Ci ho messo più di trent’anni per decidermi finalmente a raccontarlo e non è un caso che abbia deciso di farlo proprio oggi. Ma andiamo per ordine.
Quando avevo 15 anni fui trascinata in un vicolo da due ragazzi - uno aveva la mia stessa età, era stato mio compagno di classe alle elementari, l’altro era di poco più grande e l'avevo conosciuto quell’estate – e fui costretta a masturbarli, dietro minacce. Mi urlarono, con la bava alla bocca, tirandomi i capelli, storcendomi le braccia, colpendomi in faccia e tappandomi la bocca per non farmi urlare, minacciandomi che se non avessi fatto quello che mi stavano ordinando, mi avrebbero picchiata e stuprata. Ricordo la sensazione d’impotenza, lo schifo, la paura e la vergogna, le suppliche di lasciarmi andare, i palpeggiamenti, gli schiaffi in faccia e le lacrime.
Più di tutti ricordo le loro risate di scherno, i loro oltraggi verbali e lo sguardo dell’eccitazione che perde di lucidità poco a poco. Ed è in quel momento che ci si rende conto di non avere più scampo e allora aspetti solo che finisca tutto il prima possibile.
Corsi via, dopo, e raggiunsi mia cugina che era rimasta sulla piazza da dove i due mi avevano trascinata via. Bloccata da altri due complici.
Fu un’azione premeditata e organizzata in piena regola.
Perché non li denunciai? Per due motivi. Primo, perché non essendoci PROVE EVIDENTI DI QUANTO ERA AVVENUTO – in fondo non si era trattato di uno stupro in senso tecnico e non c’erano stato testimoni, a parte mia cugina che mi aveva vista trascinata via – nessuno mi avrebbe creduta; secondo perché io con quei ragazzi ci avevo scherzato fino al pomeriggio prima, facendomi corteggiare e probabilmente dando segnali di disponibilità e questo, nell’educazione rigidamente moralista che avevo ricevuto (“non fare questo con i ragazzi, non mostrarti leggera e disponibile ecc.”) avrebbe significato solo una cosa: che in fondo me l’ero andata a cercare. E sì, per molto tempo ne sono stata convinta anche io. Ne fui convinta allora e negli anni a venire.
Ci ho messo un bel po’ per realizzare di aver subito una violenza di tipo sessuale, a partire dal momento i cui i due mi presero, uno sotto a un braccio, l’altro sotto a un altro, e mi trascinarono a forza in quel vicolo.
Ma veniamo ad oggi. Perché raccontarlo proprio ora, oltre che per uno sfogo che può essere senz’altro terapeutico?
Chi mi conosce e legge da un po’, sa che io raramente do in pasto alla rete le mie vicende personali e quando lo faccio, se lo faccio, è solo per astrarne una qualche riflessione di carattere più generale. Mai per autoreferenzialità.
E anche stavolta non faccio eccezione. Se ho raccontato questa storia è perché in questi giorni mi sono particolarmente interessata alla sentenza di assoluzione degli imputati per “lo stupro della Fortezza”. E ho letto svariati commenti di persone che si son prese la briga di difendere a spada tratta gli imputati, senza provare, nemmeno per un secondo, a entrare nei panni della ragazza. Perché mai questa ragazza avrebbe deciso di denunciarli? Così, per sfizio, per passare del tempo, per divertimento? Ma non vi viene in mente che se una donna si rivolge alle autorità per denunciare un fatto, consapevole della macchina giudiziaria che sta per mettere in moto, dando in pasto ai media la propria vita privata e tutto ciò che ne consegue, è perché in qualche modo sente di aver subito un danno, una violenza e sta cercando giustizia?
Notifico che ho letto la sentenza e che essa grida vendetta da ogni riga. Perché se anche è vero che non ci sono state prove evidenti che la ragazza abbia subito uno stupro in senso tecnico, ossia che sia stata penetrata, è però evidente che abbia subito violenza.
Così il racconto di una testimone al processo: Stupro del branco alla Fortezza ieri il racconto di una testimone
"Ieri mattina, nell’aula bunker del tribunale di Firenze, si è tenuta l’ennesima udienza del processo contro sette giovani accusati di aver stuprato una ragazza nel luglio del 2008. Ieri è stata ascoltata la testimonianza della ragazza che quella sera, alla Fortezza, tentò di proteggere la vittima dal "branco"; invano, perché fu allontanata a male parole. “La sorreggevano in due, altri cinque la toccavano, lei barcollava, si vedeva che non stava bene ma non so dire se l'avevano fatta ubriacare o altro” – ha raccontato rispondendo alle domande del giudice Francesco Gratteri, del Pm Pietro Suchan e degli avvocati. La testimone, che pochi giorni dopo il fatto si mise in contatto con l’avvocato della vittima e collaborò alle indagini, ha poi così continuato: “Quella sera ero alla Fortezza con miei amici, ad un certo punto della serata mi raccontarono che c'era un gruppo anomalo, di gente che non conoscevamo: una sola ragazza e molti maschi con lei che le alzavano la gonna in pubblico, la baciavano a turno ovunque, la palpavano. I miei amici mi dissero che avevano visto dare da bere più volte a questa ragazza e che l'avevano messa sul 'toro meccanico' 'dando spettacolo”.
Una volta uscita dalla Fortezza, però alla teste le cose non erano chiare, sentiva che qualcosa non andava in quella situazione. Così, una volta chiesto dove si fosse diretto quel gruppetto, li inseguì nel posteggio. “La vittima – ha continuato la teste – era sorretta da due amici, mentre altri la palpeggiavano, uno le leccava il volto. Volevo capire che situazione fosse, se c'era bisogno di aiuto. Mi sono avvicinata e ho chiesto alla ragazza se stesse bene, se voleva essere accompagnata a casa, se avesse bisogno”. I ragazzi del branco però risposero rabbiosi, uno le disse: “Che sei della lega antistupro? Lasciaci in pace, fatti i c... tuoi” come ha affermato durante l’udienza la teste.
“Solo in seconda battuta – ha dichiarato la testimone – ha parlato la ragazza: mi sembrava non del tutto in sé, o aveva bevuto o non era lucida”. Poi le disse: “Lascia stare, li conosco, mi riaccompagnano a casa, non ti preoccupare”. In seguito però, la testimone ha ricordato, anche grazie alle deposizioni rilasciate tre anni prima, di aver sentito la vittima pronunciare anche queste parole: “No, lasciatemi stare. Smettila” e ancora, rivolta alla ragazza che stava cercando di darle aiuto: “Scusami, è colpa mia perché sono passata dall'essere lesbica ad eterosessuale, prima respingevo i maschi adesso no”. Una dichiarazione che secondo la testimone procurò diversi commenti dei ragazzi che le erano intorno: “Meglio per noi, ce n'é di più”.
Il racconto della testimone poi volge al termine: “me ne andai, non me la sentii di insistere e rimasi combattuta se avvisare le forze dell'ordine o no”. Alla fine della deposizione le è stato chiesto se riconoscesse qualcuno dei presunti violentatori tra gli imputati in aula: la teste ha indicato un praticante legale seduto tra i banchi. Guardando le foto degli imputati, non ne ha riconosciuto nessuno: “Ma confermo i due riconoscimenti di tre anni fa fatti alla polizia” ha detto concludendo.
I sette imputati del processo sono L. L., 25 anni, studente universitario e regista amatoriale di film splatter, D.M. S., brasiliano, 26 anni, N.D.A., 24 anni, F. M., 24 anni, L. R., 22, L. V., 25 anni e R. M., 22 anni. La prossima udienza si terrà il ventitré di giugno.
Ora, quello che a me pare evidente da questa testimonianza, è che la ragazza non fosse molto lucida e che comunque si trovasse in una situazione poco chiara, difficile e non per sua spontanea volontà. La sentenza dice che non fosse ubriaca. La testimone dice di sì. Difficile capire come il giudice avrà potuto affermare con certezza che non lo fosse nel momento in cui si svolsero i fatti.
Quanti secoli dovranno passare ancora perché si abbia la sensibilità di capire che se una donna è ubriaca o drogata o comunque poco lucida quali ne siano motivi, non può dare un consenso consapevole all’atto sessuale?
Quanti secoli ci vorranno ancora per capire che se una donna dice anche sola mezza parola di diniego (“lasciatemi stare”, “no”, “non voglio più”) significa che bisogna lasciarla andare?
Ma, soprattutto, quanti secoli ci vorranno ancora per capire che la violenza sessuale non è solo lo stupro in senso tecnico, ma anche il palpeggiamento o la costrizione a eseguire atti sessuali di vario tipo?
Se tu, uomo, mi prendi la mano a forza e me la metti sul tuo cazzo, senza il mio consenso, quella è violenza; se tu mi lecchi la faccia e mi tocchi le tette, senza il mio consenso, quella è violenza. Se mi trascini a letto quando sono completamente ubriaca, per quanto ti possa sembrare che io sia consenziente, quella è violenza perché una persona che non è in sé non può essere in grado di esprimere la propria volontà.
Pochi sembrano comprendere davvero il trauma, il fastidio, la rabbia che provocano certi atti, certi comportamenti, certe violenze sottili, indimostrabili giuridicamente, eppure realmente avvenute. Pochi sanno comprendere come si sente una donna quando viene considerata solo un pezzo di carne, quando viene guardata per strada con sguardi lascivi, quando le vengono rivolti appellativi di tipo sessista.
Molti uomini, ma anche molte donne, non sono in grado di riconoscere il maschilismo nella nostra società semplicemente perché, nel caso dei primi, non sono loro ad essere le vittime, nel secondo perché esso è talmente radicato da essere normalizzato.
Ecco perché mi indigno quando leggo commenti di approvazione della sentenza di assoluzione del caso della Fortezza: perché sembra che se non ci siano state prove di stupro in senso tecnico, allora il fatto non sussista, allora la violenza non sia mai avvenuta.
E delle parole della ragazza, della sua lettera accorata, di come si sia sentita in quei momenti, di cosa abbia provato e perché abbia deciso di denunciare il fatto, niente, non se ne vuole tener conto perché in fondo in fondo certe violenze e certi oltraggi li capisce, purtroppo, solo chi li prova.
P.S.: mentre scrivo questo pezzo, mi arrivano le notifiche di una discussione che ho avuto sulla pagina FB di un mio contatto. Un tipo scrive, facendo del sarcasmo - o almeno è così che crede lui – e lo riporto senza remora perché trattasi di un commento pubblico, tuttavia non mi interessa fare nomi: "Cari ragazzi di 25 anni con gli ormoni geneticamente a palla: Se una ragazza maggiorenne vi si struscia addosso, vi ammicca, vi chiede ripetutamente di fare sesso con lei, viene dietro di voi senza remora alcuna e comincia a fare sesso tranquillamente con gran voglia e vi fermate appena lei non vuole più, ebbene, sappiate che questo è stupro. E tanti saluti all'autodeterminazione. Perché una donna può andare con quanti maschi vuole, anche contemporaneamente, ma nessun uomo dovrebbe cedere."
Mi rattrista e mi angoscia molto pensare che esistano uomini che vedono le donne attraverso la lente rossa degli scarsi filmetti porno di serie b. Donne che si strusciano addosso, che ammiccano, che chiedono ripetutamente di fare sesso, non so voi, ma io le ho viste solo nei film sopracitati. O nelle fantasie del maschilista medio da bar. Non che non esistano donne libertine (e nessun giudizio morale da parte mia, anzi, approvo il libertinaggio sessuale quando consapevole), ma è proprio lo stereotipo della descrizione fatta che rimanda a un’idea del tutto distorta dell’universo sessuale femminile. Poi, tanto per confermare il maschilismo del tipo, subito sotto mi fa notare che difatti lui ha avuto diverse esperienze di questo tipo. Et voilà, il machismo in tutto il suo splendore. Come se l'elenco delle sue conquiste fosse rilevante.
A voler fare l’analisi semantica di certe frasi ne vien fuori un bel po’ di roba interessante, a cominciare dal curioso incipit “cari ragazzi di 25 anni con ormoni a palla”. A che pro citare gli ormoni a palla? Come attenuante? Perché mai dovrebbe essere rilevante il fatto che i ragazzi di 25 anni abbiano gli ormoni a palla?
Gli ormoni a palla si tengono a bada, non sono un'attenuante, così come non lo sono gli improbabili ammiccamenti e strusciamenti di parte femminile.
E, soprattutto, se una donna denuncia una violenza, esponendosi, è perché forse quella violenza l’ha subita, a prescindere dal nero su bianco di una sentenza che afferma solo una cosa: la realtà è infinitamente più complessa di come possono apparire i fatti e la verità spesso è solo una cicatrice invisibile che rimane sotto la pelle.
Infine, quello che vorrei dire, a tutte le donne: denunciate sempre, non abbiate timore, anche se non avete testimoni, anche se non ci sono prove. Il silenzio incoraggia e favorisce sempre l'oppressore, mai la vittima.