"La
levatrice Elide gli aveva dato dieci lire per i giaggioli e poi altre
dieci per farle vedere la pelata - lei era già tormentata dalla calvizie
per conto suo e aveva un diritto naturale a vedere lo scempio fatto
dalla tosatura e anche a sapere della faccenda della gatta e dei mici
che non erano usciti.
"Per non farli morire bisognerebbe non farli mai nascere. Eh, le femmine! Altro che dare la vita! Una gatta fortunata!" buttò lì. La Elide non era mai stata simpatica a nessuno in frazione, ma era la sola levatrice e era brava per essere una che non aveva mai partorito. Barbino non si dimenticò mai più di quelle frasi, che presero a girargli per la testolina anche per molto tempo dopo che era stata risarcita dei suoi riccioli. Della gatta, dunque, non c'era più traccia, ma restavano i richiami fra la cosa e la cosa pensata, le dipendenze a distanza fra cose diverse troppo vicine, le confuse relazioni fra le parole dette e quelle taciute, la levatrice... non la Elide di Vighizzolo, la levatrice Conti di Montichiari... che l'aveva tirato fuori da sua madre - suo padre non aveva nemmeno voluto vedere il figlio, tanta era la delusione che fosse un altro maschio, una futura filandera con la paga fissa non gli sarebbe dispiaciuta - la levatrice che ora, con quelle frasi, sembrava stesse già parlando a uno che era morto o a uno di quei mici che non erano mai riusciti a far breccia da quel grembo. E che parte assegnare agli insetti che a loro volta di quella carogna si nutrivano, liberi e ignari, leggiadri? E la femmina, l'animale femmina che faceva nascere e faceva morire altri animali, attorno al quale girava tutto il mondo di chi c'è e non c'è più... E l'animale gatto maschio, che non era stato lì, con la gatta, morta da sola? L'animale maschio che è sempre assente da casa e che arriva solo per amministrare la giustizia del più forte, per punire, picchiare e, prima di scomparire daccapo, chiudere col catenaccio la porta dietro la quale aspetta la femmina-madre e insieme a fare quell'acre puzzetta notturna che la mattina strisciava sotto la porta e invadeva le delicate e onnivore narici di Barbino...
Ma tutto ciò dileguò presto dalle sensazioni di Barbino; ciò che rimase fu un'intuizione meravigliosa e definitiva: che quella gatta trasportata dalla corrente era stata fortunata poiché lui l'aveva scorta e guardata, perché lui l'aveva rimessa dentro al suo chiuso, al sicuro. Perché lui l'aveva non solo sentita ma pensata. Non solo vista e guardata, ma immaginata. Condivisa condividendosi. Fatta vivere di più. Viveva di più anche lui!
E adesso poteva come "riscattarla dal destino", vita, ruolo, morte e oblio di ogni apparizione umana in giro: ricordare la gatta per un po'. Lui poteva farla - sì - vivere oltre la sua carcassa e le acque che l'avevano portata via, per un po'. Mise il tempo alle strette, eppure lo dilatò.
"Per un po'" si disse a voce alta, e diventò il suo per sempre."
(Aldo Busi - Seminario sulla gioventù)
"Per non farli morire bisognerebbe non farli mai nascere. Eh, le femmine! Altro che dare la vita! Una gatta fortunata!" buttò lì. La Elide non era mai stata simpatica a nessuno in frazione, ma era la sola levatrice e era brava per essere una che non aveva mai partorito. Barbino non si dimenticò mai più di quelle frasi, che presero a girargli per la testolina anche per molto tempo dopo che era stata risarcita dei suoi riccioli. Della gatta, dunque, non c'era più traccia, ma restavano i richiami fra la cosa e la cosa pensata, le dipendenze a distanza fra cose diverse troppo vicine, le confuse relazioni fra le parole dette e quelle taciute, la levatrice... non la Elide di Vighizzolo, la levatrice Conti di Montichiari... che l'aveva tirato fuori da sua madre - suo padre non aveva nemmeno voluto vedere il figlio, tanta era la delusione che fosse un altro maschio, una futura filandera con la paga fissa non gli sarebbe dispiaciuta - la levatrice che ora, con quelle frasi, sembrava stesse già parlando a uno che era morto o a uno di quei mici che non erano mai riusciti a far breccia da quel grembo. E che parte assegnare agli insetti che a loro volta di quella carogna si nutrivano, liberi e ignari, leggiadri? E la femmina, l'animale femmina che faceva nascere e faceva morire altri animali, attorno al quale girava tutto il mondo di chi c'è e non c'è più... E l'animale gatto maschio, che non era stato lì, con la gatta, morta da sola? L'animale maschio che è sempre assente da casa e che arriva solo per amministrare la giustizia del più forte, per punire, picchiare e, prima di scomparire daccapo, chiudere col catenaccio la porta dietro la quale aspetta la femmina-madre e insieme a fare quell'acre puzzetta notturna che la mattina strisciava sotto la porta e invadeva le delicate e onnivore narici di Barbino...
Ma tutto ciò dileguò presto dalle sensazioni di Barbino; ciò che rimase fu un'intuizione meravigliosa e definitiva: che quella gatta trasportata dalla corrente era stata fortunata poiché lui l'aveva scorta e guardata, perché lui l'aveva rimessa dentro al suo chiuso, al sicuro. Perché lui l'aveva non solo sentita ma pensata. Non solo vista e guardata, ma immaginata. Condivisa condividendosi. Fatta vivere di più. Viveva di più anche lui!
E adesso poteva come "riscattarla dal destino", vita, ruolo, morte e oblio di ogni apparizione umana in giro: ricordare la gatta per un po'. Lui poteva farla - sì - vivere oltre la sua carcassa e le acque che l'avevano portata via, per un po'. Mise il tempo alle strette, eppure lo dilatò.
"Per un po'" si disse a voce alta, e diventò il suo per sempre."
(Aldo Busi - Seminario sulla gioventù)
Nessun commento:
Posta un commento