Una critica e autocritica al movimento per la liberazione animale
Nelle grandi città e ormai anche nelle piccole realtà di provincia il termine “veganismo” si sta diffondendo a macchia d’olio: è tutto un fiorire e susseguirsi di serate all’insegna del “vegano”, di “aperitivi vegani”, ristoranti vegani, gelaterie con ampia selezione di gusti vegani, pasticcerie con reparto vegano, fast food vegani e via dicendo. Aziende e catene di supermercati, anche discount, tra cui la Coop, Todis, Carrefour cercano di accaparrarsi attraverso il lancio di proposte sempre più accattivanti – attente alla terminologia usata e al design – questa nuova fetta di consumatori da poco individuata nel mercato: il popolo vegan.
Non solo è in crescente aumento la disponibilità di prodotti vegani nei supermercati, ma addirittura, come si legge nell’articolo cui rimanda il link citato, a breve le persone che rifiutano di partecipare allo sfruttamento degli Animali attraverso i loro acquisti potranno trovare anche integratori e paramedicinali in linea con le loro scelte etiche. Non si tratta di farmaci non testati, ma di prodotti che non contengono ingredienti di origine animale.
Solo una lettura superficiale e scarsamente critica del fenomeno potrebbe indurre a pensare che il movimento antispecista che da decenni si batteper la liberazione di tutti gli Animali, stia raccogliendo i suoi primi successi sulla base del merchandising vegano in crescita. Eppure non di rado sui social network si leggono commenti di giubilo per la scoperta dell’ennesimo ristorante vegano. Tanto ottimismo, troppo, fa pronunciare ad alcuni persino frasi come: “stiamo veganizzando il mondo, stiamo rivoluzionando la società”. Si gioisce perché in tv si parla di dieta vegana contro il cancro, o perché presentatrici di successo dalle idee un po’ confuse pubblicano libri di successo.
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