Lei: ho portato il bambino al circo, ma ci è rimasto male perché non c'erano gli animali.
Io: e meno male, che non c'erano!
Lei: beh, ma al bambino piacciono gli animali, invece non c'era niente, solo cavalli che giravano in tondo.
Io: tristezza... e comunque i cavalli non sono animali?
Lei: sì, ma io intendevo quelli da circo, sai gli elefanti che si mettono sullo sgabello, le scimmiette che giocano...
Io: gli animali DA CIRCO? Io credevo fossero animali selvatici... pensa un po', e si vede che viviamo in due realtà completamente diverse.
Dentro di me l'impulso irresistibile a voler spiegare, raccontare degli abusi che subiscono gli animali detenuti in cattività nei circhi, a provarci almeno, ma il suo sguardo completamente sicuro, al riparo da ogni dubbio, protetto dalle sue inscalfibili certezze e al contempo rivelante insofferenza verso il mio timido tentativo di fare la seppure minima obiezione, mi ha completamente fatto desistere dal proseguire oltre...
È che ci sono muri che semplicemente certi giorni e certi momenti risultano troppo alti da affrontare e troppo difficili da abbattere.
3 commenti:
la peggior malattia è l'ignoranza!
ciao Rita, io rimango sempre dell'opinione che il confronto *diretto* è molto delicato e difficile da gestire, altamente stressante per l'attivista e dalla riuscita assai incerta. Io solitamente mi limito a piccoli accenni, quelli che si possono chiamare semi, ma sempre con la massima cautela, senza mai arrivare all'inutile confronto-scontro con l'altro. La comunicazione impersonale, pubblica, è, a mio parere, molto più produttiva.
Hai ragione Riccardo, l'ho constatato anche io.
Ma infatti ormai con gli amici che non comprendono lo sfruttamento animale non discuto più (se mai ci ho discusso poi, l'ho sempre fatto con molta cautela).
Poi cerco sempre, quando capita, di usare ragionevolezza, delicatezza, tatto perché altrimenti si rischia l'effetto opposto. A meno che non ci sia provocazione gratuita o sfottò, in quel caso o non raccolgo la frecciatina, o rispondo a tono.
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