Questo tipo di società rende impossibile pensare ad altro che non sia lavorare, produrre, consumare.
Sempre meno persone hanno tempo per l'attivismo e quelle poche che vi si possono dedicare con una certa assiduità e impegno costante sono comunque dei privilegiati (nel senso che svolgono lavori che permettono di organizzarsi l'esistenza compatibilmente con i proprio interessi e impegni di altro genere rispetto al lavoro stesso).
Come biasimare chi dopo aver lavorato otto-dieci ore al giorno, magari anche svolgendo attività alienanti, dopo ha solo voglia di annullarsi, riposarsi, non pensare?
Come biasimare chi non riesce nemmeno a immaginare una società diversa semplicemente perché, talmente oberato da preoccupazioni quotidiane quali cercare un lavoro, mantenere un lavoro (in tempi di precariato la preoccupazione di restare disoccupati è costante e rende le persone ancora più schiave e facili ad essere sfruttate e ricattabili), pagare le bollette, arrivare a fine mese, pagare il mutuo, non farsi pignorare ecc. non riesce più nemmeno ad avere la forza di immaginare?
Eppure dev'esserci un modo, una chiave di accesso a quell'area del cervello che può rendere l'individuo ancora capaci di ribellarsi a questo stato di cose.
La soluzione, amici miei, non sta nell'andare a votare uno schieramento piuttosto che un altro, la soluzione sta nel rifiuto totale di questo tipo di ordinamento, di queste istituzioni così come le abbiamo erette, di tutto ciò cui oggi erroneamente si attribuiscono potere e prestigio formali.
Il lavoro così come lo conosciamo oggi, così come ce lo rendono possibile oggi non è più un diritto, è solo una forma potentissima di schiavitù.
Ribelliamoci quando ci propongono di lavorare gratis, di svolgere lavori malpagati, di fare straordinari non retribuiti, di prostituire il nostro tempo e la nostra anima per due soldi. Ci stanno rubando la vita. Ma per far questo occorre che rivediamo anche le nostre priorità: non è necessario avere una macchina, non è necessario comprare tutto ciò che ci propongono, non è necessario avere l'ultimo modello di apparecchio tecnologico immesso sul mercato, non è necessario piegarsi ai consumi indotti dal mercato, non è necessario consumare viaggi-vacanze che sono simulacri del vero viaggiare.
Ciò che dobbiamo temere maggiormente è l’illusione di sicurezza data da una serie di orpelli culturali.
Tutto è comunque sempre incerto e precario, l’esistenza stessa in balìa di fenomeni non controllabili lo è, quindi quando qualcuno ci parla di “stabilità” ci sta semplicemente mentendo.
Non dobbiamo temere la parola “crisi”, che anzi significa cernita, separazione e contempla la possibilità di decidere, di scegliere, di prendere strade diverse.
In cambio di una falsa promessa di sicurezza economica ci stanno togliendo il tempo di una vita che non tornerà più.
Cosa resterà di noi quando saremo sul letto di morte se avremo spesso l’intera nostra vita a guadagnare e produrre al solo fine di consumare?
Perché non ci ribelliamo? Perché ci sembra di avere molto da perdere. Ci sembra che sia importante restare attaccati a quel poco che possediamo, una casa, un lavoro (per chi ce l’ha, precario o meno), affetti, abitudini... soprattutto abitudini. Ci sembra che abbiamo conquistato e raggiunto determinate sicurezze e punti fermi cui non vogliamo rinunciare. Tutto ciò è falso, è illusorio. Non c’è nulla di certo. L'unica certezza è che un giorno moriremo.
Tutto ciò che abbiamo nel frattempo è l’esperienza dell’esistere. Ma se non è più un esistere vero perché siamo in catene, allora non abbiamo proprio nulla.
Quindi in realtà ci facciamo ricattare per cosa? Per vivere una vita che poi non ci piace e non ci gratifica e di cui ci lamentiamo costantemente?
Quella che stiamo vivendo tutti adesso non è una vita, ma solo il simulacro di essa.
Prendiamone coscienza. Usciamo fuori dalla caverna. Fuori c’è un sole che splende davvero, o magari la pioggia e il gelo, ma almeno sono veri, reali.
Forse dovremmo anche ribellarci al virtuale che non ha fatto che accrescere ancora di più il divario tra percezione illusoria di vita vissuta e vita vissuta veramente.
Abbiamo l’illusione di fare tanto stando dietro uno schermo, ci sembra che condividendo notizie ed esprimendo commenti compiamo chissà quale attività, ci sembra di partecipare al reale, ma sono soltanto byte volatili, inesistenti, se ci fosse un black-out mondiale sparirebbe tutto in un secondo. E intanto dietro qualcuno sta traendo profitto da questo non-esistere, da questo nostro essere agiti anziché agire.
Dobbiamo riappropriarci del nostro corpo reale, della nostra fisicità, animalità, contatto con la materia fisica.
Sono riflessioni banali eppure pochissimi di noi sono in grado di metterle davvero in atto. Perché?
L'idea che abbiamo di noi stessi, dell'umanità, della società e cultura in cui siamo immersi è una finzione.
Per capirlo davvero basterebbe osservare i non umani, quegli individui che ben conoscono il valore dell'esistere pieno, ma che abbiamo schiavizzato in ottemperanza a questa menzogna che chiamiamo civiltà.
(La prima immagine è tratta dal film "The Truman Show" di P. Weir; la seconda rappresenta una di quelle diavolerie che immagineremmo uscite dagli incubi di una creazione fantastica di un mondo distopico, invece si tratta di recinti in cui vengono rinchiusi i vitelli appena un'ora dopo essere stati partoriti e vi rimangono costretti per la durata circa di sei settimane al fine di ottenere, grazie all'impossibilità del movimento e quindi al mancato sviluppo muscolare, le pregiate "tenere bianche carni" richieste dal mercato. Tali forme di allevamento sono vietate nei paesi dell'Unione Europea, tuttavia esistono alternative abbastanza simili, anche vicino Roma (documentabili con foto). Negli USA - dal cui mercato proviene la maggior parte di carne immessa nei circuiti internazionali - sono invece regolari).