sabato 9 maggio 2015

Interrogazione a sorpresa

Un racconto breve.



La classe di Anna era divisa in due zone: quella degli sfigati e quella dei fighi. 
Lei era nella prima. Del resto, per finirci, bastava poco: venire da fuori Roma, un particolare nell’abbigliamento sbagliato, accento “del paese”. 

Per di più ad Anna piaceva studiare e questo non poteva che peggiorare la sua situazione. Oltre che provinciale, pure secchiona! 
Qualche volta i fighi si rivolgevano a lei, con tono gentile e mellifluo, per chiederle di passargli gli appunti o di lasciarli copiare durante il compito in classe. Fuori dall’aula, nemmeno la salutavano. Come se fosse invisibile. 
E poi c’era Giulia. Una di loro, del gruppo dei fighi (con un nome così, non poteva che esser figa). 
Entrava in classe con quella sua aria sempre imbronciata, perennemente in ritardo, sbuffando qua e là mentre prendeva posto, con l’espressione tipica di chi sa di essere bella e si muove nel mondo come se tutto le fosse dovuto. Ovunque andasse si trovava a suo agio, non come lei, che si sentiva perennemente fuori posto. E non soltanto in classe.
Per di più Giulia era anche intelligente e brava a scuola. Lavativa, non studiava perché studiare era da secchioni, riusciva però sempre a cavarsela grazie alla parlantina sciolta e perché, facendo le chiuse in casa di due giorni e notti di seguito, riusciva a recuperare la sfilza di tre presi nelle settimane precedenti. Sapeva, in poche parole, quando era il momento di mettersi sotto e, con la stessa nonchalance con cui strusciava i piedi dal suo posto fino alla cattedra, riusciva a mantenere una media altissima. 
Anna aveva una cotta per lei. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di essere notata, di ricevere un sorriso, un saluto, un cenno qualsiasi. Anche perché entrare nelle grazie di Giulia le avrebbe garantito l’accesso automatico nel giro, essere invitata alle feste il sabato pomeriggio e magari potersi fermare a dormire da lei, anche se non riusciva, con l’immaginazione, ad andare oltre quel sogno vago. E comunque Anna sarebbe morta dietro a lei anche a parti inverse, Giulia una sfigata, lei una figa, anche se, a pensarci bene, Giulia sfigata non riusciva proprio a immaginarsela. 
Il  massimo che era riuscita a ottenere era che una volta, a ricreazione, le si fosse rivolta per chiederle se per caso avesse un Tampax da prestarle, ché le erano venute le mestruazioni all’improvviso e non sapeva come fare. Anna non ce l’aveva, ma si era prontamente offerta, senza nemmeno pensarci, di andare a chiedere alla Preside per lei se poteva uscire a comprarli. Giulia aveva risposto solo: “OK, ma sbrigati, altrimenti faccio diventare la classe un lago di sangue” e poi era scoppiata a ridere, davanti ai maschi, per niente imbarazzata. 
Così si era precipitata di sopra fino all’ufficio della Preside, col cuore in gola aveva spiegato la situazione e, avuto il permesso, era volata in farmacia. Per strada aveva corso, corso col cuore in gola, come se si fosse trattata di una cosa di vita o di morte, come se davvero avesse rischiato di trovare Giulia svenuta nel lago del suo stesso sangue e la classe allagata. Quando, rientrata, avevo dato il pacchettino a Giulia, lei nemmeno le aveva chiesto quanto avesse speso. Si era limitata, al suo solito, ad avviarsi sbuffando verso il bagno, rivolgendole appena un quasi impercettibile “grazie”. 
Anna era tornata lentamente al suo posto, sopraffatta da un senso di stanchezza e impotenza. Per tutto il resto della mattinata non era stata capace di concentrarsi su altro. Va bene, era delusa perché Giulia le aveva detto a malapena un grazie, ma, in fondo, che cosa avrebbe dovuto aspettarsi? Che Giulia l’avesse invitata in bagno ad aiutarla? 
Non riusciva nemmeno ad ammetterlo a se stessa, eppure, in fondo in fondo, era proprio questo che aveva sperato.

Poi un giorno, durante l’ora di storia dell’arte, era accaduta un’altra cosa. 

Innanzitutto c’è da dire che tutti temevano il prof. di storia dell’arte perché non si riusciva a capire bene cosa volesse ed era burbero e umorale. 
Quella volta però tutti erano perché non era giorno di interrogazione, ma di spiegazione.   
Entrato il professore, Anna aveva preso il quaderno degli appunti in attesa che la lezione cominciasse.
Invece lui aveva fatto l’appello e poi detto: “Oggi interrogo”.
Si era alla fine del semestre e prendere un votaccio, quel giorno, significava non avere la possibilità di recuperarlo in tempo utile.
Per questo tutta la classe aveva cominciato a protestare, dapprima a voce bassa, poi sempre più alta, fino a scatenare un putiferio.
Il prof. aveva lasciato fare per un po’ e poi si era alzato in piedi e con il suo solito tono burbero aveva urlato: “Silenzio, decido io quando interrogare, e non importa che abbiate già i vostri voti, oggi ho deciso che voglio risentire alcuni di voi. Per cui, estrarremo dei numeri a sorte per decidere chi sarà interrogato!”.

- Ma prof, la prego, non può farci questo, per favore, così ci rovina i voti – aveva detto uno degli sfigati secchioni. 

- Così ci rovina la media del semestre, per favore, non interroghi oggi, non siamo preparati, c’era il compito in classe di mate, ci siamo dovuti preparare per quello.

- Sì, per favore Prof., ci ripensi, facciamo la prossima volta – anche una ragazzetta dalla parte dei fighi si era raccomandata, pure se prendere un altro due in fondo non le avrebbe cambiato granché.

- Non mi importa, - aveva proseguito il prof. imperterrito – voi dovete essere sempre preparati, ogni volta, anche se vi ho interrogato appena quella precedente. Procediamo! – La sua voce risoluta aveva tuonato spazzando via ogni possibilità di appello.
L’intera classe aveva iniziato a quel punto a piagnucolare e a supplicare, nessuno era disposto a subire un’ingiustizia di quel genere. 

Anna si era quasi distrutta un’unghia a forza di strapparsi via le pellicine, quella volta pure lei non aveva studiato.

Il professore aveva appena tirato fuori dal cassetto la scatola per l’estrazione a sorte dei numeri che già aveva usato altre volte, quando Giulia si era alzata in piedi, e con la solita espressione annoiata aveva detto: - Ma prof., non può accettare almeno un volontario? 
Lo aveva chiesto voltandosi verso la zona degli sfigati, come aspettandosi che per qualche incontrovertibile legge di natura, avesse dovuto toccare a uno di loro farsi avanti e immolarsi per la classe. 

- Sì, prof., per favore, sia gentile, accetti un volontario – a seguire avevano fatto eco tutti quelli nella zona di Giulia, seguendo il suo sguardo che ora, da annoiato, si era illuminato come quello di chi ha appena avuto un’idea brillante. 

Anna, a quel punto, aveva appena sollevato gli occhi dal suo banco quando si era accorta che non solo tutti stavano guardando nella sua direzione, ma anche che, piano piano stavano stringendo la messa a fuoco proprio su di lei, individuandola come evidente capro espiatorio – vittima da immolare, se preferite - vicini di banco compresi, sfigati che fossero pure loro. 

- Un volontario? – aveva detto il prof. – Per esempio, chi? Oh, insomma, quante storie, a me basta che senta qualcuno, poi se volontario o meno non interessa. Coraggio, fatevi avanti allora. 

Anna... perché non vai tu, tu che sei sempre tanto brava? – aveva urlato Giulia trionfante – piegando leggermente la testa e assumendo una posa da sfida. 

- Dai Anna, vai tu, ci scommetto che hai studiato - le aveva detto poi con voce in falsetto carezzevole. Con quel finto tono supplichevole, come di chi supplica per gioco. 
Dietro la finta supplica ostentava la solita sicurezza, come quella volta che le aveva chiesto di andarle a comprare i Tampax, tuttavia sfoderando al meglio tutte le sue armi di seduzione, per il solo gusto di giocare un po’, come fa il gatto col topo. 

Anna si era chiesa se Giulia sapesse, se si fosse mai accorta della cotta che provava per lei, di come si scioglieva e arrossiva ogni volta che capitava che le passasse accanto incurante, investendola dell’odore dei suoi capelli che scompigliava continuamente con le mani. 

Le era venuto allora in mente di quando una volta, negli spogliatoi della palestra, aveva annusato di nascosto la sua maglietta sudata, provando un sentimento stranissimo che era un misto tra il voler essere lei e il desiderarla fortemente. E diosolosapeva che se si era fermata in tempo e non aveva preso in mano anche le mutandine era perché aveva sentito dei passi arrivare e sarebbe morta di vergogna se qualcuno l’avesse sorpresa a fare quella cosa. 

- Dai Anna, vai tu, solo tu puoi salvare la classe – di nuovo la voce di Giulia l’aveva fatta sobbalzare.
- Chissà, forse mi aveva vista quella volta, con la sua maglietta sotto al naso. – pensò. E subito le era tornato in mente quell’odore acre e dolciastro insieme, accompagnato dal desiderio di sentirne il sapore.

Poi, a poco a poco, in un crescendo di voci, tutta la classe l’aveva incitata: Anna, Anna, Anna... senza toglierle gli occhi di dosso, facendola sentire per la prima volta da anni, da quando frequentava quella ricca scuola di quartiere snob, al centro dell’attenzione di tutti e si era sentita piccola e a disagio nel suo vestitino a fiorellini.

- Anna, Anna, Anna... le voci avevano continuato, ora mischiate a quelle nella sua testa dei suoi genitori che la sgridavano per il brutto voto, ora a quelle del professore che le faceva domande cui non avrebbe saputo rispondere, ora a quelle di Giulia che la supplicava e le diceva: “Hai un tampax per favore? Sbrigati, altrimenti faccio diventare la classe un lago di sangue”, ora a quelle dei complimenti e degli inviti che tante volte avrebbe voluto rivolgere a Giulia, ma che non aveva mai avuto il coraggio di pronunciare.


Ci fu un momento in cui fu quasi sul punto di perdere i sensi, la vista annebbiata e le ginocchia molli di timidezza, ma invece poi, mettendo via il quaderno degli appunti e prendendo il libro di testo – come se le azioni avessero anticipato il pensiero – si era alzata e davanti a una classe finalmente ammutolita, nonostante il tremore nelle gambe, aveva sfilato con una certa grazia verso la cattedra. 

Aveva preso un voto basso, non tanto basso, ma abbastanza da rovinarle la media. Lo aveva accettato con un’alzata di spalle, senza commentare.

Tornando al suo posto, aveva notato la perfetta simmetria della classe, divisa in due.
Poi aveva guardato Giulia, che le aveva rivolto un timido sorriso. E anziché tornare dritta al suo banco, aveva deviato, passandole accanto, e le aveva fatto una lenta carezza sui capelli. 

(Rita Ciatti)

4 commenti:

Sara ha detto...

Mi e'piaciuto leggerti. Poi spero che ci sara'un seguito!

Rita ha detto...

Grazie. L'ho pensato come racconto, quindi non credo ci sia un seguito, però... mai dire mai. :-D

Anonimo ha detto...

cosa c'entra questo racconto con gli animali?

Rita ha detto...

Anonimo, questo è il mio blog personale in cui, come c'è scritto sotto al nome dello stesso (all'inizio): "... si parla e discute di Antispecismo e Animalismo, Letteratura, Cinema e finanche (con molta umiltà) di argomenti di natura filosofica ed esistenziale, e talora di spunti tratti dall'osservazione del quotidiano."
Del resto, se vai indietro ai vecchi post, noterai che ho sempre parlato anche di letteratura, cinema, scrittura, politica e varie e ho spesso pubblicato miei raccontini. Storie di animali e non.