Ieri A Roma un elefante è riuscito a evadere dalla
sua prigione, il circo, riuscendo ad assaporare, seppure brevemente, quel sogno
indomito di libertà che si porta dentro da sempre.
Ha un’espressione lieta nelle due foto che circolano in rete, tutto intento a
mangiucchiare i ramoscelli di erba selvatica del campo su cui si è messo
allegramente a passeggiare, dirigendosi verso il mercato ortofrutticolo del
rione di Porta Nona, forse, chissà, attratto dai colori variopinti della frutta
di stagione.
Rispetto al povero cucciolo di giraffa Alexandre, anche lui evaso più di un
anno fa dalla prigione-circo, e ucciso per una dose letale di sonnifero
somministratagli nel tentativo di catturarlo, direi che all’elefante è andata
apparentemente meglio, anche se non so quanto si possa considerare “meglio” la
prospettiva di trascorrere il resto della sua vita in una prigione, costretto a
eseguire umilianti numeri per sollazzare umani con il gusto dell’esercizio del
potere sui più deboli e indifesi.
A fronte di
tutti questi vari e ripetuti nel tempo tentativi degli animali di scappare dai
luoghi della loro prigionia, ne ricavo l’assoluta certezza che essi sappiano
bene cosa sia la libertà, pur essendone privati e persino quando nati in
cattività: la annusano, la sognano, la cercano, vi aspirano continuamente. Come
un desiderio genetico trasmesso di generazione in generazione, come
un’impellente necessità etologica, seppure nati schiavi, essi sanno e cercano
la loro libertà (che poi non è altro che poter esprimere e portare compimento
tutte le loro potenzialità etologiche – fisiche e psicologiche – relative alla
specie d’appartenenza).
Noi animali
umani invece siamo schiavi dei nostri schemi mentali senza nemmeno rendercene
conto, intrappolati in una ragnatela culturale che noi stessi abbiamo intessuto
con le nostre mani (diceva Max Weber), eternamente servi di un potere che noi
stessi contribuiamo ad alimentare e perpetrare.
Proprio ieri leggevo nelll’ultimo romanzo di Vittorino Andreoli, dal titolo La
quarta sorella, una bella discussione proprio sul tema della libertà: una
discussione condotta da tre diversi personaggi femminili che a turno enunciano
le loro diverse tesi argomentandole ed elaborandole diffusamente. Se ne
evince che una visione distorta del concetto di libertà tende ad assimilare
quest’ultima proprio al potere, o, peggio, ad identificarla con esso, in quanto
si tende erroneamente a credere che più potere si abbia e più libertà di agire,
intesa come una somma di privilegi e di possibilità di accedere a beni
illimitati, si conquisti: “Io vedo dappertutto desiderio di potere e leggo
questo bisogno come desiderio di libertà o di liberazione da soprusi e da
imposizioni, dall’obbligo di obbedire, che invece dovrebbe caratterizzare la
voglia di dipendenza. Il dipendente obbedisce, il potente comanda. (…) La
storia dell’uomo, mie care sorelle, tende verso la libertà e la motivazione che
lo spinge è la conquista del potere, altro che la dipendenza”.
Qui invece un breve dialogo sempre sul tema della libertà.