Ciao a tutti. Non sono sparita, semplicemente non ho aggiornato il blog per un po' perché sono stata in viaggio negli Stati Uniti. Ma di questo, ossia delle mie impressioni, scriverò più dettagliatamente nei prossimi giorni; nell'attesa però vi propongo un articolo sull'attivismo antispecista che avevo scritto poco prima di partire e che era stato pubblicato su Veganzetta.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un aumento esponenziale del numero di persone vegane e con esso anche la reperibilità di prodotti vegan nei supermercati, nonché un gran fiorire di ristoranti, punti vendita, e locali pubblici. Significa che “stiamo vincendo”, come dicono alcuni? Se intendiamo l’aver guadagnato una fetta di mercato e la possibilità di trovare prodotti vegani con più facilità rispetto a un decennio fa, allora probabilmente sì.
Non si comprende, però, come potrebbe portare alla liberazione animale il ridurre il veganismo a una semplice scelta alimentare personale, scelta che nulla o poco incide sulle dinamiche di oppressione e dominio di quella massa di schiavi a costo zero che sono gli Animali non umani e della loro considerazione all’interno di una società antropocentrica e specista fondata sul denaro, sui confini, sulle gerarchie e le esclusioni.
I social network hanno dato visibilità anche alle battaglie animaliste e ai contenuti più specificamente antispecisti e, sebbene le discussioni più serie e la loro portata filosofica e culturale raramente riescano a raggiungere giornali e TV (l’informazione teorica antispecista è per lo più di nicchia, e le riflessioni sull’attivismo sono circoscritte a ben precisi e numericamente limitati ambienti), qualche eco arriva anche all’esterno; il punto è che il messaggio giunge distorto e spesso pericolosamente snaturato.
Se si parla di animalismo, lo si fa solo e sempre quando qualche gruppetto o addirittura singolo – per nulla rappresentativo della poliedricità del movimento – si fa notare per qualcosa di negativo: risse verbali, aggressioni o banalizzazione del messaggio. Peggio ancora, si prende magari uno dei tanti commenti letti in rete e lo si cita come esempio di tutto un pensiero. Un po’ riduttivo, no? E’ possibile che la normalizzazione del fenomeno veganismo da un lato e la demonizzazione dell’attivismo animalista dall’altro, possano essere definite entrambe come reazioni del sistema funzionali al mantenimento dello status quo, per quanto apparentemente di segno contrario.
Cerchiamo di analizzarle entrambe.
Continua su Veganzetta.
2 commenti:
Molto c'è da riflettere, su quello che scrivi. Che, purtroppo, e condivisibile per intero. Purtroppo per gli altri animali. Purtroppo perché è vero che a volte sembra preferiamo essere divisi tra noi che solidali nei confronti degli individui che intendiamo, a parole, difendere - in senso lato.
In questi anni sto leggendo molto,a volte mi smarrisco, ma per lo meno la sensazione di aver trovato tanti spunti nel oceano di parole, e concreta.
Credo che ci siano almeno una manciata di nuclei teorici etici assai ricchi e preziosi, potenti e ispiratori. O che potrebbero esserlo, di più e meglio. Le strade sono molte, una è quella che tu dici, di tornare a metterci il corpo, la faccia, le braccia.
Su quante poi sono le cose che sarebbero utili alla causa di liberazione, si potrebbero fare elenchi.
Ps
Ben tornati
Grazie Giovanni per il bentornati! :-)
Io penso che essendo lo specismo molto complesso, complessa e variegata è anche la strada che dovrebbe combatterlo. Però, appunto, l'importante è non perdere l'ormeggio dell'antispecismo, stando attenti a non andare alla deriva con argomenti palesemente indiretti (già quello ecologista lo è meno, per quanto non sia riducibile ad esso, l'antispecismo intendo)quali il salutismo o altro. Vero che molte argomentazioni possono essere talvolta apripista per introdurre quelle etiche, ma appunto non dobbiamo mai dimenticare di parlare degli animali e di esserci, costantemente, altrimenti il sistema finirà per fagocitarci.
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