(Foto di Andrea Festa)
Quando la musichetta della banda partì cominciarono ad avviarsi lungo la Main Street. Gli addetti a liberare la strada per lo svolgimento della Disney Parade – uno spettacolo che avveniva una volta al giorno, sempre allo stesso orario – stavano invitando gentilmente le persone, famiglie con i bambini, gruppetti di adolescenti e coppiette, a farsi da parte oltre il cordone affinché il tutto potesse svolgersi senza incidenti.
Andrea e Silvia si cercarono un posticino dal quale poter assistere, lottando per mantenere la posizione mentre gli altri bambini spingevano per conquistare la prima fila.
Il tono della musica crebbe e Silvia riusciva adesso a intravedere il carro principale preceduto da Minnie e Topolino che danzavano tenendosi per una mano e facendo “ciao” con l’altra agli spettatori; ogni tanto si separavano e si avvicinavano alla folla per dare un buffetto sulle guance di qualche bambino o per lasciare che i genitori immortalassero i loro figli insieme al loro personaggio preferito.
Man mano che la parata avanzava Silvia riuscì a mettere a fuoco tutti gli altri personaggi: Dumbo, Bambi, Pinocchio, Biancaneve, non le sembrava vero vederli lì davanti in carne e ossa. Un’eccitazione simile a quella di quando la notte di Natale avevano suonato alla porta e andando ad aprire si era trovata davanti Babbo Natale in persona.
Quando il carro le passò davanti, istintivamente fece un passo avanti, scavalcando alcuni bambini. Una Minnie in formato gigante si voltò verso di lei e inchinò il faccione sorridente per salutarla. Provò a ricambiare con un “ciao”, ma si accorse di avere la voce incrinata dall’emozione.
Pippo le prese la mano – com’era strana la sua, così grande e morbida di pelo – e la condusse a ballare dietro al carro.
Si guardò intorno in cerca di Andrea, sperando che l’avesse seguita, ma incrociò soltanto i grandi occhi neri di Minnie che la fissavano adesso più gravemente e le orecchie di Pluto sull’attenti, a fiutare qualcosa. La musica pian piano decrebbe di intensità fino a svanire, ma ne rimase un’eco in sottofondo, accompagnata da un sibilo strano, come di ali che sbattono.
Stava facendo notte, il castello della Bella Addormentata si stagliava roseo con le sue guglie e torri contro il cielo. Notò Campanellino, in cima ad un pinnacolo, che occhieggiava dall’alto fin dove si estendeva il parco intero. Come di vedetta. Si accorse di essere l’unica bambina rimasta, la folla di poco prima era scomparsa.
Quando provò a divincolarsi dalla mano di Pippo, sul punto di scoppiare in lacrime, la cara dolce Minnie le venne in soccorso: - Non devi avere paura, adesso ti portiamo in un bel posto. Poi le prese l’altra mano.
- Vieni con noi, ti portiamo in un bel posto – fece ecco Topolino canticchiando: la voce sgraziata, come di un gessetto che stride sulla lavagna.
Silvia provò a urlare per chiedere aiuto, ma in quel momento la banda riprese a suonare, disperdendo le sue grida. Attaccò una musica cadenzata, come una marcia, accompagnata dalle vocette stridule e stonate dei personaggi.
Pippo e Minnie la stavano letteralmente trascinando adesso, incuranti delle sue belle scarpine di vernice che sfrigolavano sull’asfalto.
Passarono sotto al castello della Bella addormentata, che ora, nella luce sempre più crepuscolare, emanava così tanti luccichii da sembrare animato. Sembra che respiri – pensò Silvia. Dalle mura sembrava che trasudasse una sostanza strana e vischiosa, simile al sangue. Campanellino sempre ritta sul pinnacolo più alto, sul punto di spiccare il volo.
Le parve di vederla girarsi verso di lei, gli occhietti come due fessure malevole.
Continuarono a camminare per un po’, constringendola ad andare con loro. Finalmente si fermarono, di fronte all’entrata della Nave dei Pirati.
Silvia puntò i piedi, facendo un ultimo tentativo di fuggire, ma la presa di Pippo era salda e il testone di Minnie si piegava su di lei a impedirle ogni movimento.
Per incoraggiarla Pippo la abbracciò e tentò di baciarla con labbra umide da cane, l’alito che puzzava di morto. Le lasciò una scia come bava di lumaca.
Le gambe molli come gelatina, paralizzata da un misto di terrore e incredulità, si lasciò trascinare docile verso l’entrata del tunnel.
La misero sull’imbarcazione a rotaie, che cigolò di un rumore tremendo mentre si metteva in moto.
Poi dietro tutti gli altri personaggi presero posto e a poco a poco le loro vocette stridule, che avevano canticchiato fino a quel momento, si zittirono.
Si avviarono in un silenzio tombale.
Fu distratta dallo scroscio d’acqua di una cascata.
- Trattieni il respiro, mocciosetta – le disse Minnie – siamo quasi arrivati a destinazione – e poi esplose in una risata maligna.
La barca scese giù, giù fino in fondo alla cascata – gli schizzi dell’acqua gelida le avevano inzuppato tutto il vestito, ormai ridotto a uno straccio, le scarpine lucide zuppe fin dentro i calzini.
E poi si fermò. Una mappa del tunnel appesa alla parete di sinistra indicava che si trovavano proprio al centro esatto dello spazio destinato all’attrazione.
Dietro a lei si fermarono tutti gli altri e a turno scesero, circondandola.
Topolino spostò un grosso forziere pieno di denaro e gioielli, lasciando apparire una lapide.
Scintillava e sembrava che respirasse alla stessa maniera del castello.
Minnie parlò: “Siamo qui zietto, l’abbiamo portata”.
- Dove sono? Chi avete portato? Che succede? - Silvia balbettò, pronunciando le sue prime parole dopo tanto tempo, incapace di urlare.
- Silvia, Silvietta, non c’è niente di cui aver paura – le disse Minnie. Vedi, Lui, il Nostro caro zietto, è qui per noi.
- Ma lui... chi? – chiese Silvia in un sussurro, incapace di fermare il tremito del corpo, che in qualche modo, oltre la ragione, aveva intuito ciò che non si sapeva spiegare.
- Lui, zio Walt. Vedi, noi, senza di Lui, non esisteremmo ed è per questo che continuiamo a tenerne in vita lo spirito, offrendogli in sacrificio i bravi bambini come te.
- Come me? – chiese Silvia scossa da un fremito – Che significa “come me”? Perché io? Voglio la mia mamma, voglio il mio fratellino... - Iniziò a piagnucolare, di un pianto sommesso, come di chi non ha speranza, ma si consola al ritmo dolorante della sua stessa nenia.
- Non è difficile da capire – si fece avanti Topolino, dando un’occhiata di intesa a Minnie, che indietreggiò di alcuni passi, in direzione della lapide di Walt Disney.
Silvia si occorse con orrore che la lapide era stata smossa e che, al di sotto, qualuno, o qualcosa, stava emergendo in superficie.
- Lui ti prenderà e tu vivrai qui. Per sempre. Proprio come hai pensato ti sarebbe piaciuto fare oggi, quando hai assistito alla Parata.
- Ma... come mi prenderà? In che modo? – chiese Silvia con un tono tra il supplichevole e il disperato.
Poi sentì un rumore, una specie di gorgoglio e lamento indefinito e insieme uno strusciare come di cartapesta. Si voltò d’istinto verso il punto da cui proveniva.
Pluto era lì, cane infernale a fare da guardia con un ringhio spaventoso, e... quella cosa, cos’era quella cosa accanto a lui?
I personaggi si inchinarono tutti di fronte all’orrenda figura: una salma ormai mummificata, ma viva, che respirava ancora e trasudava una sostanza viscida, simile a quella di cui erano impregnate le pareti del castello rosa. Dal suo corpo uscivano diversi tubi, di grandezza differente.
Silvia si accorse che il suono, quella specie di lamento proveniva dall’interno dei tubicini.
- Quello che senti – le disse Topolino, come se avesse letto la sua domanda col pensiero – è il rumore che fanno le anime dei bambini. Le piccole anime di cui lo zio Walt... Oh, ma non c’è niente di cui preoccuparsi. Non sarà doloroso. Vedrai...
- Perché? Non vogliooooo – urlò Silvia, provando a indietreggiare.
- Dobbiamo farlo, altrimenti noi moriremmo tutti. E noi questo non lo vogliamo. Come faremmo se no ad allietare le giornate di voi bambini? Ti piace quando la mamma ti racconta le favole, non è vero?
- Non voglio... voglio la mia mamma – Silvia tentò di farfugliare qualcosa, ma non riuscì a finire la frase che una folata di vento gelido la fece rabbrividire.
Walt si era mosso, producendo un suono agghiacciante di pelle morta agitata dal vento.
Al suo cenno, tutto si tacque e tutti rimasero fermi, immobili, come in ascolto, o in attesa, di qualcosa.
Anche Silvia rimase in ascolto. Incapace di parlare, trattenendo il respiro, fino a che non percepì un piccolo sibilo che veniva da fuori, come uno svolazzare d’ali.
Il sibilo raggiunse il suo orecchio e solo quando qualcosa di molto leggero le si posò sulla spalla si accorse che era Campanellino. Per un attimo provò sollievo, illudendosi che fosse accorsa in suo aiuto, ma il sorriso che stava appena accennando le morì sulle labbra nel momento in cui la piccola fatina, con un colpetto sul viso, le disse: “Ora fai parte della Parata anche tu. Starai con noi. Per sempre”.
In quel momento le sembrò di diventare di marmo. Si rese conto di non riuscire più a respirare, di avere i polmoni come pietrificati. Eppure non era ancora morta del tutto. Né morta e né viva. Boccheggiò invano nell’aria che sapeva di plastica.
Si guardò attorno.
Adesso la prospettiva era cambiata.
Venne l’alba, ma lì dentro era sempre la stessa notte artificiale.
Nel giro di poche ore il parco avrebbe ricominciato le sue attività, i bambini sarebbero accorsi con gioia a provare le varie attrazioni, alcuni adulti avrebbero assistito commossi alla parata; Silvia avrebbe osservato la folla, con cura ne avrebbe scelto uno e Minnie l’avrebbe preso per mano, proprio come aveva fatto con lei il giorno prima.
(Rita Ciatti)
(Liberamente ispirato alla leggenda urbana che narra che il corpo di Walt Disney si trovi, per sua volontà, in stato di sospensione criogenica sotto l'attrazione dei Pirati dei Caraibi a Disneyland).
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