Il bove
T'amo pio bove; e mite un sentimento
Di vigore e di pace al cor m'infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi,
O che al giogo inchinandoti contento
L'agil opra de l'uom grave secondi:
Ei t'esorta e ti punge, e tu co 'l lento
Giro dè pazienti occhi rispondi.
E del grave occhio glauco entro l'austera
Dolcezza si rispecchia ampio e quieto
Il divino del pian silenzio verde.
(Giosué Carducci)
(Prima parte, seconda parte, terza parte).
Non approverai, ma lo scorso fine settimana abbiamo portato il bambino all’acquario di Genova.
(Un minuto di silenzio. Il dubbio se sia meglio tacere o dire qualcosa. Ma infine parlo. Parlo perché almeno io posso farlo. Parlo per loro. Anche se so che, proprio come loro, probabilmente non verrò ascoltata).
Ma come hai fatto?
In che senso?
Come puoi finanziare un posto simile? Lo sai come vengono catturati i delfini e come sono costretti a vivere? Lo sai che in natura percorrono chilometri e chilometri ogni giorno nel mare aperto mentre qui… non solo non hanno nemmeno lo spazio per farsi una nuotata, ma sono stati separati dal loro branco, dalle loro famiglie. Lo sai come vengono catturati? Hai mai sentito parlare del massacro della baia di Taiji? Ogni anno, quando comincia, vengono spinti a forza dentro questa baia: gli esemplari più giovani vengono catturati e portati nei delfinari, acquari, zoomarine o come vogliamo chiamarli di tutto il mondo, mentre i loro genitori ed altri esemplari adulti vengono uccisi, letteralmente, a randellate o arpionati e poi sgozzati. Urlano. Le madri tentano disperatamente di proteggere i loro figli.
Ecco, come puoi pagare per andare a vedere degli animali prigionieri e che moriranno di lì a pochi anni per depressione e palese incapacità di esprimere le loro esigenze etologiche?
Guarda, lo so e ti confesso che mi sono sentita anche un po' in colpa, non credere che non ci abbia pensato, ma tanto, se non ci fossi andata io l’acquario sarebbe rimasto aperto lo stesso. Avessi visto che fila c’era! Una fila enorme.
Sia chiaro, se un domani qualcuno indicesse un referendum per chiuderlo, sarei la prima a firmare… non pensare che sia del tutto insensibile a queste cose, ma visto che non è così, tanto vale che ci vada. Per il bambino è una festa. Erano settimane che aspettava questo giorno. Perché privarlo di una gioia simile se tanto non è l’acquisto o meno del mio biglietto a fare la differenza? A queste cose dovete pensarci voi animalisti. Sono teoricamente con voi. Sì, insomma, teoricamente, ma non abbastanza da attivarmi in prima persona.
Beh, se sai che una cosa è ingiusta, smetti di farla a prescindere dall’esito che le tue scelte avranno nel cambiamento complessivo della società. Il senso profondo dell’etica è questo.
Sostanzialmente, cosa desiderano le persone? Due cose: stare bene e avere uno scopo che dia un senso alle loro giornate, ossia che gli dia forza sufficiente a mettere i piedi giù dal letto. Abbiamo capito che per stare bene è meglio non avere tante rotture di scatole e raggiungere una condizione tale da posizionarci tra i privilegiati della barricata. Grossomodo, le società sono divise in due: ci sono gli oppressi e gli oppressori. Però mentre nel medioevo questo confini erano netti ed evidenti a tutti (pochi ricchi e una massa sterminata di poveri), dall’ottocento in poi tutto si è fatto più fluido e sfumato fino a diventare totalmente liquido nella società dell’ultimo millennio. Non conta più chi sei e da dove provieni, conta cosa sei capace di vendere e vendi il tuo prodotto (o la tua immagine) dopo aver convinto le persone di non poterne fare a meno o averle illuse che esso aggiunga qualcosa alle loro vite, fosse anche solo una gratificazione momentanea che le distragga dal pensiero della morte e dal nonsense dell’esistenza. Che sia una religione o il divertimento. Esattamente come hai fatto tu quando hai acquistato il biglietto per l’acquario. Il bambino voleva andarci? No. Il bambino ha solo risposto alla pubblicità della struttura in questione. E voi tutti vi siete messi in fila condizionati dall’idea dell’esperienza che avreste fatto una volta lì dentro. Ma che esperienza può essere quella di guardare creature marine rinchiuse dentro una vasca? È sempre la stessa eterna dialettica di rapporti di potere che si esprime. Io posso farlo, posso pagare per farlo e sono contento che dietro il vetro ci sia tu e non io, anche se, a dirla tutta, mi dispiace un po’… oh, ma è giusto una punta di rammarico che viene assorbita dal rullo compressore della sicurezza data dal sapere che in fondo le cose vanno come devono andare perché noi siamo esseri umani e contiamo più degli animali. Nevvero?
Inoltre oggi le cose si complicano anche perché spesso chi è oppresso non sa di esserlo e chi opprime, in maniera subalterna rispetto a chi detiene ancora più potere di lui, non sa di farlo. Difatti il potere non è solo verticistico, ma trasversale, per cui l’operaio oppresso poi è a sua volta un tiranno in altri contesti e nei confronti di chi, rispetto a lui, è costituzionalmente o psicologicamente più debole. Questo funziona finché comunque c’è ancora una parvenza di libertà che le persone credono di esercitare, anche se si tratta di scelte pilotate entro un range deciso da altri affinché tutto resti com’è e soprattutto affinché non ci siano ribellioni sostanziali. Una minoranza che si ribella viene subito messa a tacere, non tanto dalle forze di controllo come polizia ecc., quanto dalla massa della maggioranza che continua a oliare il sistema e fa sì che ogni granellino che potrebbe incepparlo venga respinto o assorbito. Che è quello che attualmente sta succedendo al movimento animalista. E questo anche perché persone come te e come altri pensano che degli animali debbano occuparsi solo gli animalisti facendo sì che essi rimangano una minoranza. La questione dello sfruttamento e oppressione degli animali invece riguarda l’intera società perché è tutta la società che ne prende parte. Diresti la stessa cosa riguardo altri tipi di lotta contro altre forme di ingiustizia? Dunque della questione femminile dovrebbero occuparsi solo le donne e solo quelle sfruttate? Ora, non è che le minoranze da sole non possano fare qualcosa. Ma è più facile quando si è in tanti a volere che qualcosa finisca, che non quando si è in pochi. E poi abbiamo un problema. Se continuiamo a sfruttare gli animali è anche perché essi non sono capaci di ribellarsi. O meglio, lo fanno ma solo individualmente, con atti sporadici e isolati. Non ci aiutano. Non sanno nemmeno che noi vogliamo liberarli. Probabilmente siamo l’unico gruppo nella storia a voler agire per qualcuno che nemmeno conosciamo e che mai vedremo. Perché? Perché gli animali nascono e vengono uccisi continuamente. Credo sia anche impossibile riuscire a immaginarsi, uno per uno, tutti gli animali che vorremmo liberare; il fatto è che noi non stiamo lottando per liberare gli animali che nascono oggi e che saranno ingrassati e uccisi in un tempo calcolabile, ma per quelli del futuro, affinché non nascano più. Quelli di oggi sono già carne morta. Stiamo lottando per spezzare la catena del dominio, che è culturale, e per dare il via a un altro tipo di relazione con gli animali, diverso da quello conosciuto fino ad oggi. Questo discorso è valido soprattutto per gli animali destinati a diventare prodotti alimentari, mentre per quelli rinchiusi nei circhi, zoomarine, delfinari, zoo ecc. già potrebbe essere possibile fare qualcosa oggi: intanto smettere di catturarli in natura, poi ricollocarli in santuari dove almeno non siano più esposti al pubblico e costretti ad esibirsi e dove abbiano almeno una parvenza di libertà; se è vero infatti che difficilmente possano essere reimmessi in natura (almeno gli individui che sono prigionieri da più tempo), si possono però sistemare in luoghi più idonei e dove possono interagire con i loro simili.
Io ammiro voi idealisti, davvero, ammiro chi decide di investire così tanto tempo ed energie per gli altri, ma io non ho questa determinazione che hai tu e soprattutto, per quanto a volte mi fermi a riflettere sulla condizione degli animali, non mi interessa così tanto da spingermi a fare delle scelte. E poi non mi trovo affatto d’accordo con quanto dice l’antispecismo, non credo che noi siamo uguali a una mucca.
Un momento, un momento. L’antispecismo non dice questo. Non dice che noi siamo uguali a una mucca. Dice al contrario che siamo tutti diversi, anche tra individui di una stessa specie, ma che la diversità non deve diventare pretesto per opprimere, escludere e discriminare. Così come abbiamo rifiutato il razzismo, il maschilismo e l’omofobia, dobbiamo arrivare a capire che avere due ali anziché due braccia e due piedi non può costituire una differenza ontologica, ma solo morfologica. Il concetto in sé di “animale” è del tutto fuorviante perché usiamo un singolare, “animale”, o anche un plurale, “gli animali”, per significare - in realtà, negandola -, una moltitudine di individui tutti diversi tra loro. Ora, è vero, che lo facciamo anche per l’essere umano – diciamo infatti l’uomo o l’essere umano appunto – per racchiudere una moltitudine di singolarità viventi, unici e irripetibili, però nel nostro caso gli attribuiamo una connotazione positiva che tanto più si innalza come valore supremo, quanto più viene paragonata all’altra moltitudine tra cui abbiamo messo uno spartiacque, che è quella degli altri animali, appunto. Da una parte noi, dall’altra loro.
Beh, ma è vero. È vero che noi siamo diversi da tutti gli altri animali. Ci siamo evoluti nei secoli mentre gli altri animali sono sempre rimasti uguali a come erano all’inizio. Voglio dire, una mucca rimane sempre una mucca, una scimmia anche, mentre noi dagli uomini primitivi che siamo stati ci siamo evoluti in esseri sempre più intelligenti.
Hmmm, ci sono tanti errori concettuali in questa tua frase. Prima cosa, tutte le specie si evolvono, ma ognuna segue la propria evoluzione. Pensare che l’evoluzione sia una linea retta che debba mirare verso il raggiungimento di fini che noi specie umana abbiamo ritenuto utili per noi – perché di fatto sono stati utili per noi – è antropocentrismo puro. Un pipistrello non saprebbe che farsene di un microonde, così come a noi, nello svolgimento delle nostre vite nelle società urbanizzate, non serve saper correre veloci. Ovvio che a noi sembri importante tutto ciò che abbiamo fatto noi, compresa l’arte, il comporre versi e l’aver saputo trasmetterci informazioni culturali, ma altre specie hanno avuto altre esigenze e altri problemi che hanno risolto, ognuna evolvendosi in base alle proprie esigenze etologiche di adattamento, talvolta facendo, proprio come noi, di necessità virtù: perdendo tratti o acquisendone altri atti a garantire la sopravvivenza della specie. Quindi non ha senso dire che una mucca rimarrà sempre una mucca e non potrà mai riuscire a guidare un aereo perché, semplicemente, alla mucca non è servito e dubito mai servirà guidare un aereo. E non vedo come questo dovrebbe giustificare la condizione di schiavitù e oppressione cui la costringiamo.
Oppressione, schiavitù, questo significa antropomorfizzare. Una mucca semplicemente vive per darci il latte e per essere mangiata. Sai una cosa? Quando vedo una mucca pascolare, così placida e tranquilla, penso che tutto in lei concorra solo al fine di diventare il nostro cibo. Che sia nata per quello.
Pensa che strano. A me l’immagine di una mucca su un prato restituisce un senso di armonia con la natura, mentre a te quella di un dominio indiscusso, poiché deterministico, tra uomo e animali. Ma sai, un tempo lo stesso si pensava dei neri. Nati per servirci. L’immagine di quella moltitudine di schiavi chini sui campi di cotone restituiva l’idea di un confortante ordine delle cose nel mondo. Ognuno al suo posto. Il bianco sul cavallo – gli animali non umani da sempre sono stati i primi schiavi (a proposito, sai che a Londra, dalle parti di Hyde Park, c’è un monumento dedicato agli animali trascinati e caduti in guerra, loro malgrado?) – e i neri a lavoro al suo servizio. E tutto ciò si pensava che rientrasse nell’ordine naturale delle cose. Esattamente come tu oggi pensi guardando la mucca sul prato mentre si sta facendo gli affari suoi o dovrebbe farsi gli affari suoi, giacché non esistono mucche libere e tutte, anche quelle che vedi vagare nei pascoli, la sera vengono ricondotte in stalla e prima o poi, quando la loro produzione di latte calerà – dopo alcuni parti e separazioni forzate dei loro cuccioli – infine condotte al mattatoio.
Sì, forse tutto ciò è triste. Ma alla fine, te lo confesso, a me il sapore del San Daniele o del formaggio stagionato piace più di quanto la mia coscienza mi possa suggerire.
Oh… ma guarda, alla fine l'hai detto e apprezzo la sincerità. L’unica cosa sensata che tu abbia detto dall’inizio della nostra discussione.
Il sapore del San Daniele. Il sapore che è solo la promessa del ritorno di un tempo perduto. Quello in cui la mamma ci rassicurava e ci diceva che se avremmo mangiato tutto saremmo diventati grandi e tutto sarebbe andato bene. Così come doveva essere. Ma le cose possono essere diverse e devono poter essere diverse, nel momento in cui comprendiamo che restando così come sono esse arrecano infinito dolore ad altri individui.
(Continua).
(Continua).
Immagine di Andrea Festa