Viaggiano ammassati come oggetti, sfiancati dal caldo, assetati, umiliati, immersi nelle loro feci. Ti osservano timorosi e increduli quando ti avvicini, nei loro occhi una domanda: perché?
Impotenti li guardiamo allontanarsi. Ultima fermata: il mattatoio.
Poi, quel camion, lo abbiamo visto ripassare. Ormai vuoto. E tutti abbiamo immaginato quei corpi fatti scendere a forza e trascinati, tra l'angoscia e la disperazione, verso la catena di smontaggio.
Tutto questo è orribile, una tragedia invisibile mentre le persone vanno al mare, tornano a casa da lavoro, si ritrovano con gli amici in un caldo sabato di luglio e, ignari di quanta sofferenza ci sia dietro, una volta seduti a tavola si apprestano a mangiare proprio quegli stessi corpi che abbiamo visto passare.
Ma proprio per questo dobbiamo continuare a esserci: per raccontare, documentare, far crollare il velo che occulta questa folle normalità.
E così anche il 25 luglio scorso, ligi al nostro impegno, ci siamo ritrovati all’incrocio di Viale Palmiro Togliatti – quello che fa angolo col piazzale Pino Pascali – nei pressi del mattatoio di Roma.
E a tanto abbiamo assistito solo dopo pochi minuti dall’inizio del presidio: al passaggio di questo tir a due piani colmo di maiali visibilmente sfiancati dal caldo (ricordiamo che i maiali soffrono particolarmente il caldo poiché non hanno le ghiandole sudoripare che permettono l’abbassamento della temperatura corporea), che invano abbiamo cercato di confortare con gesti e carezze. Gesti retorici, ossia svuotati di ogni utilità, direbbe qualcuno, visto che stanno andando a morire, eppure è in questo riconoscimento della loro individualità sofferente – un’individualità schiacciata dal sistema e azzerata nel conteggio che fa di ogni corpo solo merce numerabile – che si basa l’essenza della nostra lotta. Una lotta che si pone come obiettivo la realizzazione di una società libertaria in cui ogni individuo abbia la possibilità di portare a compimento le proprie potenzialità (che siano di specie, di carattere, di talento o di altro) e al contempo il riconoscimento di questa individualità anche nelle creature che la cultura, la tradizione, i pregiudizi e la società ci hanno abituato a considerare inferiori e indegni della nostra considerazione morale.
Scendiamo in strada, ogni volta, per una battaglia di giustizia e non di compassione. La ragione e la giustezza delle nostre argomentazioni sono la nostra forza e i nostri sentimenti.
Continua su NOmattatoio.
2 commenti:
è come fu il nazismo ( ed ancora oggi c'è anche se alcuni lo chiamano liberismo )
Sì, esatto.
Il nazifascismo esiste ancora.
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