la si sia nemmeno cercata e senza pensarci due volte si sia preferito uccidere l’animale non umano: per una petizione di principio, per una impostazione solamente ideologica. Detto in altre parole: per pura ignoranza e miopia. 
Ed è stato così per Alexandre, il giraffino fuggito dal circo alcuni anni fa, per Daniza, l’orsa, rea di aver difeso i suoi cuccioli e per chiunque sia escluso dall’appartenenza al regno superiore dell’umano. 

Che questa vicenda ci faccia riflettere: sul nostro falso concetto di umanità costituitosi respingendo da noi l'animalità e su queste strutture lager che continuiamo a finanziare danneggiando migliaia di individui e avvilendo anche la nostra intelligenza perché, davvero, potremmo essere migliori di quanto siamo.

*citazione da un mio precente articolo "Chi ha paura degli animali?"



domenica 29 maggio 2016

NOmattatoio 18° presidio: il resoconto


I giornali titolerebbero: “Si intensificano gli scontri tra vegani e carnivori”.

Ma noi, che facciamo informazione vera, piuttosto diciamo che la campagna NOmattatoio continua a portare alla luce la realtà nascosta dello sfruttamento animale. 
Per il diciottesimo mese consecutivo - un anno e mezzo di attività ininterrotta – ieri siamo scesi in strada con i nostri corpi in rappresentanza di altri corpi, quelli di tutti gli altri animali considerati merce da consumare per l’effimero piacere del palato, per il profitto economico e per una tradizione dura a morire.

 La nostra è una testimonianza tenace e paziente, spesso silenziosa, accompagnata da pochi, ma articolati discorsi su quanto accade dentro i mattatoi, gli allevamenti e ogni altro luogo dove le istituzioni e i suoi rappresentanti esercitano il dominio dei corpi.

Come dicevamo anche la volta scorsa, da quando i media fingono di interessarsi al veganismo - in realtà si interessano solo al numero di ascolti e la questione animale non viene nemmeno minimamente sfiorata - gli animi di chi rimane attaccato all’ideologia carnista si sono accesi e anche chi passa sulla Palmiro Togliatti - nonostante i nostri presidi siano sempre nonviolenti e informativi – si mostra aggressivo verso di noi.

Continua su NOmattatoio.

giovedì 26 maggio 2016

Aggiornamento attività NOmattatoio

"E dunque lottiamo per degli individui, o almeno così abbiamo sempre creduto. Ma per quali? Se qualcuno è un individuo dovresti poterlo individuare, indicare, riconoscere. Eppure questi animali che vogliamo liberare, di fatto, non esistono: quelli che esistono oggi stanno morendo mentre chiediamo i loro diritti, mentre altri seguiranno loro senza sapere se avranno ancora noi a poterli salvare."
(Leonardo Caffo)


Dopo essersi concluso il festival Villaggio Bestiale in cui abbiamo esposto la mostra fotografica di Andrea Festa (qui si potranno vedere alcune immagini della stessa e della conferenza per la presentazione tenuta da Leonardo Caffo), riprendiamo con l'attività principale, ossia i presidi al mattatoio. 

In questo periodo in cui si parla tanto di veganismo, scendiamo in strada per ribadire il senso etico e politico-sociale della nostra lotta, ossia l'urgenza del porre fine a ogni forma di oppressione e sfruttamento degli altri animali, oltre la spettacolarizzazione mediatica.

Unisciti a noi per rendere visibili gli invisibili: le vittime massacrate a migliaia dentro i mattatoi, dopo una non vita trascorsa in schiavitù negli allevamenti.

Sabato 28 maggio dalle ore 10,30 alle 13,30 in Viale Palmiro Togliatti, angolo Piazzale Pino Pascali, Roma.
Qui l'evento Facebook e questo l'annuncio sul nostro sito ufficiale.

Lo stesso giorno, in contemporanea, si terrà un altro presidio NOmattatoio in Lombardia, esattamente a Rho (MI), qui l'evento Facebook.

Sabato 4 giugno invece saremo ospiti al festival Parma Etica per presentare la campagna. Qui l'annuncio sul nostro sito ufficiale con i dettagli.

Il veganismo non è uno stile di vita


Al ristorante:

- ma nemmeno un po' di formaggio sulla pasta?
- No!
- Ma dai, per una volta, che ti fa, uno sgarretto ogni tanto mica ti fa niente.
- guarda, forse non hai capito, io sono vegana per etica, il che significa che mi rifiuto proprio di mangiare animali e derivati. Ti faccio un esempio: sarebbe come se tu affermassi di essere contro la violenza sulle donne e poi però ogni tanto facessi uno sgarretto picchiando la tua ragazza.
- ah, vabbè, che c'entra, è che qui vengono tanti vegani a mangiare ma ogni tanto sgarrano. Pure l'altra sera, c'era una cuoca vegana, una che organizza corsi di cucina ecc. e ha detto, "dai, per stasera faccio uno sgarretto e mi prendo la pizza con la mozzarella".

Lo sostengo da sempre e non cambierò mai idea su questa cosa: con il veganismo salutista non si va da nessuna parte.
Ne sento tanti, troppi, ultimamente, definirsi vegani e poi scoprire che in realtà mangiano solo vegano qualche volta. 
Ora, penso dovrebbe essere chiaro a tutti, la questione non è l'essere "talebani" (come potrebbe sembrare), ma rendersi conto che lottare o anche solo essere contro lo sfruttamento degli animali non può limitarsi a una posizione che si accende e si spegne come un interruttore o che consente deroghe; esattamente come l'essere contro la violenza sulle donne non può contemplare l'idea di picchiare una donna ogni tanto.

Si tratta di scelte etiche. Non di stili di vita o di moda e costume.

martedì 17 maggio 2016

L'annosa questione delle uova e delle galline libere


L'altro giorno mi telefona la compagna di mio cugino e mi dice: è vero che voi vegani le uova le mangiate quando sono di galline libere e non sfruttate?
Questione annosa che ogni tanto spunta fuori e su cui vorrei esprimere la mia opinione.
Premesso che non si possa definire cosa si intenda realmente per veganismo basandosi su casi limite e del tutto eccezionali, proverò a sintetizzarne i contenuti, ovverosia:

- il veganismo non è una dieta, ma una prassi individuale di tipo etico che deriva da una presa di posizione contro lo sfruttamento degli animali e, come tale, si configura anche come testimonianza del fatto che sia possibile vivere senza mangiare, schiavizzare, uccidere ecc. gli altri animali;

- come tale è parte di una teoria molto più ampia e complessa che si chiama antispecismo e che appunto mette in discussione il nostro rapporto con gli altri animali basato su una logica di dominio e sfruttamento; ma non solo: l'antispecismo mira anche a ridimensionare il nostro ruolo sul pianeta e a ridefinire il concetto di umanità stesso così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi;

- non è un fine, purtuttavia ha tra i suoi effetti più immediati quello di mostrarci la realtà che ci circonda da una prospettiva diversa, così che quelli che fino a poco tempo prima consideravamo prodotti (carne, pesce, uova, latte, formaggi ecc.) o macchine produttrici di qualcosa (galline, mucche ecc.) vengano finalmente visti per quello che sono nel pieno superamento dell'ideologia carnista: individui senzienti e pezzi e secrezioni del loro corpi;

- in quest'ottica rivoluzionaria, un uovo semplicemente non è più visto come un qualcosa da mangiare, come prodotto, cibo, ma come parte biologica appartenente a un altro individuo. Perché mai dovrei considerare interessante la secrezione biologica di un altro individuo? E, come prova che mangiare uova o bere latte di altri mammiferi sia solo un'abitudine culturale improntata a una logica di dominio e sfruttamento c'è quella che mai ci verrebbe in mente di andare a prendere, che so, le uova di una rondine o di un piccione o di un qualsiasi altro volatile, così come non berremmo mai il latte di una cagnolina, gattina o di un maiale;

Dunque, un vegano che è diventato vegano per etica, quindi per i motivi di cui sopra, non mangerà mai le uova di una gallinella, nemmeno se questa è stata adottata e vive libera nel suo giardino.
Così come non mangerebbe le uova di un piccione deposte sulla grondaia del suo palazzo.
Semplicemente, le uova non sono più considerate un prodotto, un alimento e gli altri animali non sono più considerati nell'ottica di qualcuno che possa produrre qualcosa per noi.
Inoltre, attenzione a questi discorsi sulle uova di fantomatiche galline libere! La gente comune che si sta interessando al veganismo non vedrà l'ora di poter affermare che le uova di galline allevate libere si potranno mangiare tranquillamente, mettendo così a tacere la coscienza senza aver fatto nulla per portare aventi proprio ciò che è il fulcro della nostra battaglia: combattere il profitto delle aziende ottenuto sulla pelle di altri individui senzienti.

lunedì 16 maggio 2016

Sepolti sotto una montagna di ciarpame

A tutti noi è capitato prima o poi di fare i conti con l'accumulo di oggetti di cui nel tempo abbiamo riempito le nostre case ed esistenze (e anche le borse, per quanto riguarda le donne): bigliettini, cartoline, ricordi di un viaggio, regali, abiti, scarpe, piccoli elettrodomestici, libri osceni mai letti, dischi, cosmetici, insomma... di tutto un po'. 
Periodicamente sentiamo il bisogno di fare ordine, anche per fare spazio alle cose nuove che nel frattempo non smettiamo di comprare, eppure non sempre abbiamo il coraggio di buttare tutto ciò che giace sul fondo di armadi, cassetti e ripostigli o è fermo da tempo immemorabile a prendere polvere sui ripiani dei mobili. Al momento della cernita continuiamo infatti a rimanere dubbiosi dell'utilità di questo o quell'altro oggetto, anche quando dovrebbe essere evidente che se non abbiamo mai usato la teiera che ci ha regalato la collega di lavoro dieci anni fa, difficilmente potrà tornarci utile un domani. 

Un problema, questo dell’accumulo di cose, certamente amplificato nell'era del consumismo (e favorito dalla nascita di catene di negozi come Tiger, ma anche Ikea, in cui entri magari per comprare qualcosa che ti serve davvero, ma esci con il carrello pieno di oggettini tanto simpatici e divertenti quanto inutili), ma a cui nemmeno le nostre nonne sono state immuni.
Conserviamo e mettiamo via con l’illusione di fermare il tempo preservando un ricordo, per motivi affettivi, ma anche perché sembra proprio che non possiamo farne a meno. 

Da una ricerca in rete scopro che esiste una ricca letteratura in materia (libri, blog, manuali ecc.) su come fare ordine nelle proprie case e come evitare di ammassare ogni tipo di ciarpame, dal che ne deduco appunto che sia un problema comune.

Mi domando allora se il capitalismo non sia altro che il risultato, senz’altro esasperato e amplificato, di questa nostra tendenza ad accumulare cose come se fossimo eterni. 
Nasciamo raccoglitori, abbiamo inscritto nel dna l’istinto a collezionare, metter via, immagazzinare, radunare e, appunto, capitalizzare.

Che il dominio e lo sfruttamento siano il risultato perverso di questo trarre il massimo profitto da ciò che ci circonda credo sia evidente, quello che forse ancora dobbiamo capire è se davvero tutto ciò sia solo il frutto di sistemi sociali sbagliati e quindi reversibile, o se invece non sia proprio la nostra maniera, intesa come attributo di specie, di stare al mondo. 

Compensazioni

Questa sinistra odierna e la destra alla fine si assomigliano molto, o meglio, si incastrano e compensano a meraviglia. La prima ha creato le condizioni perché la crisi economica toccasse le fasce già povere dei lavoratori, distruggendo il mondo del lavoro, promuovendo lo sfruttamento come se fosse un qualcosa di cui dovremmo essere grati, facendo pagare tasse sempre più alte, riducendo pensioni, annientando quel poco del sistema assistenziale che restava, tenendo sempre a mente gli interessi dei grandi capitali e delle banche; la seconda trae vantaggio da questa crisi economica e dal malcontento popolare facendo leva sulla paura della gente per il futuro cui vien fatto credere che mostro da combattere siano gli immigrati verso cui viene aizzato un rozzo sentimento xenofobo: sentimento che si declina in vari modi: da quelli più beceri dati in pasto alle persone semplici con bufale costruite ad hoc quali gli immigrati ci rubano il lavoro, gli immigrati hanno diritto alla casa più degli italiani e via dicendo, passando per quelli che fanno appello alla religione e alle tradizioni, secondo cui ci sarebbe uno scontro di culture insanabile, fino a quelli più sofisticati che vorrebbero passare per autentiche preoccupazioni - gli immigrati che arrivano qui sono una nuova massa di schiavi e quindi non va bene, non possiamo permettere ciò, dobbiamo aiutarli a casa loro - quando in realtà nascondono le solite tare del razzismo e del più bieco etnocentrismo.

sabato 14 maggio 2016

Mettersi in gioco


Non è vero che l'amore per gli animali non ci mette in discussione.
L'amore, e non solo, direi ogni tipo di incontro e di relazione ci mettono sempre in discussione e spostano il baricentro del nostro essere facendoci riconsiderare le cose da prospettive diverse.
Lo devo ai tanti animali con cui ho vissuto parte della mia vita se nel tempo ho maturato una sensibilità antispecista, lo devo a quegli sguardi condivisi se ho capito che ognuno di loro, e non solo loro, merita rispetto.
Chi lo dice che adottare un animale sarebbe una scappatoia facile per quelle persone che non vogliono mettersi in gioco con i loro simili? 
Chi sostiene questo mostra di considerare gli altri animali ancora da una prospettiva specista perché significa non aver compreso la complessità e la ricchezza, da un punto di vista qualitativo, delle relazioni che possiamo instaurare con loro; significa il ridurre questa reciprocità relazionale a un banale rapporto di accudimento e cura, quando invece in gioco c'è molto di più; c'è il darsi e confrontarsi reciproco, nello scambio di affetto e tenerezze, nella ricerca della comprensione di un altro e del suo essere nel mondo, nello sforzo di trovare un terreno comune in cui sappiamo ritrovarci animali tra gli animali, muso a muso, da pari a pari.
Per quanto mi riguarda, nulla mi ha fatto mettere in gioco e in discussione più degli animali.

Qualcosa di buono

La legge sulle unioni civili non è merito del pd. 
Renzi ha solo cavalcato l'onda di un risultato che, dopo anni e anni di battaglie portate avanti dal movimento lgbt, dai Radicali e da altri gruppi politici, finalmente era diventato improcrastinabile.
È come se tra cinquant'anni, finalmente, dopo quasi un secolo di lotte, arrivasse un pinco pallino qualunque, decidesse di abolire i macelli e se ne volesse prendere il merito.
Il governo di Renzi ha praticamente finito di affondare l'Italia e di distruggere il mondo del lavoro. Capii che non era un uomo di sinistra quando, anni fa, alla domanda "cosa pensa dello sfruttamento giovanile sul lavoro, del fatto che molti lavorino anche gratis ecc.?", rispose: "sempre meglio di niente, i giovani dovrebbero essere felici comunque di lavorare".
Un partito di sinistra, nato praticamente per difendere e portare avanti i diritti dei lavoratori a non essere più sfruttati dal padrone e che oggi invece va a braccetto con il capitale in difesa delle multinazionali e dell'UE più spregiudicata dei poter forti, semplicemente, non è più un partito di sinistra.
Dire poi:" beh, almeno qualcosa di buono l'ha fatta" ricorda quelli che anche di Mussolini sostengono la stessa cosa.

venerdì 13 maggio 2016

Villaggio Bestiale e mostra fotografica Gli Invisibili per NOmattatoio


E dunque lottiamo per degli individui, o almeno così abbiamo sempre creduto. Ma per quali? Se qualcuno è un individuo dovresti poterlo individuare, indicare, riconoscere. Eppure questi animali che vogliamo liberare, di fatto, non esistono: quelli che esistono oggi stanno morendo mentre chiediamo i loro diritti, mentre altri seguiranno loro senza sapere se avranno ancora noi a poterli salvare.” (Leonardo Caffo)

Si riconosce in pieno in questa riflessione del filosofo Caffo sull’assenza - o meglio, l’invisibilità degli animali che sfruttiamo come merci e massacriamo in numeri inimmaginabili - il progetto fotografico di Andrea Festa: un’idea nata in sordina alcuni anni prima, poi elaborata, maturata e che finalmente ha trovato la sua espressione compiuta per NOmattatoio
Il progetto consiste in una rappresentazione metaforica di questa nostra folle relazione con i corpi degli altri animali, mai riconosciuti nella loro individualità, seppur parte integrante del nostro quotidiano come referenti assenti.
La mostra sarà inaugurata giovedì 19 maggio presso il Villaggio Globale di Roma che ospiterà il 'Villaggio Bestiale', il primo festival antispecista su arte e teatro organizzato da Zip Zone d'Intersezione Positiva - Associazione Culturale in collaborazione con Gallinae in Fabula. Sabato 21 maggio ci sarà invece la presentazione ufficiale con intervento del filosofo Leonardo Caffo.

lunedì 9 maggio 2016

Né superiori, né inferiori: diversi


Un amico mi chiede se animali e uomini sono veramente sullo stesso piano e se abbia senso o meno parlare di superiorità della nostra specie in base al fatto che solo noi saremmo dotati di autocoscienza.
Riporto qui la mia risposta, magari può essere spunto di riflessione per chi ancora parla di uomo e altri animali convinto della superiorità del primo su tutti gli altri:
Non ha senso parlare di superiore e inferiore dal momento che non esiste un minimo comune denominatore al quale rapportarci. Il punto è che parliamo appunto di specie diverse e di intelligenze molto diverse tra loro, ossia di maniere anche sensoriali diverse di esperire la realtà (basti pensare all'ecolocalizzazione del pipistrello al posto della vista). L'evoluzione non è una linea retta, ma assomiglia piuttosto a un cespuglio per cui ogni specie prende strade diverse e si evolve secondo esigenze di adattamento proprie.
La nostra intelligenza è utile a noi per come siamo fatti noi, al pipistrello basta la sua e via dicendo.
Non è vero comunque che solo noi abbiamo l'autocoscienza, oggi la neuroscienza ci informa che almeno i mammiferi, gli uccelli e i pesci hanno comprensione di loro stessi (i polpi posseggono persino i neuroni specchio), esprimono volontà e intenzioni e comunque soffrono, sentono, percepiscono, gioiscono, esperiscono il mondo. Anzi, di recente è uscito un articolo che conferma l'autocoscienza anche negli insetti. Ma ancora stiamo cadendo in una fallacia logica: per quale motivo l'autocoscienza dovrebbe essere scelta come metro di paragone per poi andare a vedere se la posseggono anche le altre specie ed eventualmente escludere dal cerchio degli eletti chi non la possiede?
Noi abbiamo estrapolato delle caratteristiche nostre peculiari e le abbiamo erette a metro comune di paragone per giudicare le altre specie. Ma questo è proprio quello che si chiama antropocentrismo. 
Cosa vuol dire uomo e animale? Di quale animale mi stai parlando intanto? Nella risposta precedente ho provato a farti capire che già mettere dentro un unico calderone migliaia di specie diverse definendole "l'animale" è una prima forma di negazione di tantissimi individui, una prima forma di violenza che esercitiamo senza nemmeno rendercene conto.
Non importa che siamo sullo stesso piano o no, importa il riconoscimento di infiniti piani su cui si muovono e vivono infiniti altri individui. Questo significa riconoscere e rispettare l'altro da sé. 
Perché mai una differenza nelle capacità cognitive dovrebbe legittimarmi il dominio di altri individui? Per lo stesso motivo dovremmo allora giustificare lo sfruttamento di persone cerebrolese o comunque mancanti di alcune funzioni cognitive? E qui lo specista di turno risponderebbe: eh, ma un conto sono gli animali e un conto gli esseri umani. Il che non fa altro che riportarci al punto di partenza, ossia confermarci che lo specismo è sì un pregiudizio, ma non ha base logica perché se usiamo la stessa obiezione a proposito della nostra specie, essa viene immediatamente a cadere.
Invece parliamo di diversità e sosteniamo che dovremmo rispettarle. Non diciamo che un animale umano e un maiale siano uguali, ma che vadano rispettati entrambi perché comunque entrambi sono soggetti della propria vita, anche se il maiale lo è in maniera differente dalla tua.