giovedì 30 luglio 2015

Salvi! Appunti per una teoria e una pratica dei rifugi animali


Esce oggi questo ebook, curato da Valentina Sonzogni ed edito dalla casa editrice digitale goWare. Sarà presentato al Volterravegan che inizierà a partire da domani sera. 

Sono particolarmente contenta di aver partecipato a questo progetto perché sono convinta che la realtà dei rifugi debba essere fatta conoscere a tutti e perché senza l'esistenza dei rifugi non sarebbe possibile oggi attuare liberazioni di animali. 
Il cammino verso una società liberata passa necessariamente attraverso la costruzione di realtà, come i rifugi, in cui ci si possa prendere cura e si possano riabilitare animali non umani che sono stati vittime del dominio; ma non solo: i rifugi sono a tutti gli effetti realtà - anticipazioni di un mondo di là a venire - in cui si può finalmente incontrare l'altro fuori da ogni logica di abuso e prevaricazione.

Due piccoli pensieri del giorno


- Non è una novità che per gli animali cui si dà un nome, di cui si racconta una storia, che quindi hanno un passato e un'identità, si provi maggior empatia rispetto a tutti gli altri che sono solo dei numeri. 
Cecil il leone, esattamente come Daniza l'orsa o come Alexandre il giraffino sono entrati nell'immaginario collettivo in quanto individui (come dovrebbe esser per tutti gli altri). Per questo la vicenda delle loro morti ha colpito particolarmente anche le persone che solitamente se ne fregano della questione animale.
È giusto o sbagliato parlarne? Giusto, ma sarebbe bello se le loro immagini scalfissero il velo dell'abitudine, della tradizione, della cultura specista e del dominio che legittima lo sterminio di tutti gli altri loro simili - invisibili - morti nell'indifferenza. Non dico che essi debbano diventare dei simboli, ché sarebbe l'ennesima strumentalizzazione agita e perché dobbiamo ricordarcene in quanto singolarità, ma che dovremmo estendere i nostri discorsi fino a includere tutta la massa invisibile e senza nome.

- Le trasmissioni televisive recitano titoli come "vegani contro onnivori". Una semplificazione e banalizzazione di una questione ovviamente molto più ampia e complessa. Il titolo giusto dovrebbe essere: persone che lottano contro un sistema che giustifica la violenza sugli individui senzienti.

lunedì 27 luglio 2015

Sotto la pelle

Ci ho messo più di trent’anni per decidermi finalmente a raccontarlo e non è un caso che abbia deciso di farlo proprio oggi. Ma andiamo per ordine.
Quando avevo 15 anni fui trascinata in un vicolo da due ragazzi -  uno aveva la mia stessa età, era stato mio compagno di classe alle elementari, l’altro era di poco più grande e l'avevo conosciuto quell’estate – e fui costretta a masturbarli, dietro minacce. Mi urlarono, con la bava alla bocca, tirandomi i capelli, storcendomi le braccia, colpendomi in faccia e tappandomi la bocca per non farmi urlare, minacciandomi che se non avessi fatto quello che mi stavano ordinando, mi avrebbero picchiata e stuprata. Ricordo la sensazione d’impotenza, lo schifo, la paura e la vergogna, le suppliche di lasciarmi andare, i palpeggiamenti, gli schiaffi in faccia e le lacrime. 
Più di tutti ricordo le loro risate di scherno, i loro oltraggi verbali e lo sguardo dell’eccitazione che perde di lucidità poco a poco. Ed è in quel momento che ci si rende conto di non avere più scampo e allora aspetti solo che finisca tutto il prima possibile. 
Corsi via, dopo, e raggiunsi mia cugina che era rimasta sulla piazza da dove i due mi avevano trascinata via. Bloccata da altri due complici.
Fu un’azione premeditata e organizzata in piena regola. 
Perché non li denunciai? Per due motivi. Primo, perché non essendoci PROVE EVIDENTI DI QUANTO ERA AVVENUTO – in fondo non si era trattato di uno stupro in senso tecnico e non c’erano stato testimoni, a parte mia cugina che mi aveva vista trascinata via – nessuno mi avrebbe creduta; secondo perché io con quei ragazzi ci avevo scherzato fino al pomeriggio prima, facendomi corteggiare e probabilmente dando segnali di disponibilità e questo, nell’educazione rigidamente moralista che avevo ricevuto (“non fare questo con i ragazzi, non mostrarti leggera e disponibile ecc.”) avrebbe significato solo una cosa: che in fondo me l’ero andata a cercare. E sì, per molto tempo ne sono stata convinta anche io. Ne fui convinta allora e negli anni a venire. 
Ci ho messo un bel po’ per realizzare di aver subito una violenza di tipo sessuale, a partire dal momento i cui i due mi presero, uno sotto a un braccio, l’altro sotto a un altro, e mi trascinarono a forza in quel vicolo. 
Ma veniamo ad oggi. Perché raccontarlo proprio ora, oltre che per uno sfogo che può essere senz’altro terapeutico?
Chi mi conosce e legge da un po’, sa che io raramente do in pasto alla rete le mie vicende personali e quando lo faccio, se lo faccio, è solo per astrarne una qualche riflessione di carattere più generale. Mai per autoreferenzialità.
E anche stavolta non faccio eccezione. Se ho raccontato questa storia è perché in questi giorni mi sono particolarmente interessata alla sentenza di assoluzione degli imputati per “lo stupro della Fortezza”. E ho letto svariati commenti di persone che si son prese la briga di difendere a spada tratta gli imputati, senza provare, nemmeno per un secondo, a entrare nei panni della ragazza. Perché mai questa ragazza avrebbe deciso di denunciarli? Così, per sfizio, per passare del tempo, per divertimento? Ma non vi viene in mente che se una donna si rivolge alle autorità per denunciare un fatto, consapevole della macchina giudiziaria che sta per mettere in moto, dando in pasto ai media la propria vita privata e tutto ciò che ne consegue, è perché in qualche modo sente di aver subito un danno, una violenza e sta cercando giustizia? 
Notifico che ho letto la sentenza e che essa grida vendetta da ogni riga. Perché se anche è vero che non ci sono state prove evidenti che la ragazza abbia subito uno stupro in senso tecnico, ossia che sia stata penetrata, è però evidente che abbia subito violenza. 
Così il racconto di una testimone al processo: Stupro del branco alla Fortezza ieri il racconto di una testimone
"Ieri mattina, nell’aula bunker del tribunale di Firenze, si è tenuta l’ennesima udienza del processo contro sette giovani accusati di aver stuprato una ragazza nel luglio del 2008. Ieri è stata ascoltata la testimonianza della ragazza che quella sera, alla Fortezza, tentò di proteggere la vittima dal "branco"; invano, perché fu allontanata a male parole. “La sorreggevano in due, altri cinque la toccavano, lei barcollava, si vedeva che non stava bene ma non so dire se l'avevano fatta ubriacare o altro” – ha raccontato rispondendo alle domande del giudice Francesco Gratteri, del Pm Pietro Suchan e degli avvocati. La testimone, che pochi giorni dopo il fatto si mise in contatto con l’avvocato della vittima e collaborò alle indagini, ha poi così continuato: “Quella sera ero alla Fortezza con miei amici, ad un certo punto della serata mi raccontarono che c'era un gruppo anomalo, di gente che non conoscevamo: una sola ragazza e molti maschi con lei che le alzavano la gonna in pubblico, la baciavano a turno ovunque, la palpavano. I miei amici mi dissero che avevano visto dare da bere più volte a questa ragazza e che l'avevano messa sul 'toro meccanico' 'dando spettacolo”.

Una volta uscita dalla Fortezza, però alla teste le cose non erano chiare, sentiva che qualcosa non andava in quella situazione. Così, una volta chiesto dove si fosse diretto quel gruppetto, li inseguì nel posteggio. “La vittima – ha continuato la teste – era sorretta da due amici, mentre altri la palpeggiavano, uno le leccava il volto. Volevo capire che situazione fosse, se c'era bisogno di aiuto. Mi sono avvicinata e ho chiesto alla ragazza se stesse bene, se voleva essere accompagnata a casa, se avesse bisogno”. I ragazzi del branco però risposero rabbiosi, uno le disse: “Che sei della lega antistupro? Lasciaci in pace, fatti i c... tuoi” come ha affermato durante l’udienza la teste.
“Solo in seconda battuta – ha dichiarato la testimone – ha parlato la ragazza: mi sembrava non del tutto in sé, o aveva bevuto o non era lucida”. Poi le disse: “Lascia stare, li conosco, mi riaccompagnano a casa, non ti preoccupare”. In seguito però, la testimone ha ricordato, anche grazie alle deposizioni rilasciate tre anni prima, di aver sentito la vittima pronunciare anche queste parole: “No, lasciatemi stare. Smettila” e ancora, rivolta alla ragazza che stava cercando di darle aiuto: “Scusami, è colpa mia perché sono passata dall'essere lesbica ad eterosessuale, prima respingevo i maschi adesso no”. Una dichiarazione che secondo la testimone procurò diversi commenti dei ragazzi che le erano intorno: “Meglio per noi, ce n'é di più”.

Il racconto della testimone poi volge al termine: “me ne andai, non me la sentii di insistere e rimasi combattuta se avvisare le forze dell'ordine o no”. Alla fine della deposizione le è stato chiesto se riconoscesse qualcuno dei presunti violentatori tra gli imputati in aula: la teste ha indicato un praticante legale seduto tra i banchi. Guardando le foto degli imputati, non ne ha riconosciuto nessuno: “Ma confermo i due riconoscimenti di tre anni fa fatti alla polizia” ha detto concludendo.
I sette imputati del processo sono L. L., 25 anni, studente universitario e regista amatoriale di film splatter, D.M. S., brasiliano, 26 anni, N.D.A., 24 anni, F. M., 24 anni, L. R., 22, L. V., 25 anni e R. M., 22 anni. La prossima udienza si terrà il ventitré di giugno.

Ora, quello che a me pare evidente da questa testimonianza, è che la ragazza non fosse molto lucida e che comunque si trovasse in una situazione poco chiara, difficile e non per sua spontanea volontà. La sentenza dice che non fosse ubriaca. La testimone dice di sì. Difficile capire come il giudice avrà potuto affermare con certezza che non lo fosse nel momento in cui si svolsero i fatti.
Quanti secoli dovranno passare ancora perché si abbia la sensibilità di capire che se una donna è ubriaca o drogata o comunque poco lucida quali ne siano motivi, non può dare un consenso consapevole all’atto sessuale?
Quanti secoli ci vorranno ancora per capire che se una donna dice anche sola mezza parola di diniego (“lasciatemi stare”, “no”, “non voglio più”) significa che bisogna lasciarla andare? 
Ma, soprattutto, quanti secoli ci vorranno ancora per capire che la violenza sessuale non è solo lo stupro in senso tecnico, ma anche il palpeggiamento o la costrizione a eseguire atti sessuali di vario tipo? 
Se tu, uomo, mi prendi la mano a forza e me la metti sul tuo cazzo, senza il mio consenso, quella è violenza; se tu mi lecchi la faccia e mi tocchi le tette, senza il mio consenso, quella è violenza. Se mi trascini a letto quando sono completamente ubriaca, per quanto ti possa sembrare che io sia consenziente, quella è violenza perché una persona che non è in sé non può essere in grado di esprimere la propria volontà.

Pochi sembrano comprendere davvero il trauma, il fastidio, la rabbia che provocano certi atti, certi comportamenti, certe violenze sottili, indimostrabili giuridicamente, eppure realmente avvenute. Pochi sanno comprendere come si sente una donna quando viene considerata solo un pezzo di carne, quando viene guardata per strada con sguardi lascivi, quando le vengono rivolti appellativi di tipo sessista. 

Molti uomini, ma anche molte donne, non sono in grado di riconoscere il maschilismo nella nostra società semplicemente perché, nel caso dei primi, non sono loro ad essere le vittime, nel secondo perché esso è talmente radicato da essere normalizzato. 
Ecco perché mi indigno quando leggo commenti di approvazione della sentenza di assoluzione del caso della Fortezza: perché sembra che se non ci siano state prove di stupro in senso tecnico, allora il fatto non sussista, allora la violenza non sia mai avvenuta. 
E delle parole della ragazza, della sua lettera accorata, di come si sia sentita in quei momenti, di cosa abbia provato e perché abbia deciso di denunciare il fatto, niente, non se ne vuole tener conto perché in fondo in fondo certe violenze e certi oltraggi li capisce, purtroppo, solo chi li prova. 

P.S.: mentre scrivo questo pezzo, mi arrivano le notifiche di una discussione che ho avuto sulla pagina FB di un mio contatto. Un tipo scrive, facendo del sarcasmo - o almeno è così che crede lui – e lo riporto senza remora perché trattasi di un commento pubblico, tuttavia non mi interessa fare nomi: "Cari ragazzi di 25 anni con gli ormoni geneticamente a palla: Se una ragazza maggiorenne vi si struscia addosso, vi ammicca, vi chiede ripetutamente di fare sesso con lei, viene dietro di voi senza remora alcuna e comincia a fare sesso tranquillamente con gran voglia e vi fermate appena lei non vuole più, ebbene, sappiate che questo è stupro. E tanti saluti all'autodeterminazione. Perché una donna può andare con quanti maschi vuole, anche contemporaneamente, ma nessun uomo dovrebbe cedere."

Mi rattrista e mi angoscia molto pensare che esistano uomini che vedono le donne attraverso la lente rossa degli scarsi filmetti porno di serie b. Donne che si strusciano addosso, che ammiccano, che chiedono ripetutamente di fare sesso, non so voi, ma io le ho viste solo nei film sopracitati. O nelle fantasie del maschilista medio da bar. Non che non esistano donne libertine (e nessun giudizio morale da parte mia, anzi, approvo il libertinaggio sessuale quando consapevole), ma è proprio lo stereotipo della descrizione fatta che rimanda a un’idea del tutto distorta dell’universo sessuale femminile. Poi, tanto per confermare il maschilismo del tipo, subito sotto mi fa notare che difatti lui ha avuto diverse esperienze di questo tipo. Et voilà, il machismo in tutto il suo splendore. Come se l'elenco delle sue conquiste fosse rilevante. 
A voler fare l’analisi semantica di certe frasi ne vien fuori un bel po’ di roba interessante, a cominciare dal curioso incipit “cari ragazzi di 25 anni con ormoni a palla”. A che pro citare gli ormoni a palla? Come attenuante? Perché mai dovrebbe essere rilevante il fatto che i ragazzi di 25 anni abbiano gli ormoni a palla?
Gli ormoni a palla si tengono a bada, non sono un'attenuante, così come non lo sono gli improbabili ammiccamenti e strusciamenti di parte femminile. 
E, soprattutto, se una donna denuncia una violenza, esponendosi, è perché forse quella violenza l’ha subita, a prescindere dal nero su bianco di una sentenza che afferma solo una cosa: la realtà è infinitamente più complessa di come possono apparire i fatti e la verità spesso è solo una cicatrice invisibile che rimane sotto la pelle. 

Infine, quello che vorrei dire, a tutte le donne: denunciate sempre, non abbiate timore, anche se non avete testimoni, anche se non ci sono prove. Il silenzio incoraggia e favorisce sempre l'oppressore, mai la vittima.

mercoledì 15 luglio 2015

Ogni mese davanti al macello: un'intervista per conoscere meglio la campagna NOmattatoio


di Nicola Dembech - Responsabile Comunicazioni di Essere Animali

Possono i luoghi, come i comportamenti delle persone, avere una propria valenza morale? Possiamo scoprirne l’interiorità? Spingerci oltre i corridoi e liberarne i silenzi?

Ogni opera architettonica possiede, oltre una specifica destinazione, una propria identità frutto della manifestazione simbolica e culturale degli esseri umani. Possiamo affermare che i luoghi hanno un’anima quando ne viviamo gli spazi e di riflesso proiettiamo i nostri sentimenti che ne rivelano la natura. Il mattatoio, tramite il nostro sentire, non solo ci crea sgomento e inquietudine poiché di fatto è il luogo in cui gli animali vengono uccisi all’infinito, ma attraverso un’analisi più razionale ci rendiamo conto che all’interno di questa specifica struttura – la cui esistenza è possibile solo grazie al ciclo di smontaggio dei corpi e alla conseguente rimozione dell’essere – tutto si riduce a una semplice risposta economica. Al di là di ogni altro luogo è proprio all’interno di questa sistematica macellazione che avviene la separazione tra noi e tutto il resto del vivente. Qui dove il battito del cuore percuote il corpo delle bestie a ritmo vertiginoso, il genere umano rompe e abbandona il più stretto rapporto con gli altri animali suoi simili. Infine è anche qui, dove quasi tutto è nascosto, che la realtà soccombe inesorabilmente al sistema; filosofia, ideologia, dottrina, tecnica e istituzione di una nuova società concepita e controllata dal potere.

Non si può fare finta di niente! è una delle frasi che troverete nel sito NOmattatoio, un presidio permanente a cadenza mensile con l’intento di portare pubblicamente allo scoperto l’esistenza di questi luoghi isolati in cui gli animali muoiono nella più totale indifferenza dell’intera umanità.

Una protesta nata dal basso ma che ha già ottenuto un certo consenso tra tutte le persone impegnate nella battaglia per i diritti degli animali. Un’idea nata da una semplice discorso tra attiviste che, decidendo di percorrere strade ancora poco battute, cercano di rivelare le contraddizioni di una società che si definisce democraticamente non violenta.

Entrambe le ideatrici della campagna, Rita Ciatti e Eloise Cotronei, non sentono di avere alcun merito in questo ma solamente il “semplice” ruolo di unire l’impegno di ogni singolo attivista che oggi più che mai conserva la speranza per una futura liberazione animale.

Per leggere l'intervista, continua su Essere Animali. 

domenica 12 luglio 2015

Comunicazione importante riguardo NOmattatoio


Per motivi organizzativi il presidio del 18 luglio è spostato al 25. Stesso orario pomeridiano.

Dateci una mano a condividere, grazie!

"È che non so più dove sono. Mi sembra di essere perfettamente a mio agio tra la gente, di avere rapporti perfettamente normali. È possibile, mi chiedo, che tutti quanti siano complici di un crimine di proporzioni stupefacenti? Sono tutte fantasie? Devo essere pazza. Eppure ogni giorno ne vedo le prove. Le stesse persone che sospetto le producono, me le mostrano, me le offrono. Cadaveri. Frammenti di cadaveri che hanno comprato in cambio di denaro."

(da La vita degli animali di J.M. Coetzee)

Queste prove le abbiamo: 170 miliardi di animali massacrati ogni anno e solo per scopo alimentare. 
Per questo torniamo davanti al mattatoio di Roma: per essere la loro voce e raccontare a tutti una scomoda verità.

giovedì 9 luglio 2015

Utero in affitto

Giorni fa ho scritto un post su Facebook in cui affermavo che qualche volta la propria intelligenza si dimostra anche ammettendo di non avere opinioni precise su un qualche argomento. Ho sempre avuto paura di coloro che insieme all'ideologia politica che sostengono, prendono tutto il pacchetto senza mai esprimere critiche o discostarsi da alcune questioni. Ad esempio oggi sulla questione dell'utero in affitto chiunque o quasi sia progressista e di sinistra si esprime a favore, pena l'essere considerato conservatore o tacciato di moralismo benpensante.
Io invece ammetto di non riuscire ad avere un'opinione precisa. Ovviamente lungi da me liquidare la questione con il divieto (infatti sono libertaria), però penso che sia comunque problematico dal punto di vista psicologico, per una donna (ossia per chi affitta l'utero) sentirsi crescere un bambino dentro l'utero per nove mesi e poi darlo via. E chi ha avuto figli magari potrà confermarmelo. Penso che si debba e possa contestualizzare ovviamente, non tutti i casi sono simili. Chi lo fa perché ha bisogno di denaro si troverà sempre nella condizione svantaggiata di subire quella che solo all'apparenza si mostra come una libera scelta. Ci sono infatti scelte che non sono tali. Poi anche il bambino, secondo quanto si sa della vita prenatale, nell'utero della madre si abitua alla sua voce, al suo odore, a tanto altro e nel distacco proverà sicuramente un trauma. Non lo vieterei, come non vieterei mai l'aborto, ma sono questioni che non mi sento mai di liquidare con leggerezza, su cui non riesco a pronunciare un sì o un no deciso.
Sono invece favorevolissima all'adozione, sia da parte di coppie omo, che etero. Anche per ridurre la sovrappopolazione. Non capisco quest'ossessione per un figlio biologico a tutti i costi. La maternità e paternità sono condizioni che prescindono dal dna. Persino le altre specie animali adottano spesso cuccioli orfani anche di specie diversa.

lunedì 6 luglio 2015

Un mio pensiero sulla Grecia

Pur facendomi piacere che la maggioranza del popolo greco abbia avuto il coraggio di opporsi alle misure restrittive imposte dall'UE (un'unione che ha fatto comodo solo alle banche, ma che di fatto rimane lontana da quei propositi di solidarietà e culturali com'erano nel pensiero originario di Spinelli - cui di fatto personalmente non sono mai stata favorevole perché per me la soluzione per vivere meglio non è certo allargando le unioni degli stati, ma semmai favorendo un ritorno alle piccole comunità), credo che festeggiare per la libertà e democrazia ritrovata sia un'esagerazione. Primo, la democrazia, nemmeno quella ateniese del V secolo A.C. (esistevano gli schiavi, le donne non potevano votare e per avere accesso alla cittadinanza bisognava comunque essere in possesso di determinati requisiti), tanto meno quella moderna, è mai stata un esempio fulgido di libertà, secondo, uscire dall'UE (e io comunque sono favorevole, auspicherei ciò anche per l'Italia, ma solo nell'ottica di quanto espresso sopra, ossia di un tendere a sempre più piccole concentrazioni di comunità basate sull'autosufficienza politica) non significa certo aver risolto i problemi che minano alle radici l'espressione di una società veramente libertaria. Finché esisteranno governi (che siano di sinistra o destra poco importa), stati, deleghe a rappresentanti politici, l'individuo sarà sempre calpestato in nome di interessi e profitti economici maggiori.

sabato 4 luglio 2015

NOmattatoio: ottavo presidio


"È che non so più dove sono. Mi sembra di essere perfettamente a mio agio tra la gente, di avere rapporti perfettamente normali. È possibile, mi chiedo, che tutti quanti siano complici di un crimine di proporzioni stupefacenti? Sono tutte fantasie? Devo essere pazza. Eppure ogni giorno ne vedo le prove. Le stesse persone che sospetto le producono, me le mostrano, me le offrono. Cadaveri. Frammenti di cadaveri che hanno comprato in cambio di denaro."

(da La vita degli animali di J.M. Coetzee)

Queste prove le abbiamo: 170 miliardi di animali massacrati ogni anno e solo per scopo alimentare. 
Per questo torniamo davanti al mattatoio di Roma: per essere la loro voce e raccontare a tutti una scomoda verità.

Per seguire gli aggiornamenti, conoscere la campagna e i suoi contenuti, vedere quali sono le altre città che hanno aderito e quando i prossimi presidi, le modalità di partecipazione e altro, il sito ufficiale è nomattatoio.org